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STRUTTURA E POTERE DI MERCATO

Cosa succede in un modello alla Cournot con n imprese, se n tende all’infinito? L'output di equilibrio di ciascuna

impresa diminuisce al crescere del numero delle imprese. Quando il numero delle imprese tende all'infinito, l'output

totale converge a1 valore di concorrenza perfetta.

In termini di efficienza allocativa, è stato stimato che, affinché l’equilibrio del modello di Cournot sia molto vicino a

quello di concorrenza perfetta,non è necessario che n sia particolarmente grande

Per misurare il potere di mercato viene usato l’indice di Lerner che è la media ponderata dei margini di profitto di

ciascuna impresa, dove i pesi sono rappresentati dalle rispettive quote di mercato. Se tutte le imprese hanno gli stessi

costi marginali, allora l’indice di Lerner si riduce al margine di profitto (uguale per tutti) delle imprese.

Per misurare la concentrazione invece possono essere usati i coefficienti C , che sono la somma delle quote di mercato

m

delle m imprese più grandi. Una misura alternativa è l’indice di Herfindahl. Questo fornisce una misura del grado di

concentrazione

migliore rispetto agli indici C . E’ più difficile da calcolare: richiede che si conoscano le quote di mercato di tutte le

m richiede la conoscenza delle sole quote di mercato delle quattro imprese più grandi.

imprese, mentre per esempio C 4

Il paradigma struttura-condotta-risultato (SCR) fornisce un metodo per l'analisi di ciascun singolo mercato. Il

mercato è caratterizzato dalla sua struttura (per esempio, il livello di concentrazione), la condotta (cioè il comportamento

delle imprese che operano in esso) e il risultato (potere di mercato, efficienza allocativa e cosi via). Inoltre, il paradigma

SCR presuppone che ci sia una relazione causale tra la struttura, la condotta e il risultato: la struttura influenza la

condotta; la struttura e la condotta assieme influenzano il risultato.

Il grado di potere di mercato dipende da tre fattori: l'elasticità della domanda, la concentrazione e il grado di collusione.

LA DISCRIMINAZIONE DI PREZZO

La discriminazione di prezzo si ha quando lo stesso bene è venduto a prezzi diversi senza che la differenza di prezzo

rifletta una differenza nel costo di produzione. La discriminazione di prezzo è possibile solo in assenza di mercati

secondari.

Per verificare se si è o meno in presenza di discriminazione di prezzo, si può controllare se il rapporto tra i prezzi

prevalenti nei vari mercati è diverso dal rapporto tra i rispettivi costi marginali.

In un mercato perfettamente competitivo vige la legge del prezzo unico, cioè non possono esserci due prezzi diversi per

lo stesso bene. Se ci fossero due prezzi diversi, un agente potrebbe acquistare al prezzo basso e rivendere a quello alto

(arbitraggio).

Circostanze che nella realtà giustificano la presenza di discriminazione di prezzo:

- informazione imperfetta (gli operatori non sono perfettamente informati circa le differenze di prezzo);

- costi di transazione elevati: non è più conveniente l’attività di arbitraggio;

- rivendita illegale o fisicamente impossibile (es. servizi).

Tipologie di discriminazione di prezzo

Ci sono diversi modi di praticare la discriminazione di prezzo, per cui può essere utile una classificazione. La

classificazione più significativa è quella basata sulle informazioni di cui dispongono le imprese circa le preferenze dei

consumatori, cioè circa la loro disponibilità a pagare:

- 1° grado (discriminazione perfetta);

- 2° grado (ventaglio di offerte e autoselezione; prezzi non lineari);

- 3° grado (segmentazione del mercato).

Discriminazione di 1° grado: il venditore fissa prezzi diversi per ogni acquirente e per ogni unità di bene acquistata, in

modo da estrarre tutto il surplus del consumatore.

La discriminazione di 1° grado è anche conosciuta come discriminazione perfetta; in pratica è poco frequente perché

richiede un’informazione perfetta sulla disponibilità a pagare degli individui (es. vendita di navi e aeroplani,

consulenze).

Discriminazione di 2° grado: le imprese hanno informazioni sulle preferenze dei consumatori, ma non sono in grado di

osservarle individualmente (autoselezione dei consumatori).

Si parla di discriminazione di 2° grado anche quando il prezzo dipende dalla quantità acquistata, ma non dall’identità dei

consumatori (prezzi non lineari). Comunque si tratta sempre di autoselezione del consumatore.

Una tariffa in due parti è un caso di prezzi non lineari e consiste in: una parte fissa positiva, f, che ogni consumatore

deve pagare indipendentemente dalla quantità acquistata; una parte variabile, p, che è proporzionale alla quantità

acquistata.

Il prezzo unitario diminuisce all’aumentare della quantità acquistata.

Discriminazione di 3° grado (group pricing): il venditore divide gli acquirenti in gruppi, fissando un prezzo diverso per

ogni gruppo (segmentazione del mercato).

Possibili segmentazioni:

- localizzazione geografica (pricing to market o discriminazione spaziale dei prezzi);

- età (es. sconti agli anziani);

- occupazione (es. sconti agli studenti).

In regime di discriminazione di prezzo di 3° grado, un venditore dovrebbe praticare un prezzo più basso in quei segmenti

di mercato in cui la domanda è più elastica.

Altre forme di autoselezione dei consumatori:

offerta di diverse combinazioni qualità-prezzo tale da indurre i consumatori ad autoselezionarsi in

- classi di prodotti:

base alla loro disponibilità a pagare. Una diversa qualità può implicare costi diversi di produzione, ma esistono casi

estremi in cui l’impresa deve addirittura sostenere un costo addizionale per abbassare la qualità, cioè le imprese

peggiorano volutamente il prodotto al fine di realizzare una discriminazione fra consumatori.

- vendite collegate (o budling):

bundling puro: i consumatori possono acquistare i prodotti solo congiuntamente, quindi possono acquistare l’intero

pacchetto o niente;

bundling misto: i consumatori possono scegliere se acquistare l’intero pacchetto o ciascuna delle sue componenti

separatamente.

- beni durevoli: l’elemento essenziale nella decisione di acquisto è il “quando”. Le strategie di prezzo relative ai beni

durevoli consentono di effettuare una discriminazione di prezzo lungo un’altra dimensione, quella temporale. Praticando

oggi prezzi diversi da quelli futuri, un monopolista può riuscire a vendere ai consumatori con alta disponibilità a pagare a

un prezzo elevato e ai consumatori con bassa disponibilità a pagare a un prezzo più basso.

Un’impresa che offre beni durevoli può impegnarsi a non realizzare una discriminazione di prezzo intertemporale. A

causa dei rinvii strategici degli acquisti da parte dei consumatori, con discriminazione di prezzo i profitti possono essere

più bassi.

L’impresa per sfuggire a questa “trappola” può impegnarsi a non ridurre i prezzi in futuro.

Discriminazione di prezzo e intervento dell’Autorità Antitrust.

I principali dilemmi implicati dalla discriminazione di prezzo sono: dilemma tra efficienza (che è garantita dalla perfetta

discriminazione) e benessere dei consumatori (che è più alto con prezzi uniformi); il dilemma tra equità (maggiore con

prezzi uniformi) e accessibilità del bene ad un numero elevato di acquirenti (efficienza allocativa garantita dalla

discriminazione perfetta).

L’Autorità antitrust ha il compito di valutare caso per caso. L’Autorità antitrust in Europa ha dato molto peso

all’obiettivo di evitare la segmentazione su base nazionale del mercato europeo, mentre negli USA le motivazioni sono

risultate legate soprattutto alla protezione delle piccole imprese più che alla massimizzazione del benessere sociale.

RELAZIONI VERTICALI

I clienti delle imprese non sono solo i consumatori finali, ma possono essere altre imprese. La relazione tra imprese a

monte e impresa a valle è diversa dalla relazione tra impresa e consumatore finale. L’impresa che vende direttamente al

consumatore controlla la maggior parte delle variabili da cui dipende la domanda (es. prezzo, qualità, pubblicità), mentre

questo non avviene per il produttore che vende attraverso un dettagliante, perché ci sono molti fattori che influenzano la

domanda e che sfuggono al suo controllo.

Il prezzo al dettaglio, una variabile chiave per determinare la domanda finale, è scelto dal rivenditore e non dal

produttore.

Le vendite di un produttore dipendono non solo dal prezzo che essa fissa (prezzo all’ingrosso), ma anche da una serie di

altri fattori, la maggior parte dei quali non possono essere controllati direttamente.

I rivenditori inoltre, a differenza dei consumatori finali, sono in competizione uno con l’altro, quindi ciascuno di essi è

interessato al prezzo all’ingrosso che deve pagare al produttore ma anche al prezzo all’ingrosso che è pagato dagli altri

rivenditori, perché il prezzo all’ingrosso determina il costo marginale dei rivenditori e in equilibrio il profitto di ciascuna

impresa dipende dai costi marginali di tutte le altre imprese.

Le relazioni verticali sono relazioni tra due imprese che operano in stadi successivi del processo produttivo o

distributivo.

Un’impresa a monte potrebbe quindi trovare conveniente stabilire con le imprese a valle relazioni contrattuali più

complesse rispetto alla semplice fissazione di un prezzo all’ingrosso costante per unità di prodotto. Tali contratti sono

detti restrizioni verticali perché di solito vincolano in qualche modo le scelte dell’impresa a valle. Per raggiungere lo

stesso obiettivo è possibile utilizzare diversi tipi di restrizioni ma è anche possibile che uno stesso tipo di restrizione

permetta di raggiungere diversi obiettivi.

A volte i problemi di coordinamento possono suggerire una soluzione più estrema, cioè l’integrazione verticale:

realizzazione di stadi successivi del processo produttivo all’interno di un’unica impresa.

Nell’ipotesi in cui vi sia un monopolio a monte nella produzione e un monopolio a valle nella distribuzione,

l’integrazione verticale tra i due monopolisti migliora l’efficienza complessiva.

La ragione di questo risultato risiede nella doppia marginalizzazione o doppio mark up, per la quale nel caso di

contrattazione autonoma tra produttore e distributore, ciascuno di essi applicherebbe il margine di monopolio in ciascuna

fase della filiera del prodotto, con ciò riducendo complessivamente la quantità prodotta e venduta sul mercato, generando

una perdita di efficienza superiore a quella associata al m

Dettagli
A.A. 2012-2013
22 pagine
5 download
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/07 Economia aziendale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher help_yoUniversity di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia industriale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi della Campania "Luigi Vanvitelli" o del prof Basile Roberto Giovanni.