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LEGIS ACTIO PER IUDICIS ARBITRIVE POSTULATIONEM

Essa si esercitava quando:

La lite verteva su una sponseo intercorsa tra le parti;

 Si doveva procedere alla divisione di un patrimonio ereditario;

 Si chiedeva lo scioglimento di una comunione.

L’esercizio della legis actio per iudicis arbitrive dava luogo ad un processo più

semplice rispetto a quello della legis actio sacramento.

In caso di lite insorta a seguito di sponsio, nella fase in iure l’attore dichiarava al

cospetto del magistrato che il convenuto era tenuto nei suoi confronti a una

determinata prestazione e chiedeva al convenuto di ammetterlo o negarlo. In ipotesi di

negazione, l’attore chiedeva al magistrato di procedere direttamente alla nomina del

giudice privato.

Se invece si trattava di dividere un patrimonio ereditario o di sciogliere una

comunione, l’interrogazione rivolta dall’attore al convenuto non era necessaria: i

consortes chiedevano al magistrato la nomina di un arbitro. Giunti a questo punto, il

magistrato doveva provvedere alla nomina del giudice entro 30 giorni.

Si procedeva poi per l’ordinaria legis actio per iudicis arbitrive postulationem.

In caso di lite sulla proprietà di un bene, l’attore intimava all’avversario di stipulare

una sponsio. Una volta effettuato lo scambio di domanda e risposta, l’attore poteva

agire nei confronti del convenuto con la legis actio per iudicis arbitrive postulationem.

LEGIS ACTIO PER CONDICTIONEM

Introdotta alla fine del III secolo a.C. dalla lex Silia per far valere le obbligazioni

pecuniarie (sollecitata dall’incremento dei commerci).

Questa legge, in quanto relativa ai soli crediti di somme di denaro o di cose

determinate, non richiedeva il sacramentum dei litiganti.

La condictio era l’intimazione, rivolta dall’attore al convenuto, a ricomparire dinanzi al

magistrato per il 30º giorno.

I vantaggi offerti dalla legis actio per condictionem consistevano:

Nella possibilità di evitare il sacramentum (ove il credito non derivasse da

 sponsio);

Nell’assenza della formula dell’azione di un richiamo all’atto da cui era scaturito

 il credito;

Nell’intervallo di 30 giorni, utile per consentire alle parti di addivenire ad un

 accordo che rendesse inutile la prosecuzione del processo.

LEGIS ACTIO PER MANUS INIECTIONEM

È la più antica e consisteva in una procedura esecutiva generale, cui si ricorreva

ogniqualvolta il soccombente nel processo di accertamento non avesse

spontaneamente eseguito il comando rivoltogli dal giudice con la sentenza di

condanna manus iniectio iudicati (riferita al giudicato).

L’applicazione della manus iniectio conseguente a confessio in iure prese il nome di

manus iniectio pro iudicato.

Per iudicatus si intendeva colui il quale avesse subito una sentenza di condanna e che

allo scadere del 30º giorno dall’emanazione della stessa non avesse ancora adempiuto

agli obblighi da essa derivatogli.

L’attore uscito vittorioso dal processo di accertamento, una volta trascorso il periodo

di 30 giorni prescritto, intimava il soccombente di recarsi al cospetto del magistrato e

se il debitore non voleva poteva trascinarlo con la forza.

Una volta che entrambi si trovassero davanti al giudice, l’attore diceva: “Poichè sei

stato condannato in mio favore per 10.000 sesterzi e non gli hai pagati, ti metto la

mano addosso a titolo di giudicato”.

Il convenuto non poteva respingere l’attore, nè difendersi mediante l’esercizio di una

legis actio. L’unica possibilità per il debitore era l’intervento di un terzo che fungesse

da vindex, il quale poteva o pagare il debito, o difendere il contenuto e affermare

l’illegittimità della manus iniectio.

Il vindex che non avesse pagato l’eventuale condanna sarebbe stato a sua volta

soggetto a manus iniectio esecutiva.

Se non si presentava alcun vindex, il magistrato assegnava la persona del convenuto

all’attore.

Fase successiva all’addictio: l’attore teneva in casa propria il condannato incatenato

per 60 giorni, alimentandolo quotidianamente con una data quantità di farro. Nell’arco

di questi 60 giorni, l’attore doveva per tre volte esporre il convenuto al cospetto del

pretore, in occasione di tre mercati consecutivi proclamando pubblicamente la somma

dovuta. Questa esposizione ai mercati aveva la funzione di consentire a eventuali

interessati di riscattare il prigioniero, pagando il suo debito.

Se trascorsi 60 giorni nessuno lo avesse riscattato, il creditore poteva venderlo agli

stranieri, come schiavo, dal momento che il cittadino romano non poteva divenire

schiavo a Roma. Al creditore era consentito, in alternativa, decidere di uccidere il

debitore.

Una norma delle 12 tavole prevedeva le modalità dell’uccisione, in caso di una

pluralità di creditori: una volta squartato il corpo del debitore, i pezzi del cadavere

andavano divisi tra i creditori.

Era prevista la possibilità, per il creditore, di compiere la manus iniectio nei confronti

del debitore anche senza che vi fosse stata una confessione o sentenza di condanna

manus iniectio pura.

Il debitore che non riuscisse a dimostrare l’infondatezza delle ragioni del creditore,

sarebbe stato condannato nella misura del duplum.

LEGIS ACTIO PER PIGNORIS CAPIONEM

A questa procedura si ricorreva soltanto per i crediti di natura pubblicistica. Consisteva

nell’impossessamento di una cosa altrui, qualora l’oppignorato non essere pagato una

somma di denaro dovuta all’oppignorante.

Tale azione poteva essere esercitata: dal venditore di un animale nei confronti di chi lo

avesse acquistato per un sacrificio, ma poi non gli avesse pagato il prezzo, nonché dal

proprietario di un animale nei confronti di chi lo avesse preso in locazione senza

pagare il canone, oppure, dal soldato che non avesse ricevuto il suo stipendio, nei

confronti di colui il quale era incaricato di corrispondere il saldo militare. A seguito del

pignoramento, l’attore tratteneva presso di sé il bene pignorato finché l’oppignorato

non eseguisse la prestazione.

Le prime tre leges erano definitive DICHIARATIVE, mentre le ultime due ESECUTIVE.

PROCESSO FORMULARE

Esso restò diviso in due fasi: fase in iure e fase apud iudicem.

Per dare impulso al processo era necessario che:

L’interessato comunicasse l’azione esperita alla persona che voleva

 citare in giudizio;

L’interessato compisse l’atto privato della vocatio in ius (citazione in

 giudizio).

Per ottenere un differimento dalla prima udienza, il convenuto poteva offrire un

vindex, cioè un garante il quale promettesse la comparizione in giudizio del

convenuto nella nuova data fissata dal magistrato, oppure, il convenuto poteva

effettuare personalmente, mediante stipulatio, una promessa di pagamento di

una penale per l’ipotesi di una sua mancata comparizione in iure nella data

stabilita.

Qualora il convenuto non fosse poi comparso dinanzi al magistrato, sarebbe

stato considerato latitante, dunque colpito da missio in bona pretoria con

conseguente vendita all’asta dei beni.

Una volta comparse in iure le parti, il processo aveva inizio.

Alle origini questo processo poteva svolgersi in relazione a lite insorti tra due

stranieri a Roma o tra un cittadino romano e uno straniero.

Solo dopo la legge Ebuzia esso divenne applicabile alle controversie in cui sia

l’attore che il convenuto fossero romani.

FASE IN IURE

Affinché il procedimento in iure avesse inizio, occorreva la comparizione delle

parti. In ipotesi di mancata apparizione di una delle parti non si poteva

procedere.

Una volta presentatisi i contendenti in iure, l’attore doveva enunciare la propria

pretesa, specificare i fatti su cui fondare la richiesta e indicare l’azione

esercitata scegliendo la formula più idonea.

Poteva accadere che mancasse una formula idonea alla fattispecie concreta e

in questo caso, se il magistrato reputava il caso meritevole di tutela, doveva

egli stesso elaborare uno schema di iudicium del tutto nuovo.

Dopo, aveva luogo il contraddittorio fra le parti che aveva la funzione di

chiarire i fatti controversi tra le parti.

Confessio in iure se nell’actio in personam la confessione riguarda un credito

di denaro, l’attore passiamo direttamente alla fase esecutiva. Se invece la

confessione non aveva ad oggetto una somma di denaro determinata, si

rendeva necessario un processo di accertamento per determinare l’ammontare

della somma da pagare.

Il pretore poteva concedere all’attore la facoltà di interrogare il convenuto.

Qualora costui rispondesse affermativamente, il processo continuava. Se la

risposta era negativa, l’attore poteva scegliere se insistere nell’azione,

dimostrando la falsa dichiarazione del convenuto, oppure rinunciarvi.

Il convenuto che rifiutasse di rispondere era colpito da sanzioni.

La fase del processo in iure in genere si concludeva nel giorno stesso del suo

inizio. L’attore intimava al convenuto di comparire in giudizio nel giorno o all’

ora stabiliti. Questa garanzia era chiamata vadimonium.

In molti casi, prima di procedere alla redazione scritta della formula, poteva

rendersi necessaria la prestazione di garanzie.

La fase finale del processo signore prendeva il nome di litis contestatio.

La litis contestatio del processo formulare coincideva con il momento in cui il

magistrato dava lettura dello IUDICIUM, cioè dell’atto scritto che riassumeva

l’inquadramento giuridico della controversia e le parti lo accettavano.

ATTO SCRITTO (IUDICIUM)

Esso constava di poche frasi che componevano un discorso.

Secondo Gaio era necessario che ogni iudicium si componesse di:

1. IUDICIS NOMINATIO

2. DEMONSTRATIO

3. INTENTIO

4. CONDEMNATIO/ADIUDICATIO

La iudicis nominatio si trovava in testa alla formula e veniva espressa con le

parole: “Titius iudex este”. Essa consisteva nella nomina del giudice.

Con la demonstratio (descrizione) si esponeva il fatto, ovvero il rapporto

giuridico su cui si era accesa una controversia.

La demonstratio, ove si fosse inserita, precedeva l’intentio. Essa valeva a

spiegare le ragioni per cui si agiva e perciò era introdotta da un “Quod”.

L’intentio poteva essere certa o incerta.

INTENTIO CERTA di solito si trovava nelle actio in rem, perché certo era

l’oggetto del diritto vantato dall’attore e nelle actio in personam relative ad

obbligazioni del convenuto di dare una cosa determinata.

INTENTIO INCERTA quando il giudicante doveva quantificare la summa

condemnationis.

Quando la intentio della formula era incerta veniva preceduta dalla

demonstratio.

La adiudicatio e/o la condemnatio costituivano le pa

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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher rosandim di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Buzzacchi Chiara.