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A.A.

abduttori e la forza peso. Abbiamo displasia dell’anca che altera la posizione del punto di

intersezione dei muscoli abduttori.

Nei casi più comuni si ha la lussazione congenita dell’anca: congenitamente la testa del

femore si disarticola, dal momento che la testa del femore o acetabolo hanno dimensioni

diverse da quelle fisiologiche; la capsula legamentosa si lascia andare a causa di questa

continua lussazione, l’anca si lussa e anche qui si è costretti alla protesizzazione. Se questo

si dovesse aggravare in età adulta si può curare attraverso sostituzione dell’articolazione

dell’anca, appunto tramite protesizzazione. Si può ricorrere alla protesi anche per la coxa

vara o coxa valga, sia per motivi estetici che per rischi legati alla schiena e alla postura:

nel caso della coxa valga abbiamo delle anomalie scheletriche dove l’angolo cervico-

afisario è diverso da quello fisiologico che normalmente è di 120° (>120°) mentre nella

coxa vara è <120°. Si possono correggere gli angoli scorretti tra l’asse del femore e della

tibia tramite protesi.

4) Patologie traumatiche

Interviene un trauma a compromettere l’integrità dell’osso. Fratture di ogni tipo sono

traumi sia a livello dell’acetabolo che dell’epifisi del femore dove la gravità dell’evento

traumatico fa decidere se protesizzare o no. Cado sull’anca e questa si lussa. Una volta

che si lussa si genera una perdita di funzionalità o di robustezza della componente

legamento che tiene assieme le due componenti. Una volta ricomposta la lussazione è

possibile che in semplici condizioni di cammino l’articolazione continui a lussarsi. In tal

caso, l’unica maniera d’intervento è la sostituzione artificiale. La frattura del collo del

femore è quella più comune nell’anziano. Le soluzioni sono di osteosintesi, che tenga

assieme le varie parti dell’osso affinché si rigeneri da solo, ripristinando la continuità

lesionata, oppure si ricorre alla sostituzione dell’intero accoppiamento. E’ la scelta più

comune, anche se può apparire più invasiva. Solitamente l’anziano in questi casi è

soggetto ad altre problematiche cliniche: è necessario quindi rimetterlo subito in piedi

per evitare di aggravare il quadro clinico, e ciò è possibile con impianto. Nel caso di

osteosintesi, i tempi sono più lunghi per potersi rimettere in piedi. Nel caso di incidente

frontale, può essere necessario sostituire la cavità acetabolare con una artificiale, perché il

femore potrebbe sfondarla. L’osteonecrosi della testa femorale è invece una della

maggiori cause di protesizzazione: molte delle cellule della testa del femore non vengono

più irrorate e questo causa la sostituzione della testa del femore poiché il femore

fisiologico non ci sta più nell’acetabolo protesico.

Biomeccanica patologica

C’è un certo tipo di rapporto tra braccio della forza peso e forza abduttore: abbiamo una

sommatoria vettoriale delle forze. Il braccio degli abduttori tende ad accorciarsi in

seguito a qualche patologia con conseguente aumento della forza peso e aumento della

risultante che scarica sull’anca con conseguente aggravarsi della patologia.

A.A.

Questo tipo di patologia fu la prima dal punto di vista chirurgico: fu Charley che negli

anni ’50 ha pensato come protesizzarla provando due soluzioni al problema degli

accorciamenti dei muscoli abduttori. Uno dei due metodi andava bene, sebbene tuttavia

la teoria di Charnley fallì dal momento che venne applicata in un periodo in cui si

utilizzavano acciai, materiali non buoni che si rompevano: si notavano delle rotture

frequenti a causa del dispositivo. Si capì che il rapporto tra i bracci di leva era la chiave

per risolvere il problema ed ottenere una risultante agente sulla protesi più bassa rispetto

al caso standard. Non avendo altri strumenti per migliorare le performance della protesi

se non attraverso tecniche chirurgiche, il primo intervento che si fece fu la

centralizzazione della testa femorale. Si allungò il collo della protesi, portando la

testina in una posizione più centrale. I muscoli abduttori, avendo un braccio di leva più

importante, globalmente facevano diminuire la reazione vincolare trasmessa

sull’articolazione dell’anca. Si spostò dunque il centro dell’articolazione rispetto al

baricentro del corpo a livello più mediale i bracci dei muscoli abduttori aumentavano

→ →

la forza degli abduttori diminuiva la forza risultante risultava quindi più bassa

(questo è un tipo di intervento che ancora in fase chirurgica ancora si attua!). Per

aumentare il braccio degli abduttori si effettua un’osteotomia del grande trocantere dove

viene tagliata una fetta di trocantere e la parte tagliata viene fatta ruotare in direzione

prossimale; girando questa fetta di trocantere di fatto si aumenta il braccio degli

abduttori. A.A.

Nel caso in cui si pensa che il caso clinico in esame determini un importante

sollecitazione a livello della protesi si può decidere di centralizzare la testa femorale per

far diminuire il carico complessivamente agente sulla protesi stessa. La domanda che

potrebbe sorgere è: perché non si fa comunque sempre? E’ pur sempre vantaggioso

biomeccanicamente… vero, però ci si scontra con un aspetto che è la conservazione della

parte ossea. Le protesi ovviamente vengono impiantate al posto dell’articolazione naturale

ma vengono ancorate a delle estremità ossee. L’acetabolo viene ancorato all’acetabolo

naturale opportunamente lavorato (sagomati) mentre lo stelo è ancorato alla dialisi del

femore. Lavorare le ossa vuol dire asportare del materiale affinché si raggiunga la forma

desiderata. Le protesi, tuttavia, non sono eterne: le durate son sicuramente buone per

ora, ma non eterne! (20-25 anni). E’ possibile però che durante la vita del paziente la

protesi debba essere sostituita. Questa sostituzione però implica asportazione di altra

massa ossea: il rischio è che alla lunga non si trovi più massa ossea, sia per eccessiva

asportazione nel corso delle revisioni, sia per eventuali problematiche del paziente stesso.

Specifiche di progetto di una protesi d’anca

1. Consentire i gradi di libertà rotazionali consentiti dall’articolazione naturale fra

la coscia ed il bacino. Il progettista si chiede: come realizzo l’accoppiamento

articolare? Rifaccio un’articolazione artificiale che abbia forma simile ad una naturale

o scelgo un disegno che abbia una morfologia differente ma che garantisca le stesse

performance? Nella protesi d’anca si copia la tipologia di accoppiamento che esiste in

natura: si usa un accoppiamento sferico, cioè una sfera che ruota all’interno di una

semisfera. Come in quasi in tutte le protesizzazioni si cerca quindi di riproporre al

massimo i movimenti naturali ma di limitare al minimo la possibilità di lussazione.

La protesi d’anca ricalca la configurazione naturale con modifiche, come per esempio

la testina che ha più materiale acetabolare attorno. L’anca naturale consente il

movimento tra gli arti inferiori e il tronco, dove i gradi di libertà costituiscono la

somma dei movimenti.

2. Sopportare i carichi applicati durante il passo. Si ricorda a questo proposito che

tali carichi raggiungono valori pari a diverse volte il peso corporeo del soggetto.

Quindi bisognerà progettare una protesi affidabile sia dal punto di vista statico che a

fatica. Si possono avere delle rotture a livello statico: per esempio la ceramica, fragile,

si frantuma a causa di un carico particolarmente gravoso, per esempio in una

situazione inaspettata, esempio un inciampo, che aumenta il carico.

A.A.

3. Resistere alla fatica meccanica derivante dall’applicazione ciclica del carico

durante il passo. In genere si ritiene che l’articolazione dell’anca sia sottoposta a

circa 10 milioni di cicli di carico in 10 anni da un soggetto che conduce una normale

attività. Il componente protesico maggiormente sollecitato a fatica è lo stelo

femorale, dal momento che quest’ultimo si trova disossato. La protesi dovrebbe

resistere per lo meno 10 anni ma attualmente il numero di cicli cui deve resistere la

protesi per entrare in commercio è di minimo 20 anni. Assodato che la protesi sia

affidabile da un punto di vista statico, devo assicurarmi sia sicura anche dal punto di

vista di affaticamento. Ancora oggi la fatica meccanica è uno dei problemi che

affligge le protesi d’anca. Il componente maggiormente sollecitato a fatica è lo stelo

femorale: questo perché sullo stelo della protesi d’anca si genera un momento dato

da una forza e un braccio più grande rispetto al momento generato sull’acetabolo. I

bracci di leva sono evidentemente differenti. La flessione è quella che determina

infatti i problemi di fatica.

4. Avere delle superfici articolari resistenti all’usura o comunque tali per cui l’usura

non produca danni funzionali né induca risposte indesiderate dei tessuti ospiti.

L’usura è quel fenomeno che porta al consumo di una o di entrambe le superfici, in

questo caso della componente acetabolare: siccome la forza che si va a scaricare

molto spesso è considerevole, molto spesso si ha usura nuovo problema: si

sostituisce il teflon con l’acetilene, comportando un aumento della resistenza

meccanica ma si ha che l’usura prodotta ha una maggiore quantità di attrito la

risoluzione di un problema quindi spesso comporta la nascita di un altro e spesso

non si vede una problematica perché non gli si dà il tempo necessario.

5. Essere fabbricata con materiali biocompatibili nel senso che non devono indurre

alterazioni o risposte indesiderate nei tessuti ospiti oppure devono provocare una

risposta biologica che favorisca la stabilità meccanica dell’interfaccia fra stelo e

femore e fra metal back e bacino. La scelta del materiale è vincolata dai requisiti di

biocompatibilità del materiale stesso. Si parla di biocompatibilità specifica

all’applicazione, non in generale. La parte acetabolare solitamente si costruisce in due

parti: metal back (semisfera molto sottile metallica ancorata al corpo) e l’inserto,

l’effettiva superficie articolare. Una delle scelte progettuali più comuni è di farla in

UHMWPE, un materiale ben tollerato dall’organismo. Il fatto che il materiale sia

soggetto ad usura, i detriti di usura diventano particolarmente reattivi ad una

risposta infiammatoria e immunologica. La sterilità dell

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A.A. 2017-2018
108 pagine
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SSD Ingegneria industriale e dell'informazione ING-IND/34 Bioingegneria industriale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher andrearmagno di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Progettazione di Endoprotesi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Milano o del prof Pietrabissa Riccardo.