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DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO
19 settembre
Il Diritto Umanitario è il Diritto dei conflitti armati.
Il Primo Protocollo di Ginevra, all’art 82, prevede le figure dei consiglieri giuridici nelle forze
armate. Ci sono ufficiali che tengono dei corsi per essere consiglieri giuridici, i quali affiancano i
comandanti e offrono le loro prestazioni come docenti presso tutti i gradi inferiori. Questo articolo
identifica una categoria di soggetti ben precisa.
Art 83 è relativo alla diffusione della conoscenza di queste figure: ne viene incoraggiato lo studio,
da parte della popolazione civile, in modo tale che le convenzioni siano conosciute tanto dalle
forze armate quanto dalla popolazione civile stessa.
Nella conflittualità contemporanea (non per forza tra soggetti statali) si capisce l’importanza di
rendere la popolazione civile cosciente di questa materia: a inizio novecento, infatti, le vittime della
guerra erano civili solo per il 10%, mentre alla fine del secolo per il 90% 20 settembre
Rapporto tra guerra e diritto
Il Diritto Internazionale Umanitario costituisce parte speciale del Diritto Internazionale stesso, ed è
relativo a questo rapporto. In particolare, il diritto internazionale prende in considerazione la guerra
sotto due profili:
Ius ad bellum: caso in cui uno stato può muovere guerra ad un altro. Disciplina dell’uso
della forza, nella sua legittimità;
Ius in bello: norme che pongono dei limiti all’esercizio della violenza bellica.
Non è più tanto un problema di guerra giusta, non si parla più di guerra, ma di conflitto armato,
soprattutto in Italia, per motivi di pudicizia lessicale; tale termine non appare nel mondo
anglosassone, dove si parla più pragmaticamente di “war”.
La guerra viene concepita come una discontinuità al tempo di pace. Tra gli stati intercorrono delle
relazioni, tra le quali ve ne è una che si chiama “rapporto di belligeranza”. Le ostilità una volta
iniziavano con l’ufficiale dichiarazione di guerra e finivano con un trattato di pace: questa modalità
ora è scomparsa, perché la guerra, almeno ufficialmente, è ripudiata a livello internazionale (la
nostra stessa Costituzione recita, all’art 11 che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali […]”). Già
la Seconda Guerra Mondiale è finita senza trattato di pace.
La guerra, da sempre, è stata considerata come corollario della sovranità, e lo stato riteneva la
guerra espressione delle sue illimitate prerogative. Oggi, la guerra non è più monopolio dello stato
sovrano, ed anzi l’ordine sovrano è elastico, minacciato e frammentato.
Cosa ha indotto gli stati a rinunciare alla guerra come strumento di soluzione di conflitti
internazionali nel 45? Un regime di deroghe, eccezioni al divieto della guerra:
I. Eccezione: possibilità di difendersi→ legittima difesa.
Norma consuetudinaria accolta dalle nazioni unite: legittima difesa come forma di autotutela →
art 51 della Carta ONU → “droit naturel”, cioè il diritto naturale di legittima difesa individuale o
collettivo, a cui si accosta l’obbligo di ricondurre la legittima difesa in un ambito più ampio:
legittima difesa ammessa nella misura in cui la crisi che l’ha cagionata venga ricondotta
nell’alveo delle nazioni unite. Si è discusso sulla legittima difesa preventiva: deve essere
giustificato attacco imminente.
La NATO dà corpo, in qualche modo, alla legittima difesa collettiva:
II. Eccezione: sistema di sicurezza collettivo
Nel corso dell’800, periodo in cui la guerra è stata uno degli strumenti di soluzione di controversie
tra Stati, la violenza bellica era un mezzo “riconosciuto” agli Stati sovrani, e il principio di effettività
faceva sì che il risultato ottenuto con la violenza venisse stabilizzato e formalmente ammesso, non
c’era obbligo di eseguire titolo giuridico.
Con il Trattato di Versailles, stipulato dalla Società delle Nazioni alla fine della Prima Guerra
Mondiale, si tenta di trovare un nuovo regime di accordi, in materia bellica, tra gli Stati Membri,
senza però riuscirci: il Trattato non ha funzionato perché introduceva delle procedure ormai
1
superate, per le quali lo Stato comunque poteva muovere guerra, in quanto non veniva vietato il
diritto a fare la guerra, ma veniva semplicemente regolamentato.
Nel 1928, con il Patto Briand-Kellogg, vincolante per 63 Stati, per la prima volta le alte parti
contraenti dichiaravano la loro condanna alla guerra, vi rinunciavano e accettavano l’impegno a
risolvere pacificamente le controversie. Tale Patto imponeva obblighi a carico degli Stati, e fu
efficace, in quanto venne richiamato in conflitti successivi. Tuttavia, di fatto, né il Trattato né il Patto
sono riusciti a dare una svolta significativa, tant’è che si è arrivati alla Seconda Guerra Mondiale.
Ad ogni modo, a seguito di questa evoluzione normativa, vi è stato uno sviluppo fondamentale: la
formazione di una norma consuetudinaria che precede la Carta delle Nazioni Unite, una norma che
pone il divieto di ricorso alla guerra. Il Patto Briand-Kellogg è comunque stato parametro di
riferimento per risolvere le questioni relative ai rapporti non pacifici fra gli Stati: diventa infatti uno
dei pilastri della prima parte dell’atto di accusa agli imputati del processo di Norimberga.
La Carta dell’ONU viene stipulata il 24 ottobre 1945, e si inserisce in questo contesto storico, in
cui mancava una vera e propria regolamentazione, e nasce in un momento assai delicato, cioè la
fine della Seconda Guerra Mondiale. La Carta esprime una volontà di salvaguardare le generazioni
future dal flagello della guerra: gli artt. 2 e 3 prevedono l’obbligo di soluzione pacifica delle
controversie, e l’obbligo per gli Stati di astenersi dall’uso della forza. Il divieto ha carattere
generale.
Si è anche voluto legittimare l’uso della forza, che ha sostituito il tradizionale Ius ad bellum.
Da un punto di vista istituzionale, si è tentato di introdurre un organo politico: il Consiglio di
Sicurezza, che avesse titolo per disciplinare e decidere come, se e quali misure di sicurezza
adottare→ è un organo politico! Nell’ambito dell’uso della forza, sono poi previste e legittimate
delle operazioni di “peace keeping”, il cui presupposto è il necessario consenso delle parti
coinvolte. Nella Carta si parla di “autorizzazione a distanza”: consiglio di sicurezza autorizza gli
stati a usare la loro forza, entro i limiti del mandato (limiti che, chiaramente, lo Stato supera)
Lo Ius ad bellum si muove verso una costante ricerca della legittimità dell’uso della forza (non
guerra), e una istituzionalizzazione dell’uso della forzavi è comunque una responsabilità della
Comunità Internazionale di fronte alla commissione di crimini di guerra (“responsability protect”),
ma deve essere fatta valere.
IUS IN BELLO (rapporto tra guerra e diritto internazionale)
È il complesso delle norme che si sono formate per limitare la forza bellica e per proteggere le
vittime dei conflitti armati. Da alcuni decenni si chiama diritto Internazionale Umanitario (prima era
“diritto della Guerra”). “conflitto” è una situazione più ampia della guerra: quest’ultima è stata
storicamente la relazione tra stati sovrani, per cui vi era una situazione di conflittualità sovrana
fuori controllo; nel conflitto, invece, non ci sono solo stati, ma anche enti e soggetti non statali:
ciascuno si fa la guerra come vuole. Le norme di Ius in bello si sono formate essenzialmente tra gli
Stati e per gli Stati: ora non solo nei conflitti sono parti soprattutto “non-state actors”, che, appunto,
non sono enti statali, ma anzi tali soggetti sono anche coinvolti nella formazione delle norme. Le
regole ci sono, ma c’è anche una crescente presenza di attori non statali, che complicano la
situazione.
Caratteri
Le norme dello Ius in bello sono di origine antica (radici nel pensiero di teologi, moralisti, filosofi,
…): è antica l’idea della necessità di darsi dei limiti e delle regole comportamentali nella guerra.
Gli elementi utilizzati come descrittori della consuetudine sono:
Diuturnitas: la prassi, la reiterazione di un determinato comportamento da parte di una
collettività;
Opinio iuris sive necessitatis: cioè la convinzione diffusa che un determinato
comportamento sia non solo moralmente o socialmente, ma giuridicamente obbligatorio.
Evoluzione
- VII sec ac: Ciro, re dei persiani, dava ordine di trattare i feriti caldei come quelli persiani → idea
del fatto che i feriti meritino un trattamento particolare; 2
- V sec ac: Sun Su (sovrano cinese): prigionieri di guerra devono essere trattai bene, e il paese
nemico deve essere catturato in mondo intatto, non distrutto;
- Gli ittiti anche avevano norme a tutela dei prigionieri, delle limitazioni all’uso delle armi;
- I greci, nelle guerre tra città stato, consideravano principio essenziale il rispetto della dignità e
della vita umana.
- Il Cristianesimo ha avuto un ruolo importante durante i secoli. Ha iniziato a svilupparsi il
concetto di “guerra giusta”, basato sulla legittimità della causa che motiva la guerra.
Sant’Agostino: il vinto e il prigioniero hanno diritto alla compassione, per cui se devono proprio
morire, lo devono fare per necessità, non per volontà del vincitore.
- La cavalleria medioevale contribuiva a moderare la violenza bellica: misericordia, spirito di
servizio, impegno a proteggere i più deboli → diritto umanitario di ispirazione cristiana. Era
comunque necessario un rapporto paritario tra i due combattenti (vedi crociate).
Nell’Ordine di Malta, i Padri Camilliani (XVI secolo) portavano un emblema con la croce rossa
Contributo importante dalla dottrina:
- Ugo Grozio. “Temperamenta belli”, allegato a “De iure belli ac pacis”: constata nel mondo
cristiano una mancanza di moderazione nell’uso della forza;
- 1385, Riccardo II, re d’Inghilterra: “Ordinance for the government of the army”, che stabilisce
dei limiti all’uso della forza durante i conflitti, tipo il divieto di violenza contro donne e preti
disarmati;
- Altre regole, contenute in codici, emanati da sovrani;
- “Articles of war”, della Gloriosa Rivoluzione;
- 1747, sera della battaglia di Fontenuau: sovrano definisce che i nemici feriti non sono più
nemici.
La svolta nella formazione delle norme di diritto Internazionale Umanitario, av