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Laddove non sia indifferente per l’alienante chi esegue la controprestazione, la prelazione non può
operare – per esempio in materia di permuta, di donazione – dove manca anche il prezzo, indicato
dalla legge, oltre che la fungibilità.
L’idea che sta alla base di questo orientamento è quella di tutelare l’interesse dell’erede che aliena:
la sua autonomia privata non può e non deve essere sacrificata, il sacrificio determinato dalla
prelazione è minimo se si tratta di vendita, diventa invece pregiudizievole in caso di donazione o di
permuta o in tutti i casi in cui la prestazione è infungibile e non può essere compiuta che da una
persona determinata. 65
Il diritto di prelazione deve essere esercitato “entro due mesi dall’ultima notifica di proposta di alienazione,
in caso di mancata notifica, i coeredi hanno diritto di riscattare la quota dall'acquirente e da ogni successivo
avente causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria”, alcune sentenze pongono comunque il limite
della prescrizione decennale, perché è un principio generale.
Qual è la natura di questa notifica?
Si ammette l’inesattezza della norma – la notifica normalmente nel linguaggio giuridico è formale – ma qui
si ammette una notifica stragiudiziale, sebbene documentata (es. raccomandata).
La norma parla di “proposta”, è vincolante questo riferimento o anche in questo caso si può pensare ad una
interpretazione correttiva, come nel caso della notifica?
Se l’oggetto deve essere una proposta, si deve pensare che nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza della accettazione, si ha conclusione del contratto e quindi si elimina alla radice la possibilità di
un ripensamento da parte del coerede che intende alienare.
Il coerede alienante potrebbe avere interesse di proporre la vendita ad un coerede, ma eventualmente se il
coerede dicesse sì, cambiare idea e decidere di non alienare più.
Inoltre, la comunicazione di alienazione non può essere considerata come proposta, perché non ne
contiene tutti gli elementi, può essere un invito a proporre, semmai.
La nostra giurisprudenza afferma che il temine proposta non va inteso in senso letterale, ma è sufficiente
un mero interpello – la comunicazione, anche difettosa da un punto di vista formale, dell’intenzione di
vendere ad un determinato prezzo. L’accettazione non produce un effetto traslativo, ma occorrerà un
nuovo incontro di volontà.
Problema a cui non c’è riposta: sembra chiaro che il rimedio contro la violazione della prelazione è il
riscatto, il quale ha senso quando il bene è venduto al terzo: cosa succede se l’alienante non notifica la
proposta di alienazione al coerede, ma con l’estraneo poi non si arriva alla vendita? Questo non sembra dar
luogo ad alcuna conseguenza – ed infatti la norma nemmeno ne tratta – tuttavia qualcuno ha ipotizzato che
la notizia della trattativa e della proposta di vendita giunga al coerede aliunde (= per via di un terzo), il
coerede potrebbe esercitare il diritto di prelazione e quindi acquisire la quota? Se si risponde
negativamente – risposta più conforme alla lettera del codice – si deve giungere alla conclusione che il
coerede non ha altra scelta che si verifichi la vendita al terzo per poi riscattare, cioè il diritto di prelazione in
questo caso esiste quando esiste la collaborazione del coerede alienante [ma questo sarebbe anti-
economico].
La donazione
È un istituto strano: è un contratto però regolato nel libro delle successioni ed ha tanti punti di contatto con
la sfera delle successioni.
Il codice guarda alla donazione come ad un anticipo di eredità che deve essere conteggiato nel caso di
lesione delle quote di riserva insieme al relictum; le donazioni vanno considerate anche nel momento della
divisione attraverso l’istituto della collazione.
Ciò che unisce attribuzioni mortis causa e donazioni è l’intento liberale.
La donazione è un istituto strano anche perché connotata dalla gratuità: non dà vita ad uno scambio, ma ad
una attribuzione unilaterale senza alcun corrispettivo. Occorre però puntualizzare per non confondere
gratuità e liberalità: la donazione ha una disciplina molto capillare negli artt. 769 e ss. e dunque vanno
delimitati i confini della donazione per escludere altri contratti dall’ambito di applicazione delle donazioni
perché donazioni non sono. 66
Art. 769 “La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra,
disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione.”
Elementi caratterizzanti la donazione tipica:
a) La gratuità: la donazione è sempre un atto a titolo gratuito, non prevede un corrispettivo. Tuttavia
la donazione può essere gravata da un onere: esiste la donazione modale e il valore dell’onere può
essere anche cospicuo, ma in ogni caso questo non incide sulla gratuità della donazione. L’onere
non è una prestazione corrispettiva che trasforma la donazione in un contratto di scambio, semmai
è una limitazione della liberalità – dono 100 ma gravo il beneficiario dell’onere di 20: in realtà ho
donato 80, non ho avuto una prestazione corrispettiva. Il fatto che non sia una prestazione
corrispettiva lo si desume dall’inadempimento: l’inadempimento dell’onere non dà luogo alla
nullità della donazione.
Un dubbio può sorgere sull’onere assorbente [= onere che esaurisce la liberalità], in questo caso si
è ancora in presenza di donazione? Sì, ma dell’onere si deve tenere conto: ex. art. 793 “il donatario
è tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata”.
Il beneficio è del tutto disinteressato: non esiste nel dante causa alcun interesse economico. Ci sono atti di
questo tipo che non sono donazioni.
b) La spontaneità/liberalità: la donazione deve essere necessariamente un atto spontaneo. La
liberalità si spiega nel momento in cui non c’è un obbligo. Si ritiene nullo il preliminare di
donazione, perché non si può obbligare a donare: l’atto compiuto come adempimento, non
sarebbe una donazione, mancherebbe spontaneità in quanto atto dovuto: è nullo per impossibilità
dell’oggetto/causa.
La liberalità dev’essere tale per cui l’atto di attribuzione gratuita non dev’essere sorretto dall’intento di
adempiere ad un dovere morale o sociale, perché anche questo intento farebbe venire meno spontaneità e
liberalità – si fa riferimento alle obbligazioni naturali (= obblighi non imposti dal diritto ma che la coscienza
comune ritiene esistenti in quanto moralmente doverosi. Non sono coercibili ma non danno luogo a
ripetizione). Le obbligazioni naturali risolvono anche il problema del formalismo delle donazioni – che
devono avvenire per iscritto – es. fra conviventi, le donazioni vengono viste alla luce di obbligazioni naturali
di mantenimento.
La necessità di coordinare le obbligazioni naturali con l’istituto delle donazioni remuneratorie: art. 770 “È
donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per
speciale rimunerazione.
Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in
conformità agli usi”. La donazione fatta per riconoscenza è difficilmente distinguibile dalle obbligazioni
naturali. Si tende a dire che il dovere morale e sociale abbia connotati più collettivi ed oggettivi, non è solo
il punto di vista del donatario – dove ci sarebbe mera riconoscenza.
c) Arricchimento del beneficiario: la donazione deve dare luogo ad un arricchimento del donatario,
salva l’ipotesi dell’onere assorbente. L’arricchimento normalmente consiste nell’attribuzione di un
bene, però il donante potrebbe beneficiare il donatario assumendo nei suoi confronti
un’obbligazione a titolo gratuito. Questa previsione è una novità del codice del ’42.
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Per la dottrina prevalente la norma va riletta in chiave storica e sistematica, per cui l’obbligazione va intesa
come un’obbligazione di dare (es. mi obbligo a corrisponderti una somma di denaro) e non di fare; perché
altrimenti non si potrebbe più trovare un criterio distintivo tra una donazione e un trasporto gratuito – che
però è un contratto tipico disciplinato dal IV libro.
La disciplina della donazione
La donazione è un atto formale che richiede l’atto scritto e la presenza irrinunciabile di due testimoni,
dunque è un atto solenne. Fanno eccezione a questo formalismo la donazione di modico valore [concetto
che varia a seconda della capacità economica del donante, ma sicuramente ha ad oggetto beni mobili e
dev’essere compiuta con traditio (la consegna della cosa mobile)] e la liberalità d’uso (liberalità quali i regali
di compleanno, Natale, etc.).
La donazione obnuziale ha una disciplina particolare art. 785 “La donazione fatta in riguardo di un
determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o
dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce effetto finché
non segua il matrimonio.
L'annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione. Restano tuttavia salvi i diritti acquistati
dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la
nullità del matrimonio. Il coniuge di buona fede non è tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente
alla domanda di annullamento del matrimonio.
La donazione in favore di figli nascituri rimane efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del
matrimonio putativo.”, ha un formalismo attenuato perché si ritiene che si compia anche senza
accettazione espressa, ma trovando la sua causa nel matrimonio, non produce effetti finché non segua il
matrimonio. Qual è la qualifica giuridica della donazione obnuziale? alcuni ritengono che sia un contratto
unilaterale – che si perfeziona con il silenzio dell’oblato, schema delineato nell’art. 1333, altri di un atto
unilaterale.
I donatari possono rifiutare in questo caso la donazione, siccome non c’è bisogno di accettazione? Il dubbio
nasce dal fatto che la legge nulla dice, ma la possibilità di un rifiuto è una costante nell’ordinamento
(le