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Estratto del documento

Protocollo 22/1/2009 inaugura il periodo della contrattazione separata è chiamato “accordo quadro”

(perché è stato poi attuato da altri due accordi) aveva durata quadriennale. Dunque è sparito. Nel 2008 i

sindacati hanno cominciato ad incontrarsi perché volevano rivedere l’accordo del ’93. L’accordo ha fatto

storia, anche se ormai è superato, perché è il primo accordo sindacale che riconosce l’esistenza del

problema della eventuale deroga in peius del contratto nazionale nei confronti dell’aziendale. Questo è

anche un accordo separato, perché la Cgil non ha voluto sottoscriverlo perché l’accordo prevedeva la

possibilità di contenere “specifiche intese modificative” del contratto nazionale (=deroghe) e le aveva

proceduralizzate: prima di inserire le clausole si doveva comunicare ai nazionali, poi eventualmente

inserirle, successivamente valutate. Non era un contratto rivoluzionario, però la Cgil non era disponibile a

riconoscere di consentire all’aziendale sulla carta di derogare in peius. Per questo inaugura il periodo della

contrattazione separato. Questo accordo interveniva anche sulla durata dei contratti collettivi, cambiando i

termini e prevedendo che sia per la parte economica sia per la parte normativa, la durata fosse triennale.

Perché in questo modo si calmavano i rinnovi (che in genere aumentavano i minimi).

Protocollo 28/6/2011 I sindacati dopo 2 anni di caos decidono di incontrarsi per stipulare un accordo

interconfederale unitario. L’accordo, che poi entrerà nell’accordo 2014, è molto innovativo. Questo accordo

per evitare il contratto separato a livello aziendale, ha valorizzato il criterio di maggioranza (mentre prima

non si voleva cedere e si decideva all’unanimità) e ha affermato che valido erga omnes era il contratto

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stipulato con la maggioranza. I rapporti tra i livelli vengono riconosciuti come rapporti liberi, cioè il

contratto collettivo aziendale può contenere specifiche intese modificative delle regolamentazioni

contenute nei contratti collettivi nazionali. Perché si dice che i contratti collettivi aziendali possono definire

in via sperimentale temporanea ma nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi

nazionali. Quindi il contratto aziendale è libero di derogare ma è proceduralmente vincolato al nazionale.

Finché i contratti nazionali non prevedono queste procedure, l’aziendale non può derogare? Può derogare

ma a) solo in particolari situazioni e b) solo per particolari materie e c) sempre d’intesa con le organizzazioni

sindacali nazionali. Il timore era che il nazionale non intervenisse mai ad introdurre le procedure.

La 1° condizione riguarda una situazione di crisi o in presenza di investimenti significativi. Il riferimento

all’investimento è a Marchionne e al contratto di Pomigliano.

La 2° condizione: le materie possono riguardare la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del

lavoro (non la retribuzione). Queste sono le deroghe di Pomigliano in cui i minimi erano stati aumentati, ma

gli orari erano stati peggiorati.

La 3° condizione: “d’intesa con le organizzazioni sindacali nazionali” è un tentativo di proceduralizzazione: il

sindacato non può procedere da solo ma deve farsi carico di avvisare il sindacato nazionale. Non significa

però che il sindacato nazionale dev’essere d’accordo, ma neppure deve rimanere all’oscuro.

Emanato l’art. 8 l. 148/2011 che si occupa anche del rapporto tra contratto aziendale e contratto nazionale

che fece scandalo: questa norma contrasta con il tradizionale astensionismo legislativo in materia

sindacale: si attribuisce con esso al contratto aziendale o territoriale (c.d. contratto di prossimità) la facoltà

di derogare in peius sia ai contratti collettivi nazionali superiori, sia alle norme di legge. Lo scandalo sta

innanzitutto nel fatto che abbiamo una norma di legge, inoltre prevede per il solo contratto aziendale di

derogare in peius. Si tratta di derogare non solo ai contratti collettivi nazionali di livello superiore, ma alle

norme di legge; il contenuto secondo alcuni è incostituzionale, perché non tiene conto che la norma è

inserita in un sistema. La norma reca in sé delle condizioni:

a)solo per certe materie, ma l’elenco di materie è molto fitto. Può derogare alle materie della modalità di

assunzioni, delle mansioni, delle conseguenze del licenziamento illegittimo (oggi presenti nell’art. 18). Si

destruttura il diritto sindacale attraverso il conferimento di questa enorme facoltà di deroga.

b)rispetto dei limiti che derivano dalle norme costituzionali e dalla normativa europea e internazionale sul

diritto del lavoro. La costituzione non tratta di licenziamenti, cita solo la tutela del lavoratore, sono poi le

leggi ordinarie che danno dei precisi limiti. L’unico limite costituzionale è quello della sufficienza del salario.

c) vincoli di scopo: si può derogare solo per perseguire determinati obiettivi come la salvaguardia dei livelli

occupazionali, promuovere l’occupazione, migliorare la qualità del lavoro in impresa, consentire

investimenti nell’impresa. Anche questi vincoli sono troppo generali, non sono in grado di contenere un

eventuale contratto aziendale che voglia derogare ad istituti classici e garantistici del diritto del lavoro.

La disposizione si occupa anche dei contratti territoriali (si collocano sotto il livello nazionale e sono

stipulati a livello provinciali nelle aziende in cui il sindacato non esiste o è troppo debole per negoziare).

L’art. 8 afferma poi che i contratti di prossimità, se sono stipulati da soggetti aziendali collegati ai sindacati

comparativamente più rappresentativi, secondo un criterio maggioritario, sono efficaci per tutto il

personale dell’azienda o dell’area territoriale considerata (= efficacia erga omnes). Questa è la parte meno

innovativa dell’art. perché una delle novità del protocollo 2011 è il criterio maggioritario.

Per le RSU il criterio maggioritario è facilmente applicabile perché prevedono un certo numero di

componenti, i quali sono stati eletti dai lavoratori. Per le RSA è più difficile, sono emanazioni del sindacato

esterno; bisogna innanzitutto guardare a quante RSA ci siano in una stessa azienda, su queste si fa il calcolo

della percentuale di rappresentatività che hanno i sindacati esterni che le hanno riconosciute. La

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percentuale di rappresentatività: bisogna raggiungere almeno il 5% della categoria/area/gruppo e per

raggiungerlo abbiamo due criteri:

1) criterio associativo: fa riferimento al numero delle deleghe che i lavoratori rimettono al datore di lavoro

perché questi effettui la trattenuta dalla loro busta paga per l’equivalente della quota di associazione.

2) criterio elettivo: consiste nel numero dei voti che hanno riportato le singole sigle sindacali nell’occasione

dell’elezione delle RSU. Perché le RSU vengono elette, i sindacati presentano delle schede su cui votano i

lavoratori, contando i voti, la sigla potrà affermare quanta rappresentatività ha.

Il criterio associativo, sommato al criterio elettivo entra in una composizione e fa media, il risultato della

media consente di capire se il sindacato raggiunge il 5%. Il sistema di computo della rappresentatività a

livello nazionale, nel settore privato è stato introdotto solo nel 2011, dal punto 1 dell’accordo

interconfederale. Questa stessa disciplina si trova nella prima parte dell’accordo interconfederale del 2014.

I calcoli li fanno IMPS e CNEL insieme. Oggi il CNEL è in via di abolizione. Questo metodo di calcolo di

rappresentatività, è stato copiato dal settore pubblico che lo ha delineato dal ’93, cioè dalla data di

privatizzazione del settore di impiego pubblico.

Protocollo 31/5/2013 riguarda il contratto nazionale, non quello aziendale.

Protocollo 10/1/2014 testo unico di rappresentanza in cui sono confluiti gli accordi 2011 nella sua parte

3° e 2013.

I rapporti tra le fonti

 Contratto collettivo vs legge 

- Modello classico (mai superato, solo affiancato) deroga in melius, mai in peius

- Modello dei tetti massimi elaborato per superare la crisi spirale prezzi-salari; salvato dalla Cort. Cost.

- Modello della deregulation secca o morbida (p.e. art. 4 l. 223/’91)

 Contratto collettivo vs contratto individuale

- Giurisprudenza: applica il 2077 [nullità clausole difformi + sostituzione ipso iure]; Efficacia REALE 

- Dottrina: a) modello dismissione dei poteri individuali; b) modello della sovraordinazione dei sindacati nullità clausola

difforme (no sostituzione), efficacia OBBLIGATORIA

- Legislatore: 533/’73 modifica il 2113 co. 1 [invalidità delle clausole: impugnazione entro 6 mesi dalla cessazione di fine

rapporto]

 Contratto individuale vs legge

Stesso rapporto che ha qualsiasi contratto vs la legge: inderogabilità in peius

 Rapporti tra contratti collettivi

- Giurisprudenza ’78: a) mandato ascendente; b) mandato discendente

sistema entra in crisi, allora interviene la

- Dottrina: a) criterio di specialità (dà certezza al diritto ma non stabilità); b) criterio di posteriorità (ancora applicato; dà

stabilità ma non certezza al diritto. I MINIMI sono il punto di RESISTENZA)

- Protocolli:

o Protocollo ’93: “specializzazione” del contratto individuale vs l’aziendale (= contratti aziendali non possono regolare

materie già regolate dal nazionale)

o Protocollo 2009: l’aziendale può derogare in peius il nazionale

o Protocollo 2011: rapporti liberi tra aziendale e nazionale (= possibilità di deroga) ma a 3 condizioni:

a) situazioni di crisi/investimenti in azienda

b) per determinate materie (tutte tranne la retribuzione)

c) “d’intesa col sindacato nazionale” (= in realtà è solo un diritto d’informazione del nazionale)

- Art. 8 l. 148/2011: l’aziendale può derogare in peius sia il nazionale, sia la LEGGE, ma a tre condizioni:

1) per determinate materie (molto ampie; no retribuzione)

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2) nel rispetto della Costituzione, delle norme UE e di quelle internazionali

3) con vincolo di scopo (es. mantenimento livelli occupazionali, licenziamenti, investimenti)

Il contratto collettivo

Le tipologie

Ci sono, sulla carta, vari tipi di contratto collettivo, ma uno è dominante rispetto agli altri.

 

contratto collettivo corporativo nell’ordinamento fascista era fonte del diritto. Aveva a corredo

una disciplina legislativa che ancora oggi è contenuta negli artt. 2060 e ss. c.c.. Questo

Dettagli
A.A. 2016-2017
40 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sara.andresano di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Lunardon Fiorella.