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SOPRAVVENIENZA DI NUOVI TITOLI DI PRIVAZIONE DELLA LIBERTA'

L'art 51-bis ord. pen., introdotto con la riforma del 1986, ha colmato la lacuna circa la sopravvenienza di un

nuovo ordine di carcerazione a carico di un soggetto già ammesso al regime di semilibertà, all'affidamento in

prova o alla detenzione domiciliare, determinando così in ogni caso l'interruzione della misura in corso con

grave nocumento per i programmi di reinserimento sociale già positivamente avviati.

La nuova disciplina ha introdotto un meccanismo articolato in due fasi tra loro collegate:

intervento de plano del Magistrato di sorveglianza , provvisorio e circoscritto ai profili di legittimità:

– se durante l'attuazione dell'affidamento in prova, della semilibertà o della detenzione domiciliare

sopraggiunge un nuovo titolo di esecuzione relativo ad altra pena detentiva, il Magistrato di

sorveglianza deve verificare se persistono le condizioni oggettive per continuare ad usufruire delle

misure alternative.

In caso affermativo, il giudice monocratico dispone, in via provvisoria, la prosecuzione della misura

mentre, in caso contrario, la sospensione della stessa.

L'accertamento si svolge de plano e si conclude con decreto non motivato;

accertamento definitivo del Tribunale di sorveglianza mediante un procedimento giurisdizionale che

– estende la valutazione ai profili di merito: sulla prosecuzione o cessazione delle misure alternative

deve poi intervenire la pronuncia definitiva del Tribunale di sorveglianza, che valuta, anche nel

merito, se la prosecuzione della misura sia giustificata, dichiarandone altrimenti la cessazione.

L'accertamento si svolge nelle forme ordinarie del procedimento di sorveglianza.

Se il Magistrato di sorveglianza pronuncia decreto sospensivo, l'accertamento del Tribunale si

sostanzia nel sindacato della precedente valutazione; in caso contrario, il Tribunale valuta anche nel

merito l'opportunità di estendere la misura alternativa alla pena cui si riferisce il sopravvenuto titolo

esecutivo.

Il Tribunale deve decidere entro 20 giorni dalla ricezione degli atti, altrimenti si ha la caducazione

del decreto emesso interinalmente dal Magistrato.

SOSPENSIONE CAUTELATIVA DELLE MISURE ALTERNATIVE

La riforma del 1975 non aveva previsto una normativa che consentisse di fronteggiare le situazioni di

periculum in mora derivanti da una distorta fruizione delle misure alternative.

L'art 51-ter ord. pen., introdotto con la riforma del 1986, vuole ovviare a questa lacuna, consentendo al

Magistrato di sorveglianza, una volta che il beneficiario dell'affidamento in prova, della detenzione

domiciliare o della semilibertà tenga un comportamento suscettibile di determinare la revoca della misura, di

disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione del beneficio, trasmettendo immediatamente gli atti

al Tribunale di sorveglianza affinchè esso si pronunci in via definitiva per la revoca o la prosecuzione della

misura alternativa cautelativamente sospesa.

Tale congegno e l'ambito delle misure alternative di riferimento ricalcano quelli di cui all'art 51-bis ord. pen.:

tuttavia, si differenzia da quest'ultimo per il presupposto applicativo e per la necessità che il provvedimento

provvisorio del Magistrato sia motivato.

Il Magistrato di sorveglianza decide con decreto motivato, d'ufficio e senza contraddittorio, contro il quale è

ammesso ricorso per Cassazione.

Affinchè la sospensione cautelativa possa trovare applicazione non basta che ricorrano le condizioni per la

revoca della misura alternativa, ma è richiesto che la loro integrazione derivi dalla condotta contra legem del

beneficiario della misura.

In caso di provvisoria sospensione, il Magistrato deve immediatamente trasmettere gli atti al Tribunale di

sorveglianza competente a pronunciarsi in via definitiva per la revoca o la prosecuzione della misura.

Se il Tribunale accerta l'insussistenza delle condizioni per la recova della misura ne ordina la prosecuzione,

potendo però contestualmente procedere ad una riformulazione restrittiva delle prescrizioni; se, invece,

accerta la sussistenza delle condizioni che la legittimano, dispone la revoca della misura.

Il Tribunale di sorveglianza deve pronunciarsi entro 30 giorni dalla ricezione degli atti, altrimenti si ha la

caducazione del decreto cautelativo del Magistrato di sorveglianza e l'automatica ripresa della misura

alternativa.

Tuttavia, il Tribunale può successivamente revocare la misura in via autonoma.

LA DIFFERENZIAZIONE TRATTAMENTALE

I DIVERSI REGIMI

Per differenziazione trattamentale si intende un'esecuzione della pena privativa della libertà personale che si

attua in modi diversi dal regime ordinario, per le peculiarità dei condannati e le conseguenti valutazioni

inerenti la loro personalità.

Il trattamento differenziale si collega, anzitutto, alla pericolosità del condannato, in due distinte accezione

non necessariamente coincidenti e neppure collegate tra loro:

un primo trattamento differenziato riguarda i soggetti che hanno commesso reati di particolare

– gravità ed elevato allarme sociale, ricollegabili per lo più al crimine organizzato od eversivo.

Nei loro confronti è prevista una disciplina particolarmente severa, sia nella concessione dei benefici

che nel trattamento inframurario.

Sotto il primo profilo, l'art 4-bis ord. pen. prevede che le misure alternative alla pena e i benefici

(eccetto la liberazione anticipata) sono fruibili, nei casi dei reati più gravi, solo mediante l'offerta

della “collaborazione con la giustizia” ex art 58-ter ord. pen., a prescindere da ogni limite di pena,

inflitta o residua, e da ogni ulteriore giudizio personologico.

In relazione agli altri reati richiamati dalla norma, invece, la concessione dei benefici è condizionata

all'insussistenza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata e a più lunghi termini di pena

espiata per potervi accedere;

un secondo trattamento differenziato, invece, riguarda i soggetti portatori di “pericolosità

– penitenziaria”, intendendosi con ciò l'incapacità del detenuto di sottostare alle normali regole di

pacifica convivenza inframuraria.

Il c.d. “regime di sorveglianza particolare”, però, ha trovato scarsa applicazione, sia perchè il

provvedimento applicativo, proveniente dall'amministrazione penitenziaria, è soggetto a reclamo al

Tribunale di sorveglianza, sia perchè l'amministrazione penitenziaria talvolta ha preferito una

sottoposizione di fatto dei detenuti al regime differenziato senza l'applicazione della sorveglianza

particolare.

Altro criterio di differenziazione è quello basato sulla specificità di talune categorie di condannati nei

confronti dei quali l'ordinamento prevede speciali percorsi di alternatività: è il caso dei condannati

tossicodipendenti, che possono beneficiare di misure alternative ad hoc, collocate nel T.U. in materia di

stupefacenti, quindi al di fuori della legge penitenziaria.

Ne consegue un regime trattamentale differenziato, sia per la ratio terapeutico-assistenziale, sia per

l'oggettiva impossibilità dell'istituzione carceraria di farsi carico delle problematiche connesse alla

tossicodipendenza all'interno delle mura della prigione.

Infine, l'ordinamento penitenziario ricollega misure alternative ad hoc ai condannati affetti da infezione HIV,

in considerazione del particolare status in cui essi versano a causa della malattia.

ESECUZIONE DELLA PENA DEL TOSSICODIPENDENTE

Originariamente non era prevista alcuna misura alternativa per il tossicodipendente in misura cautelare ed in

espiazione di pena, ma solo un trattamento terapeutico-assistenziale esclusivamente inframurario.

Agli inizi degli anni '80 sempre più tossicodipendenti finiscono in carcere, determinando situazioni

conflittuali al suo interno: da qui la scelta di decarcerizzare, aggredendo i detenuti tossicodipendenti in attesa

di giudizio, nei confronti dei quali si sono susseguite varie iniziative ispirate ad una logica di favor libertatis

per l'imputato o indagato tossicodipendente che abbia intrapreso un percorso di emancipazione dalla droga.

Successivamente la politica di decarcerizzazione riguarda anche i detenuti tossicodipendenti in esecuzione di

pena definitiva, prevedendo per questi ultimi un regime speciale di alternatività al carcere: inizialmente,

l'affidamento in prova per il tossicodipendente e alcooldipendente che dovessero eseguire una pena detentiva

non superiore a 2 anni e 6 mesi di reclusione e avessero in corso un programma di recuparo;

successivamente, con la riforma del 1986, ciò è divenuto applicabile anche al tossicodipendente che non

abbia in corso, ma solo intenda intraprendere un'attività terapeutica.

Le successive riforme hanno comportato, da un lato il definitivo passaggio della materia dalla legge

penitenziaria al T.U. in materia di stupefacenti, e dall'altro l'introduzione di ulteriori percorsi alternativi al

carcere, mediante la sospensione dell'esecuzione della pena per il condannato tossicodipendente, nonché il

rafforzamento e l'espansione di quelli già esistenti, con elevamento a 4 anni di pena inflitta per poter

accedere all'affidamento in casi particolari.

Tuttavia questa scelta di politica criminale volta alla decarcerizzazione si è mostrata nei fatti incapace di

decarcerizzare: oggi la maggioranza dei detenuti tossicodipendenti condannati a pena definitiva ristretti in

carcere è nei termini legali per godere sia della sospensione dell'esecuzione, sia dell'affidamento terapeutico,

ma nei fatti non ne gode.

SOSPENSIONE DELL'ESECUZIONE DELLA PENA

Gli artt 90, 91, 92 e 93 del dpr 309/1990 disciplinano la sospensione dell'esecuzione della pena per i

condannati tossicodipendenti, che opera in 3 distinte situazioni:

persona condannata o con pena residua inferiore a 4 anni per reati commessi in relazione al proprio

– stato di tossicodipendenza, qualora si sia già sottoposta ad un programma terapeutico e socio-

riabilitativo;

persona che, fermi restando gli stessi requisiti, abbia attualmente in corso il programma di

– disintossicazione;

persona condannata per il reato di cui all'art 73, 5°comma qualora la pena comminata o il residuo da

– scontare non superi i 4 anni.

L'istituto ha natura premiale, volto a favorire il recupero dei tossicodipendenti che abbiano concretamente

mostrato di volersi adoperare per sottrarsi alla droga e non abbiano più recidivato.

Per la Corte Cost. questo carattere premiale si accompagna ad una connotazione incentivante del recupero

stesso, poiché la mancata prosecuzione del programma comporta sempre la revoca del beneficio.

Data la natura premiale dell'istituto, la magistrat

Dettagli
A.A. 2014-2015
44 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher andrea.pasini1989 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penitenziario e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Pavarini Massimo.