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Estratto del documento

L’obiettivo della linguistica è quello di fare delle osservazioni generali sulle lingue e sul linguaggio,

che in realtà sono delle astrazioni non osservabili; si analizza un determinato fenomeno, un

campione, di cui sono osservabili soltanto alcuni aspetti, e si giunge ad approssimazioni. Ad

esempio, gli approcci descrittivi, come le grammatiche delle lingue, sono continuamente superati da

altre descrizioni, perché di volta in volta si guardano altre cose. Questo spiega il motivo per cui

siano stati teorizzati gli universali possibili, secondo cui un tratto presente anche in una sola lingua

può essere un universale, in quanto se si verifica in una lingua, senza negarne le caratteristiche,

questo carattere può presentarsi in tutte le lingue. L’approssimazione a cui si giunge è influenzata da

un fattore fondante della lingua, ovvero il suo carattere mutevole, secondo gli assi diatopico,

diamesico, diastratico, diafasico e diacronico. La linguistica cerca di formulare delle regole relative

a qualcosa che sfugge alle regole e che varia continuamente.

Non tutti i linguisti concordano sui dati studiati, esistono diverse possibilità di creare i dati oggetto

di studio: realizzando dei corpora, facendo riferimento ai testi scritti e parlati (approccio già

adoperato nell’‘800) oppure raccogliendo dei dati (alternativa paradossale) basandosi non su quelli

reali, bensì su quelli che potrebbero essere. Infatti, per sviluppare le loro teorie, i generativisti si

basano su frasi possibili secondo le regole di formazione delle frasi, ma che non si usano nel

linguaggio comune. Infine, ci sono le evidenze, le prove, ovvero dei dati che sono ancora più

importanti per determinate teorie e che per altre non lo sono affatto (ad esempio il principio di

proiezione, la funzione “merge” o “unisci” della grammatica generativa non sono riconosciuti come

evidenze dai funzionalisti).

II lezione – 07.03.17

La pragmatica è un ramo della linguistica che studia la lingua nella sua dimensione concreta, si è

sviluppata recentemente negli studi della linguistica moderna, ma in realtà affonda le sue radici nel

pensiero greco. Il primo linguista a parlare di pragmatica è stato il filosofo John Austin negli anni

‘60, ma è negli anni ‘70 e ‘80 che si sviluppa pienamente. Il termine è stato introdotto anche prima

degli anni ‘60 dal filosofo Morris, il quale distingueva nell’ambito della semiotica tra sintassi,

semantica e pragmatica; questa distinzione è stata trasposta successivamente nell’ambito della

linguistica. La sintassi è lo studio della relazione tra i segni (non necessariamente linguistici), la

semantica è lo studio della relazione tra i segni e la realtà, la pragmatica infine è lo studio della

relazione tra le espressioni linguistiche e il loro uso. In quest’ultimo ambito, si prendono in

considerazione il fatto linguistico e il correlato extralinguistico, il contesto d’uso, i partecipanti e i

fini comunicativi. Tutto ciò rientra nella comunicazione e arricchisce il segno linguistico. Quindi, la

pragmatica viene vista come uno studio in cui la lingua è considerata come una prassi sociale.

Austin ha definito le espressioni linguistiche come atti, suddividendoli in varie tipologie. Per

esempio, esiste una differenza tra gli atti constatativi e gli atti che hanno un risvolto pratico nella

realtà (atti illocutivi e perlocutivi). In realtà, la comunicazione ha sempre un fine, non si parla mai

semplicemente per constatare qualcosa. Quindi, anche quando il mittente non formula il proprio

messaggio, facendo riferimento a quelle espressioni che sono indici di atti illocutivi e perlocutivi,

parla con un obiettivo molto preciso. Tutti gli studi di pragmatica sono molto importanti nell’ambito

della linguistica applicata (la linguistica applicata è l’uso della linguistica teorica per fini pratici).

Molte acquisizioni della pragmatica sono state applicate praticamente. Per esempio, nella

comunicazione aziendale, si prendono in seria considerazione gli studi della pragmatica, perché la

comunicazione tra le varie componenti di un’azienda deve essere efficace; se un superiore deve

impartire un ordine a un subalterno, deve sapere come comunicare al meglio un determinato

contenuto.

La retorica è l’arte del parlare nel miglior modo possibile con uno scopo molto preciso, ovvero

quello della persuasione; i primi studi in questo ambito sono stati condotti dai filosofi greci e anche

per loro la riflessione sul linguaggio rientra nel campo della linguistica applicata.

La riflessione sul linguaggio nasce in Grecia, perché il suo territorio è molto frammentato, con

molte isole montuose e le coste frastagliate; questi fattori geografici hanno fatto sì che nel tempo si

sia fossilizzata una condizione di frammentazione linguistica, perché l’ordine normale delle cose è

la pluralità e la varietà delle lingue; mentre durante l’evoluzione e i contatti, si tende alla

semplificazione ed all’unificazione. A causa delle condizioni geografiche della Grecia, la

frammentazione linguistica è stata percepita immediatamente; nel momento in cui si percepisce

l’alterità, si percepisce l’identità e si capisce che questa può essere oggetto di riflessione.

Probabilmente se i greci avessero avuto un’unica lingua standard, non si sarebbero nemmeno posti

delle domande sulla lingua. Per motivi storico-politici, i greci si sono espansi, sono usciti dai loro

confini territoriali, riscontrando un’alterità ancora più marcata, pensando ancora di più che la lingua

fosse un degno oggetto di indagine. Inoltre, i greci non erano così aperti verso l’alterità, infatti,

definivano tutti coloro che non parlavano greco come barbari, cioè balbuzienti.

La retorica nasce nel V sec. a. C. a Siracusa (ambiente italiano della Magna Grecia) per soddisfare

degli obiettivi pratici. Durante un periodo di tirannia, molti beni sono stati confiscati; alla fine di

questo periodo, si sviluppano in modo molto accentuato dei processi, il cui obiettivo è quello di

permettere ai legittimi proprietari di reimpossessarsi dei loro beni. Nascono i primi retori, dei

curatori capaci di persuadere una determinata corte della giustezza (e non giustizia) dell’operazione

di recupero dei beni. I retori, quindi, sono dei conoscitori della lingua greca e di tutte le possibili

strategie comunicative per raggiungere il proprio fine, ovvero persuadere il destinatario della

giustezza di quanto detto. La retorica è poi diventata oggetto di studio; ci sono stati vari studiosi che

si sono dedicati a esaminare quali fossero le migliori strategie retoriche. Successivamente,

Aristotele è uno studioso che riflette sulla capacità e sul potere della lingua, individua tre elementi

che sono sempre presenti in qualsiasi discorso: colui che parla, colui che ascolta (spettatore, giudice

ecc., che per Aristotele coincide con il fine: si parla a qualcuno, che è il destinatario di un

messaggio e il fine del discorso) e l’argomento. Questa tripartizione rappresenta la prima ipotesi di

analisi dell’atto comunicativo. L’argomento oggetto del discorso coincide in parte con il messaggio

e in parte con il contesto, secondo lo schema proposto da Jakobson. Aristotele individua anche i

generi del discorso con le relative caratterizzazioni pragmatiche (classificazione della linguistica

testuale): discorso deliberativo o politico, discorso giudiziario e il discorso argomentativo (il più

ampio). Il discorso politico presenta aspetti relativi al (s)consigliare, promettere, questi verbi sono

prototipici degli atti illocutivi. Il discorso deliberativo è analizzato anche in termini strettamente

linguistici, mettendo in evidenza come questo sia caratterizzato dai verbi al tempo futuro, perché si

è in una proiezione di ciò che è meglio fare e di ciò che si promette. Il discorso giudiziario è

caratterizzato dagli atti linguistici dell’accusare o del difendere e il tempo verbale usato è il passato,

perché si fa riferimento a qualcosa che è avvenuto. Il discorso argomentativo ha a che fare con

molteplici aspetti, come ad esempio convincere, celebrare, dichiarare, tutti atti e tutti logonimi; in

questo discorso, emergono tutti i tempi, il presente, il passato e il futuro. I primi due generi

implicano la contesa, sono agonistici e prevedono uno scambio dal ruolo di mittente a quello di

destinatario e viceversa, mentre il terzo non lo è. È come se Aristotele cominciasse a intravedere

l’autonomia del campo di analisi del discorso.

Individua anche le fasi di costruzione di un qualsiasi discorso: 1. Inventio, 2. Dispositio, 3.

Elocutio, 4. Memoria e 5. Actio. L’inventio è la ricerca degli argomenti da usare; la dispositio è la

disposizione in un ordine che sia efficace; l’elocutio è l’elaborazione linguistica degli argomenti e

sono utilizzate le strategie linguistiche più efficaci, in questa fase si colloca l’analisi delle figure

retoriche (stratagemmi efficaci per comunicare un contenuto); la memoria fa riferimento a tutte le

tecniche legate all’esecuzione in pubblico di un determinato discorso (ci sono autori che vanno a

braccio e altri che seguono un testo scritto in modo tale da facilitare la memorizzazione, con diverse

strategie di editing del testo); l’actio è l’esecuzione vera e propria del discorso, in cui rientrano i

fattori espressivi, definiti paralinguistici (pause, intonazioni, enfasi, modulazione della voce che

sono strategie comunicative importanti).

Questi concetti della retorica sono stati elaborati nella cultura latina da Cicerone e Quintiliano;

tuttavia, i latini hanno connotato la retorica molto negativamente, perché si è capito che la capacità

di padroneggiare il linguaggio equivale a esercitare un certo potere, tutto ciò può andare in contrasto

con una certa moralità. Questa connotazione negativa della retorica è presente ancora oggi, tant’è

vero che nel significato della parola retorica, si coglie ancora questo valore negativo.

Linguistica teorica – nesso tra retori, Aristotele e Jakobson

L’elocutio è la parte più importante e coincide con la funzione poetica di Jakobson, secondo il quale

non è tanto importante ciò che viene detto, bensì il modo in cui lo si dice, ecco perché definisce

poetica la funzione associata al messaggio.

La visione di Jakobson del funzionamento dei meccanismi linguistici si rifà alle due figure retoriche

più importanti: la metafora e la metonimia (La metonimia consiste nella sostituzione di un termine

con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza, attuando una sorta di trasferimento di

signific

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
9 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-LIN/01 Glottologia e linguistica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher HIlarity90 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Modelli descrittivi delle lingue e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi L'Orientale di Napoli o del prof Di Pace Lucia.