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Estratto del documento

Due provocazioni:

1) Rispetto per le culture.

Le politiche migratorie norvegesi si basano principalmente su tre premesse irrealistiche e

utopistiche:

a) gli immigrati hanno diritto al rispetto della loro cultura: il rispetto deve, secondo U. Wikan,

essere conquistato/ottenuto, e non richiesto di principio, fornendo loro una chance di lavorare, di

fare e di diventare dei cittadini mettendoli continuamente alla prova;

b) l’aspettativa che i migranti diventeranno buoni e leali cittadini se noi soddisfiamo i loro bisogni

materiali primari fornendogli quindi una abitazione adeguata, del cibo, una connessione a internet

etc: ma tutto questo non crea rancore e opposizione alla società indigena?;

c) c’è un concetto di cultura che domina a livello governativo il quale assume che la cultura si rifà

ad un corpo di tradizioni statiche e oggettive alle quali in massa i migranti vi aderiscono: l’idea è

che chi viene da una certa nazione condivide usi, tradizioni e costumi statici con effetti deleteri.

Queste tre premesse ruotano attorno alla incomprensione nell’arena pubblica del concetto

antropologico di cultura ed il saggio di Wikan è contro l’accoglienza in quanto in esso si sostiene

che deve esserci una capacità da parte delle persone di trasformare anche le proprie culture di

appartenenza.

2) Il welfare.

A seconda delle aree di provenienza vi sono grandi differenze per ciò che concerne soprattutto

l’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro: ad esempio in Norvegia l’80% dei Tamil ha un

lavoro contro il 10% dei somali e dei vietnamiti. L’idea è che più le comunità sono aiutate e meno le

persone di quelle comunità trovano lavoro e questo provoca una sorta di colonialismo del welfare.

Una domanda sorge spontanea: l’accoglienza non rischia di diventare una forma di colonizzazione?.

Crisi del concetto antropologico di cultura:

- A causa degli usi reificanti;

- A causa della sua staticità;

- A causa del fatto che più che unire tende a dividere.

È la crisi del concetto antropologico di cultura ma è anche la crisi dell’antropologia stessa.

Si sviluppa una corrente antropologica autocritica che denuncia le inadeguatezze proprio del sapere

antropologico, anche se in realtà questa crisi avviene negli stessi anni in cui quello stesso tipo di

sapere viene considerato come capace di decifrare ciò che avviene nel mondo contemporaneo ancor

più della sociologia e della psicologia.

Come usciamo da questa crisi e con quali soluzioni? Due possibili strade:

1) No cultura/e.

Possiamo sostituire il concetto di cultura con discorsi? O con Società? Oppure con individui?.

In questo caso il riferimento è al paradigma liberale/neoliberale che ipotizza l’esistenza nella società

di individui razionali; si parla di homo oeconomicus in grado di scegliere e che è capace di agire e

prendere decisioni consapevolmente.

2) Si cultura, ma…

In questo caso è necessario chiedersi come si può trasmettere al contesto pubblico una visione

dinamica, aperta e critica delle appartenenze culturali. Non dobbiamo dimenticare che le culture

sono dei flussi e delle realtà aperte che non sono in contraddizione con il cambiamento e una ipotesi

per mantenere vivo il concetto di cultura potrebbe essere quella di innestare il concetto di potere

nella cultura stessa oltre che ragionare sulle forme e sui tempi della creatività culturale (culture

intese qui come spazi di trasformazione e di creatività). La cultura è un terreno pubblico di

discussione e di essa non possiamo farne a meno.

U. Wiken, inoltre, dice anche che gli antropologi hanno avuto una forte responsabilità per ciò che

concerne l’utilizzo del concetto di reificazione culturale. Vi sono, però, tante cose che potremmo

fare:

a) Per ciò che riguarda il tema delle migrazioni spostarsi verso i diritti dell’uomo e dei

cittadini;

b) Mostrare gli intrecci che ci sono tra potere e cultura abbandonando la visione innocente di

quest’ultima di R. Keesing. Gli antropologi hanno purtroppo scoperto troppo tardi questo

intreccio potere-cultura e troppo lentamente ora lo stanno districando/analizzando: chi ha il

diritto di produrre la cultura e chi ha il diritto di dire che cos’è la cultura?;

c) Guardare la situazione dei bambini nelle comunità dei migranti. Il parlare di cultura come

qualcosa di rigido e statico significa riprodurre l’idea di cultura come dominio degli anziani,

quando in realtà sono importantissime le dinamiche intra-generazionali in quanto nel passare

da una generazione all’altra le culture vengono sempre parzialmente modificate. Se non

poniamo l’accento sulla trasformazione, infatti, si rischia proprio di trascurare queste

dinamiche che sono fondamentali per i contesti migratori. Ad es.: qual è la cultura dei

bambini che sono nati in Italia? Sicuramente non è la stessa cultura dei loro genitori.

Per un’antropologia non egemonica: il manifesto di Losanna, Saillant e Kilani, 2012

Introduzione (edizione italiana), Prof. A. Favole

Molti autori di questo manifesto non hanno rinunciato alla nozione antropologica di cultura.

Perché?

- La prima ragione è data dal forte utilizzo di questo concetto nel lessico quotidiano. La

cultura proprio in quanto appresa da tutti può essere modificata e trasformata;

- La seconda ragione è data dal fatto che il concetto di cultura non è così reificante come si

pensava, anzi tale concetto lascia aperta la strada alle trasformazioni molto più che il

concetto di alterità.

Lezione 9

Creatività e potere

Per lungo tempo l’antropologia ha avuto forti difficoltà nel cogliere la creatività delle culture:

- Società della conservazione (M. Mead);

- Funzionalismo;

- Strutturalismo (Lèvi-Strauss);

- Teorie abbastanza disponibili al mutamento e alle trasformazioni (anni ’60);

- Attenzione maggiore al mutamento (anni recenti). Il mutamento è un concetto diverso da

quello di creatività in quanto per quest’ultimo intendiamo fenomeni che danno vita ad altri

fenomeni inediti, imprevisti e improvvisati. Nasce così l’esigenza di definire la creatività

delle culture partendo dal mutamento stesso.

Oceania: Isole di creatività culturale, Adriano Favole, 2010

L’obiettivo della ricerca era quella di studiare società che presentassero forme inedite, e non ancora

molto documentare da altri colleghi antropologi, di cultura (società dell’Oceania Centrale ed

Occidentale). Parlando in Nuova Caledonia con esponenti della cultura Kanak venne fuori l’idea

che secondo loro era troppo reificante la percezione che gli antropologi avevano dato della cultura

Kanak: secondo loro, la loro coutume consisteva piuttosto in una serie di strumenti utili per

affrontare il mondo. La cultura, infatti, non è solo una stratificazione di significati, di esperienze e

di eventi storici ma essa rappresenta un archivio utile per affrontare il presente e le sfide di

adattamento che offre la contemporaneità. La cultura è tradizione o è un apparato utile a/per

qualcosa?

La cultura è un inventario di possibilità che ci serve per vivere nel mondo contemporaneo; la cultura

è una sorta di mappa di orientamento e gli strumenti per orientarci sono forniti dalla cultura stessa.

Fin dall’inizio degli anni ’80 i Kanak hanno sempre cercato di prendere posizione per cercare di

rivendicare una indipendenza ed autonomia dalla Francia, ridefinendo la loro cultura, ma non

volevano conservare la cultura Kanak bensì diventare Kanak nella contemporaneità e nel progresso.

Nel libro si fa affidamento in particolare agli insegnamenti di un leader indipendentista chiamato

Tjibaou il quale verso la metà degli anni ’80 sviluppò un pensiero volto ad allargare gli aspetti di

creatività culturale; secondo lui la cultura è una riformulazione permanente e l’identità di essa si

trova sempre davanti a noi e mai dietro.

Nella definizione di questo nativo-antropologo-politico la nozione di cultura subisce così una

inversione in quanto cultura e identità si definiscono come progetti e non come eredità o patrimoni

ereditati dal passato. Afferma, inoltre, che il suo problema non è quello di essere per metà Francese

e per metà Kanak, il problema è che i francesi che vivono in Nuova Caledonia non sono kanakizzati

e rifiutano la kanakizzazione. L’obiettivo è quello di richiedere allora non tanto di bloccare la

francesizzazione dei Kanak ma far entrare i francesi all’interno di quella specifica umanità.

Forme di creatività delle culture:

- J. Clifford parla della creatività in termini di articolazione. Le società del Pacifico

presentano interessanti forme di articolazione fra tratti culturali che hanno origini anche

molto differenti. L’articolazione è una metafora tratta dalla linguistica mettere insieme le

diverse parole al fine di costruire un discorso concreto. Nell’isola di Futuna (Polinesia

occidentale) sono articolate forme economiche molto diverse: se da una parte troviamo le

economie del dono dall’altra troviamo le economia di mercato. Secondo gli antropologi

l’economia del dono si ritrova nei casi in cui i beni vengono scambiati nella logica della

reciprocità piuttosto che del profitto; in questi casi bisogna fare un contro-dono ma non

immediatamente bensì quando si presenterà il momento opportuno in quanto l’importante è

mantenere una reciprocità basata sul debito. A Futuna, ad esempio, questo tipo di economia

la ritroviamo nel campo dell’orticoltura locale, nella vendita delle stuoie di corteccia o delle

stoffe dipinte.

- Meticciato. L’articolazione ed il meticciato sono due logiche che restano in parallelo e per

gli oceaniani è importante far capire anche agli antropologi che nel loro progetto deve essere

sempre mantenuto il doppio binario ovvero da una parte vivere nel binario della coutume e

contemporaneamente dall’altra vivere nel binario della modernizzazione. I Kanak vogliono

sentirsi uomini della città da una parte ma anche rappresentanti del popolo della tribù

dall’altra. L’obiettivo è ad esempio quello di kanakizzare la città di Numea anche se ad oggi

solo il 5,6% dei nomi di via e toponimi della città è attualmente oceaniano o Kanak e i

monumenti sono quelli che un turista si aspetta di vedere in una città europea (es.

monumento ai caduti). A differenza del concetto di articolazione, quello di meticciato

rappresenta un aspetto che comprende sia trasformazione che ibridazione.

- Jean-Loup Amselle parla di creativit&agr

Dettagli
A.A. 2017-2018
41 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandro.lora-1993 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Favole Adriano.