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TRANSIZIONE ALLA GENITORIALITA’
Aspetti biologici, psicologici e socio-culturali.
Per capire come un adulto sperimenta, considera ed esercita la sua funzione di genitore occorre prestare
attenzione alla sua storia infantile. La nascita del figlio è l’elemento che può slatentizzare le questioni non
risolte dell’infanzia e dell’adolescenza. Tutti gli autori concordano che la genitorialità è una fase specifica
diversa da quella adulta, cui si accede attraversando una crisi evolutiva.
Winnicot, Bion e Stern: le intuizioni di questi psicoanalisti sono state confermate dalla ricerca evolutiva;
holding, contenimento e reverie materna hanno messo in evidenza come lo sviluppo del potenziale del
bambino è molto connesso a come ci si prende cura di lui, quindi alle competenze genitoriali.
È stato molto più studiato il processo di accesso alla genitorialità nelle donne, a partire da Winnicot con la
preoccupazione materna primaria e da Stern col concetto di costellazione materna: le madri non sono sol
odonne adulte; tra genitore e bambino c’è un passaggio psicologico per cui i confini dei due non sono definiti,
ma sono sistemi aperti interconnessi.
Bisogna integrare un nuovo ruolo dal punto di vista sociale ma anche della strutturazione del sé. Bisogna
riposizionarsi rispetto ai propri genitori; riconoscimento di sé meno rispetto all’essere figli e più rispetto al
nuovo ruolo di genitori; deve essere disinvestito del proprio ruolo il proprio genitore, per investire lo stesso
ruolo sul sé. Il passaggio richiede una revisione del narcisismo dell’adulto: diventare genitori permette una
gratificazione narcisistica importante poiché si acquisiscono caratteristiche di forza, grandezza, potere che
erano viste nell’infanzia nei propri genitori; bisogna però anche rinunciare a gratificare i propri bisogni
narcisistici per mettere in primo piano quelli dei figli.
Questo lutto evolutivo viene risolto identificandosi con i propri genitori interiorizzati (cioè come sono stati
sperimentati e vissuti) per identità o per opposizione (essere un genitore uguale o diverso rispetto a quello che
si è avuto). Quanto più è consapevole, elaborato il riconoscimento e quindi la possibilità di narrare la propria
vicenda personale, tanto più in grado sarà l’individuo di scegliere in che modo approcciarsi ai suoi figli. Se
invece sono intervenute difese a bloccare la possibilità di rielaborare l’esperienza, la persona sarà
inconsapevolmente determinata da questo.
Il lutto evolutivo comporta un rischio depressivo. C’è anche un lutto che riguarda la perdita dei propri genitori,
reali e fantasmatici (fare i conti con la delusione o disillusione, nel ripensare e valutare la propria storia
infantile, della perdita della fantasia dei propri genitori idealizzati; in base a quanto è tollerabile questa perdita
il genitore avrà meno bisogno di compensarla nel suo rapporto col figlio).
Il nuovo genitore si identifica anche, in modo proiettivo, col figlio vedendolo come il bambino che egli stesso è
stato nell’infanzia.
La relazione genitori-figli è reciproca: il bambino è competente nella capacità di attivare il genitore, le
caratteristiche di un figlio si incontrano con l’identificazione del genitore a creare un pattern di relazione (il
genitore diventerà diverso in base alle caratteristiche del bambino e viceversa).
L’identificazione proiettiva non è solo un meccanismo di difesa, ma anche una modalità comunicativa; può
avere qualità positiva o negativa; può veicolare anche rappresentazioni dei genitori interiorizzati o di altre
figure significative. Se ci sono stati lutti di genitori o altre persone importanti può essere proiettata la loro
immagine sul bambino per riprodurre la relazione perduta.
Marzano, Palacio Espasa, Zilkha: quando nell’identificazione proiettiva prevale la componente libidica
(affettiva, legame d’amore) ha valore strutturante, permettono al genitore di comprendere gli stati affettivi ed
emozionali del figlio empaticamente e di sostenerlo con aspettative positive, non sono eccessivamente
costrittive e vincolanti per il bambino. Sono le diverse modalità di risoluzione del lutto evolutivo nel passaggio
alla genitorialità a produrre diversi modi di essere genitore: identificazione proiettiva sul figlio,
controidentificazione complementare (nel ruolo del genitore interiorizzato) che si traduce in una dinamica
relazionale interazionale agita che ha uno scopo inconscio nell’attualità.
CONFIGURAZIONI CLINICHE TIPICHE DEGI SCENARI NARCISISTICI
Immagine proiettata del bambino trascurato, abbandonato che ha sentito di essere stato nell’infanzia; oppure
immagine di bambino idealizzato, perfetto; oppure immagine danneggiata che identifica il bambino come
disturbato, inadeguato, incapace che sente di essere stato.
La genitorialità può essere trattata in modo focale rispetto al complesso della personalità perché è una neo-
formazione e quindi ha caratteristiche di mobilità.
Pre-transfert positivo col terapeuta, basato sulla fiducia che predispone i genitori ad ascoltarlo e modificarsi
(predisposizione al transfert, atteggiamento positivo verso l’analista). Spesso riecheggia il tipo di transfert che i
genitori hanno sul figlio: identificazioni di tipo empatico, vogliono il bene del figlio. I genitori che arrivano
diffidenti, spaventati, hanno un tipo di transfert sul figlio carico di vissuti negativi.
CONFLITTI DI GENITORIALITA’
Mutualità psichica: le rappresentazioni genitoriali attivano circuiti relazionali capaci di produrre sintomi e
disturbi del comportamento dei figli.
Tra genitori e figli esistono come dei confini aperti, soprattutto con bambini molto piccoli, il funzionamento
psicologico è sostenuto dall’ambiente in cui è inserito (ha potenzialità e temperamento, ma non una
personalità); la regolazione del bambino dipende molto dalle figure di cura.
Collusione di coppia: le difficoltà diverse dei due genitori influiscono entrambe sul disturbo del bambino.
Conflitto di genitorialità normale: al figlio vengono attribuiti aspetti di sé o di figure di riferimento della propria
infanzia carichi di affetti positivi; identificazioni empatiche positive; proiettano nel figlio il bambino amato che si
sono sentiti e si controidentificano nel proprio genitore sufficientemente buono.
Conflitto di genitorialità nevrotico: bisogno di compensare le perdite reali o non reali mediante l’idealizzaizone
(come proiezione sul bambino); attribuzione di ruolo costrittiva.
Conflitto di genitorialità depressivo masochistico: costrizione più vincolante dell’identificazione proiettiva; il
genitore vuole espiare nel presente una colpa del passato, ha una immagine di sé negativa come bambino
difficile; è manifestato da persone che a lungo non hanno voluto avere figli perché non avevano una buona
rappresentazione dei compiti genitoriali; i bambini di questi genitori diventano dei tiranni.
MODELLO TAVISTOCK 0-5
Obiettivi: riattivare le risorse positive della famiglia; interrompere la trasmissione transgenerazionale di
modalità relazionali disfunzionali (togliere i fantasmi dalla stanza dei bambini); promuovere la capacità
riflessiva dei genitori (potenziare, facilitare, sostenere la capacità dei genitori di leggere i comportamenti,
anche sintomatici, dei loro figli come comunicazioni, dargli un significato in termini emozionali).
Compito del clinico: riflettere insieme ai genitori sul significato del sintomo o del comportamento del bambino
nell’attualità e come questo fa sentire o reagire il genitore; fornire contenimento alle ansie; facilitare la
comprensione dei nessi tra la storia infantile del genitore e l’attuale difficoltà col figlio.
Intervento breve: fino a 5 incontri più follow-up a 6 mesi. Sedute congiunte, cioè con tutta la famiglia (con tutti i
figli), ci si ritrova così disponibili nel qui ed ora le emozioni e le interazioni sintomatiche (la famiglia mette in
atto in seduta ciò che di solito accade a casa) potendo verificare in presa diretta ciò che genitori e figli
provano, accelerando così il processo di aiuto e di cambiamento.
Focus dell’intervento è lo sviluppo del bambino.
Approccio che richiede che i genitori abbiano una modalità di funzionamento mentale predisposto in senso
depressivo: questo tipo di intervento è difficile se i genitori sono in difficoltà rispetto ad una presa di
responsabilità riguardo ad un sentimento di colpa e a una volontà di riparazione (hanno un funzionamento
proiettivo, cioè la colpa è fuori, di qualcun altro)
SETTING ESTERNO: insieme di elementi che caratterizzano le modalità che regolano il contesto
dell’intervento clinico (luogo, frequenza, durata, pagamento).
SETTING INTERNO: assetto mentale del clinico, il suo schema cognitivo-affettivo di riferimento (come si
dispone in termini professionali e personale-emozionale). Disponibilità priva di pregiudizi; disponibilità
emozionale a funzionare come contenitore per la sofferenza, l’ansia, la paura. Capacità negativa (Bion), di
sostare nel dubbio, nell’incertezza senza aver bisogno di attribuire razionalmente un significato prima del
tempo; specie in situazioni dove ci sono ansia, paura e dolore importanti il compito del terapeuta non è
rassicurare (o tappare) ma condividere contenendo le emozioni ; riuscire a tollerare il contatto in attesa di
capire meglio e quindi accompagnare il paziente.
Capacità di doppia identificazione e di attenzione bifocale (doppia agenda): prestare attenzione
contemporaneamente a ciò che dicono/fanno i genitori e a ciò che fa/dice il bambino e cercare di comprendere
empaticamente entrambi.
Infant observation: osservazione del neonato, pratica per cui per almeno un anno lo psicologo si reca a
domicilio una volta alla settimana, in un setting osservativo preciso, presso una famiglia con un bambino nel
primo anno di vita, per vedere nel vivo come si forma la mente e avviene lo sviluppo nelle prime relazioni e per
affinare le capacità di osservazione.
Attenzione alla dinamica transferale pur senza interpretarla a fondo (solo letture contingenti).
Il primo colloquio è fondamentale per stabilire l’alleanza di lavoro con i genitori (a volte già qui avvengono gli
scambi più significativi) per stabilire il focus dell’intervento, per fornire un primo contenimento alle ansie.
Facilitare l’espressione libera del problema e cogliere l’atmosfera emozionale. Raccogliere informazioni sul
sintomo, come è vissuto, affrontato, che reazioni produce. Anamnesi associativa, storia del bambino e poi
storia dei genitori. Nel primo colloquio si fa