Appunti Corso Modelli descrittivi delle lingue
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I lezione – 02.03.17
Le scienze esatte sono delle discipline in cui il sapere è progressivo, si accantonano delle teorie
superate e si accolgono quelle più recenti e all’avanguardia. Tutto questo in linguistica non accade,
perché non è una scienza esatta, non ci sono delle teorie che vengono considerate sbagliate o
inaccettabili, bensì ci sono delle teorie che sembrano recenti e innovative, che in realtà fanno
appello ad altre del passato.
La linguistica ambisce a essere una scienza esatta, e nel corso del tempo sono stati fatti numerosi
tentativi di creare il carattere scientifico di questa disciplina, facendo riferimento ad altre scienze.
Saussure è considerato il padre fondatore della linguistica e dello strutturalismo; la sua intenzione è
quella di creare la linguistica come studio della lingua in sé e per sé. Evidentemente, prima di lui, lo
studio della lingua era intriso di considerazioni che provenivano da altri ambiti, per questo motivo,
distingue tra linguistica interna (fondata da lui stesso, che si occupa della langue e della parole in
chiave sia sincronica sia diacronica, escludendo altri fattori, quali quelli storici, culturali o
geografici, che evidentemente prima venivano presi in considerazione) ed esterna.
La linguistica è nata come disciplina autonoma agli inizi dell’‘800 e nasce come disciplina storica e
genealogica, il cui intento è quello di ricostruire i rapporti di discendenza e parentela tra le lingue.
Però, si tratta di una disciplina che necessariamente entra in contatto con altre scienze.
Lo strutturalismo, che ha dominato tutto il ‘900, rappresenta una fase in cui la linguistica ha cercato
di essere una materia pura; con l’emergere del generativismo, dopo lo strutturalismo, si è avuta
nuovamente un’apertura verso nuove scienze, prima di tutto verso la psicologia e poi verso il
cognitivismo e le neuroscienze. Pertanto la lingua non è stata più studiata in sé e per sé, e si è usciti
dall’ambito strettamente linguistico.
Molti linguisti contemporanei che aderiscono alla corrente generativista ritengono, che ci sia stata
una cesura netta tra la linguistica strutturalista e il generativismo, quindi, non guardano alle teorie
acquisite dalla linguistica in passato.
La linguistica è una disciplina che si avvale delle acquisizioni del passato, è strettamente legata alla
filosofia, perché anche in questo ambito, sono state elaborate delle riflessioni sul linguaggio che
ancora oggi sono affrontate in modi piuttosto simili. La linguistica è profondamente sensibile alla
sua storia e questo dipende dalla natura della disciplina e dell’oggetto di studio; qualsiasi riflessione
linguistica si inscrive sempre nell’ambito di cornici teoriche molto varie e variegate, che
costituiscono lo sfondo su cui è possibile analizzare determinati fenomeni. L’oggetto di studio della
linguistica non è precostituito, quindi, tutte le diverse correnti di pensiero non hanno studiato le
stesse tematiche, giungendo a conclusioni diverse, bensì hanno affrontato tematiche differenti,
perché vedevano cose diverse. Il fenomeno centrale, studiato e analizzato da una determinata
scuola, non è riconosciuto da un’altra corrente di pensiero; ad esempio, il generativismo non si
occupa assolutamente di morfologia (inizialmente, si concentrava sulla fonetica, successivamente
solo sintassi e semantica), ciononostante non si può negare l’esistenza dei morfemi. In alcuni casi,
quando si cerca di trasferire degli assunti maturati in una determinata cornice di pensiero in un’altra
(e quindi da un livello linguistico a un altro), si possono verificare delle forzature, delle anomalie.
Per esempio, nel generativismo, la ricorsività (una caratteristica della sintassi, che consiste nella
capacità di applicare una stessa regola un numero di volte teoricamente infinito. Questo è un
assunto di Chomsky sulla base della sintassi) si manifesta nella capacità di costruire dei periodi
costituiti da una frase principale e una frase subordinata; questa regola di subordinazione si può
riapplicare:
La linguistica è una materia difficile. Io so che la linguistica è una materia difficile. (Ricorsività
data dal fatto che si possono aggiungere altre subordinate, una regola che può essere applicata
all’infinito) Io so che gli studenti dicono che la linguistica è una materia difficile.
Alcuni studiosi hanno impropriamente trasferito questa regola anche nell’ambito della morfologia,
commettendo un errore. La ricorsività in morfologia consiste nella possibilità di alterare una parola
molte volte. Ad esempio:
Casa casetta (si può avere una regola di derivazione, creando il diminutivo, ma si possono
aggiungere anche altri morfemi derivativi) casettina
Secondo alcuni, questo sarebbe un esempio di ricorsività, ma non è così, perché la ricorsività
riguarda solo l’ambito sintattico e la sua applicazione in morfologia è una forzatura, un tentativo di
rendere le definizioni della linguistica come qualcosa di trasversale, ma non è così.
Ogni scuola di pensiero si concentra su alcuni fenomeni, formulando delle teorie specifiche. Si
tratta di un’acquisizione metodologica di Saussure, il quale sostiene che il punto di vista è
particolarmente importante e crea l’oggetto di studio. Il linguista sceglie di volta in volta la
prospettiva di osservazione della lingua, notando sempre cose differenti. Quindi, la cornice teorica
condiziona lo studio della lingua e ognuna di queste cornici si inscrive in cornici teoriche ancora più
generali, perché nel corso del tempo la linguistica si è aperta verso altre discipline e teorie. Le
tradizioni teoriche, a cui si fa riferimento di volta in volta, sono estremamente complesse.
La linguistica nasce nel periodo di diffusione del romanticismo, per cui la volontà di ricostruire la
storia linguistica è inscritta nel desiderio di ricostruire la storia e la cultura di una civiltà.
Uno dei testi fondativi della linguistica è stato scritto da Schlegel, Sulla lingua e la sapienza degli
indiani, che dimostra l’intenzione di inscrivere lo studio linguistico in qualcosa di molto più ampio.
Anche le scienze naturali hanno avuto grande importanza nelle costruzioni di queste cornici
teoriche, infatti, nel XIX secolo, si è fatto riferimento ai modelli di queste scienze per classificare le
lingue. Il linguista Schleicher si inspira all’albero genealogico di Darwin, creando un albero di
discendenza delle lingue. Invece, in tempi più recenti, la linguistica è entrata in contatto soprattutto
con le neuroscienze.
Esistono diverse linguistiche a seconda della prospettiva di studio, anche i concetti di base non sono
condivisi, non esistono concetti o teorie realmente condivisi dalle scuole di pensiero; questo avviene
perché molti concetti e nozioni di base della linguistica derivano da altre discipline.
La riflessione del linguaggio risale alla filosofia greca. Le nozioni di soggetto, oggetto, classi di
parola, sono nati in ambito filosofico, in particolare in quello della logica. Le categorie
grammaticali (ossia le nozioni che si trovano in una determinata classe di parola, come genere e
numero) sono concetti elaborati negli studi di logica. Soltanto i concetti degli strutturalisti sono sorti
in un ambito prettamente linguistico. Per esempio, la nozione di fonema non è condivisa e uguale
per tutti i linguisti; infatti, Trubeckoj e Jakobson hanno elaborato due concezioni diverse di fonema,
eppure facevano parte della stessa scuola. Per i generativisti, il fonema si classifica come una classe
di restrizioni fonologiche; invece, oggi si considera il fonema come il segmento più piccolo che si
riesce a sezionare.
A livello sintattico, si possono svolgere vari tipi di analisi, in base all’approccio adoperato, una
stessa frase può essere analizzata in modi diversi, seguendo i modelli di Hockett, Chomsky, Harris o
di Tesnière. Quindi, neanche i sintagmi sono uguali per tutti gli studiosi.
Quelli che sono i concetti di base per una determinata scuola non vengono riconosciuti nemmeno
come entità da altre scuole. Ad esempio, il principio della proiezione, che nasce nell’ambito
generativista, non è riconosciuto da altri studiosi. Ci sono molteplici motivazioni per cui, i teorici
non riconoscono i concetti fondamentali, innanzitutto perché provengono da discipline diverse, ma
anche perché questi concetti sono specifici di determinate scuole di pensiero.
Un altro tratto che fa sì che la linguistica non sia una materia totalmente condivisa è la mancanza di
una procedura di analisi comune per tutte le correnti di pensiero. Al contrario, nelle scienze dure,
esistono procedure di analisi che prevedono dei protocolli di studio.
La strutturazione in livelli (un messaggio è analizzabile in unità, che a loro volta possono essere
ulteriormente analizzate in sotto-unità, creando dei livelli di analisi diversi collocati secondo una
gerarchia: fonema, morfema, parola, sintagma, frase ecc.) non è riconosciuta da tutti. I generativisti
non riconoscono la morfologia e non procedono con questo tipo di analisi; nella teoria generativista
standard, si passa da una struttura superficiale a una profonda sempre relativa alla frase, all’interno
della quale si individuano soltanto i sintagmi.
La linguistica è una scienza molle, non si avvale di procedure di analisi assolutamente condivise, un
elemento primario delle scienze dure; non sono riconosciuti gli stessi elementi, ma anche se si
dovesse procedere per segmentazioni, ci sarebbero delle oscillazioni sul modo in cui si segmenta.
Per quanto riguarda la dimensione della parola, ci sono state delle incertezze su come segmentare le
parole e individuare i morfemi:
Incredibilmente cred: morfema lessicale – i secondo alcuni è un elemento a sé, una vocale
tematica, secondo altri la i fa parte del morfema cred
Amabilmente am: morfema lessicale – a vocale tematica o parte integrante del morfema lessicale
Alcuni sostengono che il morfema bil resti invariato, pertanto i e a non ne fanno parte; altri studiosi
sostengono esattamente il contrario, che queste due vocali vadano insieme a bil. Pertanto, abbiamo
abil e ibil, che sono due allomorfi dello stesso morfema.
Si potrebbe negare il carattere di scienza della linguistica, in quanto non si condividono i concetti di
base, l’oggetto di studio è percepito in modo diverso, nulla è trasferibile da una scuola all’altra
(come nel caso della ricorsività). Le vere scienze sono quelle empiriche, che si basano sul metodo
sperimentale, che non può essere adoperato in linguistica, infatti, gli unici esperimenti che si fanno
sono quelli di psicolinguistica, che non sono prettamente linguistici, perché sono eseguiti sul
parlante e non sui fenomeni della lingua. Un altro carattere importante della linguistica che mette in
dubbio la sua natura scientifica è il fatto che gli oggetti della linguistica non sono osservabili.
Questo significa che una regola non è osservabile, soltanto i suoni strutturati in un determinato
modo sono percepibili, ma i modi di strutturazione non sono visibili. Allo stesso modo,
l’espressione è osservabile, mentre il piano del contenuto è del tutto inafferrabile.
L’obiettivo della linguistica è quello di fare delle osservazioni generali sulle lingue e sul linguaggio,
che in realtà sono delle astrazioni non osservabili; si analizza un determinato fenomeno, un
campione, di cui sono osservabili soltanto alcuni aspetti, e si giunge ad approssimazioni. Ad
esempio, gli approcci descrittivi, come le grammatiche delle lingue, sono continuamente superati da
altre descrizioni, perché di volta in volta si guardano altre cose. Questo spiega il motivo per cui
siano stati teorizzati gli universali possibili, secondo cui un tratto presente anche in una sola lingua
può essere un universale, in quanto se si verifica in una lingua, senza negarne le caratteristiche,
questo carattere può presentarsi in tutte le lingue. L’approssimazione a cui si giunge è influenzata da
un fattore fondante della lingua, ovvero il suo carattere mutevole, secondo gli assi diatopico,
diamesico, diastratico, diafasico e diacronico. La linguistica cerca di formulare delle regole relative
a qualcosa che sfugge alle regole e che varia continuamente.
Non tutti i linguisti concordano sui dati studiati, esistono diverse possibilità di creare i dati oggetto
di studio: realizzando dei corpora, facendo riferimento ai testi scritti e parlati (approccio già
adoperato nell’‘800) oppure raccogliendo dei dati (alternativa paradossale) basandosi non su quelli
reali, bensì su quelli che potrebbero essere. Infatti, per sviluppare le loro teorie, i generativisti si
basano su frasi possibili secondo le regole di formazione delle frasi, ma che non si usano nel
linguaggio comune. Infine, ci sono le evidenze, le prove, ovvero dei dati che sono ancora più
importanti per determinate teorie e che per altre non lo sono affatto (ad esempio il principio di
proiezione, la funzione “merge” o “unisci” della grammatica generativa non sono riconosciuti come
evidenze dai funzionalisti).
II lezione – 07.03.17
La pragmatica è un ramo della linguistica che studia la lingua nella sua dimensione concreta, si è
sviluppata recentemente negli studi della linguistica moderna, ma in realtà affonda le sue radici nel
pensiero greco. Il primo linguista a parlare di pragmatica è stato il filosofo John Austin negli anni
‘60, ma è negli anni ‘70 e ‘80 che si sviluppa pienamente. Il termine è stato introdotto anche prima
degli anni ‘60 dal filosofo Morris, il quale distingueva nell’ambito della semiotica tra sintassi,
semantica e pragmatica; questa distinzione è stata trasposta successivamente nell’ambito della
linguistica. La sintassi è lo studio della relazione tra i segni (non necessariamente linguistici), la
semantica è lo studio della relazione tra i segni e la realtà, la pragmatica infine è lo studio della
relazione tra le espressioni linguistiche e il loro uso. In quest’ultimo ambito, si prendono in
considerazione il fatto linguistico e il correlato extralinguistico, il contesto d’uso, i partecipanti e i
fini comunicativi. Tutto ciò rientra nella comunicazione e arricchisce il segno linguistico. Quindi, la
pragmatica viene vista come uno studio in cui la lingua è considerata come una prassi sociale.
Austin ha definito le espressioni linguistiche come atti, suddividendoli in varie tipologie. Per
esempio, esiste una differenza tra gli atti constatativi e gli atti che hanno un risvolto pratico nella
realtà (atti illocutivi e perlocutivi). In realtà, la comunicazione ha sempre un fine, non si parla mai
semplicemente per constatare qualcosa. Quindi, anche quando il mittente non formula il proprio
messaggio, facendo riferimento a quelle espressioni che sono indici di atti illocutivi e perlocutivi,
parla con un obiettivo molto preciso. Tutti gli studi di pragmatica sono molto importanti nell’ambito
della linguistica applicata (la linguistica applicata è l’uso della linguistica teorica per fini pratici).
Molte acquisizioni della pragmatica sono state applicate praticamente. Per esempio, nella
comunicazione aziendale, si prendono in seria considerazione gli studi della pragmatica, perché la
comunicazione tra le varie componenti di un’azienda deve essere efficace; se un superiore deve
impartire un ordine a un subalterno, deve sapere come comunicare al meglio un determinato
contenuto.
La retorica è l’arte del parlare nel miglior modo possibile con uno scopo molto preciso, ovvero
quello della persuasione; i primi studi in questo ambito sono stati condotti dai filosofi greci e anche
per loro la riflessione sul linguaggio rientra nel campo della linguistica applicata.
La riflessione sul linguaggio nasce in Grecia, perché il suo territorio è molto frammentato, con
molte isole montuose e le coste frastagliate; questi fattori geografici hanno fatto sì che nel tempo si
sia fossilizzata una condizione di frammentazione linguistica, perché l’ordine normale delle cose è
la pluralità e la varietà delle lingue; mentre durante l’evoluzione e i contatti, si tende alla
semplificazione ed all’unificazione. A causa delle condizioni geografiche della Grecia, la
frammentazione linguistica è stata percepita immediatamente; nel momento in cui si percepisce
l’alterità, si percepisce l’identità e si capisce che questa può essere oggetto di riflessione.
Probabilmente se i greci avessero avuto un’unica lingua standard, non si sarebbero nemmeno posti
delle domande sulla lingua. Per motivi storico-politici, i greci si sono espansi, sono usciti dai loro
confini territoriali, riscontrando un’alterità ancora più marcata, pensando ancora di più che la lingua
fosse un degno oggetto di indagine. Inoltre, i greci non erano così aperti verso l’alterità, infatti,
definivano tutti coloro che non parlavano greco come barbari, cioè balbuzienti.
La retorica nasce nel V sec. a. C. a Siracusa (ambiente italiano della Magna Grecia) per soddisfare
degli obiettivi pratici. Durante un periodo di tirannia, molti beni sono stati confiscati; alla fine di
questo periodo, si sviluppano in modo molto accentuato dei processi, il cui obiettivo è quello di
permettere ai legittimi proprietari di reimpossessarsi dei loro beni. Nascono i primi retori, dei
curatori capaci di persuadere una determinata corte della giustezza (e non giustizia) dell’operazione
di recupero dei beni. I retori, quindi, sono dei conoscitori della lingua greca e di tutte le possibili
strategie comunicative per raggiungere il proprio fine, ovvero persuadere il destinatario della
giustezza di quanto detto. La retorica è poi diventata oggetto di studio; ci sono stati vari studiosi che
si sono dedicati a esaminare quali fossero le migliori strategie retoriche. Successivamente,
Aristotele è uno studioso che riflette sulla capacità e sul potere della lingua, individua tre elementi
che sono sempre presenti in qualsiasi discorso: colui che parla, colui che ascolta (spettatore, giudice
ecc., che per Aristotele coincide con il fine: si parla a qualcuno, che è il destinatario di un
messaggio e il fine del discorso) e l’argomento. Questa tripartizione rappresenta la prima ipotesi di
analisi dell’atto comunicativo. L’argomento oggetto del discorso coincide in parte con il messaggio
e in parte con il contesto, secondo lo schema proposto da Jakobson. Aristotele individua anche i
generi del discorso con le relative caratterizzazioni pragmatiche (classificazione della linguistica
testuale): discorso deliberativo o politico, discorso giudiziario e il discorso argomentativo (il più
ampio). Il discorso politico presenta aspetti relativi al (s)consigliare, promettere, questi verbi sono
prototipici degli atti illocutivi. Il discorso deliberativo è analizzato anche in termini strettamente
linguistici, mettendo in evidenza come questo sia caratterizzato dai verbi al tempo futuro, perché si
è in una proiezione di ciò che è meglio fare e di ciò che si promette. Il discorso giudiziario è
caratterizzato dagli atti linguistici dell’accusare o del difendere e il tempo verbale usato è il passato,
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