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Quindi è la lezione della storia che ha convinto tutta la cultura giuridica, ma anche politica, ad
accettare questa nuova categoria dei princìpi supremi, che possono essere considerati il ritorno
della seconda dimensione del diritto. Dunque non ha ragione Natalino Irti, che vede la Costituzione
solamente come una legge: questi princìpi non sono giuridicamente violabili, annullabili e
modificabili. La Costituzione viene così vista con uno sguardo dualistico, un ritorno al dualismo che
la cultura giuridica ha voluto dopo la catastrofe dei totalitarismi. Un ordinamento giuridico non si
può fondare sulla mera forza, nemmeno fascismo e nazismo si sono fondati solo sulla forza, ma
anche sul consenso (di qui l’importanza della propaganda e dell’indottrinamento per convincere
della bontà dei princìpi dei regimi). Nel secondo dopoguerra l’unico modo per recuperare la
seconda dimensione del diritto è la forma scritta delle costituzioni; in Inghilterra la costituzione è
ancora consuetudinaria perché non ha conosciuto nessun totalitarismo. Se l’Inghilterra avesse
conosciuto una parentesi totalitaria si sarebbe interrotta la cultura giuridica della concezione
bidimensionale del diritto. Il performativo è felice non solo per l’adesione spontanea della cultura
giuridica, ma anche per le caratteristiche tipiche delle costituzioni del Novecento, diverse da quelle
dell’Ottocento, concesse dal sovrano. La Costituzione è dunque la reincarnazione della seconda
dimensione del diritto; è un diritto di un’altra natura, che viene dalla ratio e non dall’auctoritas.
Ciò che rende forte l’ordinamento giuridico e che fonda la costituzione è l’adesione spontanea
della collettività, ma questo è un fondamento fragile, quindi l’adesione spontanea va coltivata e non
deve essere mai data per scontata.
La costituzione non è un dato che ha una sua essenza, una sua ontologia oggettiva, la
costituzione è vista, prima della prima sentenza della Corte costituzionale del 1956, come un atto
politico, come norma destinata al legislatore, non al giudice, quindi è il legislatore a dover attuare
le norme. Questa concezione è quella dei costituenti stessi.
Perché la seconda dimensione del diritto può tornare solo attraverso la Costituzione? È
chiaro che la seconda dimensione del diritto non possa tornare a regolare la vita degli uomini né
attraverso il diritto naturale, troppo mescolato con l’etica e la morale (anche se un tentativo viene
comunque fatto dalla Chiesa), né attraverso la consuetudine e il regime di common law, perché
dopo l’esperienza dei totalitarismi non si hanno più costumi su cui fondarla.
Secondo Zagrebelsky “la scommessa delle costituzioni pluraliste del secondo dopoguerra è quella
di una lex di diventare ius”, ovvero un artificio della lex di diventare la seconda dimensione del
diritto, ma solo se la cultura giuridica lo accetta (questa è la lettura che è stata data negli anni
Settanta del secolo scorso). I caratteri delle costituzioni sono particolarmente diversi da quelli delle
carte ottocentesche, concesse ai sudditi dai sovrani, dunque provenienti da un potere già esistente
(provenienti dall’alto). Zagrebelsky le chiama dunque costituzioni statuarie. Inoltre, queste
costituzioni sono flessibili, dunque liberamente modificabili da una semplice legge. Le costituzioni
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del secondo dopoguerra, ma anche quella di Weimar del 1919, secondo Fioravanti, sono
pluraliste, ovvero sono il frutto di un’azione delle forze politiche e culturali plurali (tradizione
cattolica, liberale, socialista e comunista). Esse sono così il risultato di una convergenza, di un
compromesso fra tradizioni differenti, radicate da tempo nel territorio. A differenza di quelle
ottocentesche, queste costituzioni provengono dal basso, dalle forze politico-culturali. Fioravanti,
inoltre, sostiene che la Costituzione nasce da un processo avvenuto col passare del tempo e non
per atto esclusivo di una volontà di potenza del sovrano, come invece sostiene Irti: infatti, è ovvio
che vi sia la volontà umana e il confronto alla base della sua nascita, ma anche e soprattutto una
base culturale comune a tutti.
Parlando di giusnaturalismo e di etica dei tempi moderni, Piovani scrive, nel 1961, un saggio
intitolato Giusnaturalismo ed etica moderna, al cui termine sono state inserite due recensioni al
libro, una delle quali di Bobbio. Questa, molto efficace ed elogiativa, mette in luce la cattiva etica
logistica del giusnaturalismo, definendola come la forma di diritto più violenta perché esclude da sé
il dialogo tra le parti, al fine di raggiungere un compromesso. È quindi necessario risemantizzare la
nozione di natura, portando il suo significato vicino a quello moderno, per cui essa è basata sulla
ratio e inscritta all’interno dell’uomo. Si passa dunque ad un’etica della libertà, detta anche buona
etica (da Bobbio): essa è propria dell’uomo, delle sue libertà individuali. a ciò corrisponde, di
conseguenza, una grande responsabilità dell’essere umano, in quanto è egli stesso che ha scelto,
dopo lo shock dei totalitarismi, di vedere la costituzione come il ritorno della seconda dimensione
del diritto.
La concezione kelseniana di diritto (da Lineamenti di dottrina pura del diritto di Hans Kelsen e
La virtù del dubbio di Gustavo Zagrebelsky)
Secondo Kelsen la costituzione allora è un documento politico o giuridico? Dipende da una scelta
che si fa a monte. Il diritto, secondo la concezione kelseniana, è norma. La sociologia non è
scienza vera e propria perché non si occupa del dover essere, di norme, ma dell’essere. La
sociologia del diritto è una scienza empirica, che si occupa del diritto come è, come è applicato dai
giudici, come certi fatti economici o religiosi influiscano sulle attività dei tribunali. La sociologia si
afferma nei primi anni ‘900; questo approccio sociologico si presenta come la vera scienza del
diritto, come un paradigma disciplinare completamente diverso. Kelsen vuole opporsi a questa
destabilizzazione del sistema della sociologia del diritto modificando l’approccio tradizionale: la
sociologia si occupa dell’effettibilità non dell’attuabilità del diritto. Le scienze normative sono
regolate da quello che Kelsen chiama principio di imputazione, per cui a un comportamento
viene imputata una conseguenza giuridica (se si uccide un uomo seguirà una sanzione). Un
altro principio chiave è l’autonomia del diritto, la purezza disciplinare.
Non cognitivismo etico: significa che, per Kelsen, Bobbio e Weber, non è possibile conoscere
razionalmente e scientificamente il mondo dei valori, dell’etica, della morale. Non si può fare una
scienza dei valori. La scienza giuridica per essere vera scienza deve prescindere da giudizi di
valore perché questi sono soggettivi. Appartiene al non cognitivismo l’emotivismo etico, che
considera i valori come delle emozioni (de gustibus). Erano invece cognitivisti i giusnaturalisti
moderni, Spinoza e Cartesio o, in età antica, Aristotele: per loro si poteva fare una scienza dei
valori. Secondo Kelsen invece la giustizia è un ideale irrazionale, per quanto possa essere
indispensabile per l’uomo, essa non è conoscibile ma è data solo come oggetto di ricerca. La
conoscenza è avalutativa.
La dottrina del diritto naturale ci dice che il diritto naturale (che è una finzione, non è un oggetto di
scienza) può essere presentato in funzione conservatrice e in funzione rivoluzionaria: per la
funzione conservatrice il diritto naturale può consentire di mantenere una tradizione antica, come
la schiavitù (si era schiavi per natura); i giusnaturalisti moderni intendono invece il diritto naturale in
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funzione rivoluzionaria. Il diritto naturale è dunque qualcosa che serve per scopi politici e dunque è
ideologia e non scienza.
Lo Stato di diritto
Nell’Ottocento si afferma lo stato di diritto, in sostituzione del potere assoluto, per cui il sovrano è
absolutus, sciolto, e a cui non si possono porre limiti (dunque non si possono porre neanche limiti
allo stato legislatore). Nello stato di diritto, invece, lo stato coincide con l’ordinamento giuridico. Lo
stato non è più la persona sovrana ma il diritto stesso, quindi è concepibile porre dei limiti allo
stato: la legge, infatti, è sottoposta alla costituzione. Il legislatore non è più onnipotente ma è
subordinato alla costituzione (stato costituzionale di diritto).
Nella storia del pensiero giuridico alcune categorie fondamentali (come quella di sovranità),
passando da un paradigma giuridico all’altro, non designano più ciò che designavano prima. Il
pensiero giuridico dunque risemantizza le parole, ovvero attribuisce un significato diverso a parole
che vengono mantenute. Vengono dunque mantenute le categorie teoriche e risemantizzate.
Questo è il caso della sovranità. Oggi non c’è più un soggetto che ha un potere illimitato: la
sovranità viene attribuita al popolo, ma il popolo non può fare ciò che vuole.
Dopo il performativo della Corte costituzionale, il nichilismo giuridico è contraddetto dalla realtà e si
ritorna alla bidimensionalità del diritto. Con lo stato costituzionale si arriva alla limitazione
dell’ordinamento politico. Fioravanti parla di un vero e proprio mutamento di forma politica, non
come una semplice evoluzione. Fioravanti afferma proprio che l’ordinamento non è più lo stesso,
perché, a partire da quella sentenza del 1956 della Corte costituzionale, si assiste a un processo di
trasformazione costituzionale, con cui la Costituzione inizia ad essere non più un documento
politico ma un documento giuridico e di conseguenza le sue norme sono diritto a pieno titolo.
Mentre nella concezione dello stato legislativo Ottocentesco e inizio Novecentesco il giudice vede
la costituzione solo attraverso il legislatore, dopo il 1956 la giurisdizione diventa equiparata alla
legislazione: al vertice della piramide c’è la costituzione e alla base, alla pari, giudici e legislatore.
Ferrajoli, constatando che la Costituzione è in crisi, propone di rafforzare la procedura dell’art. 138
e di stabilire espressamente mediante una riforma costituzionale che i princìpi supremi non
possono essere sottoposti a revisione costituzionale. Così facendo però si tornerebbe all’unica
dimensione del diritto, perché i princìpi fondamentali avrebbero come fondamento l’auctoritas. 12
Tripartizione delle scienze
Scienze teoretiche: hanno come