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Inoltre, Harris cancella le parole usate come metafore, perché non sono accettabili in un testo
scientifico, ancor meno in un manuale che è rivolto in modo immediato agli studenti. La prima
cancellazione riguarda la parola trésor. “La lingua è un tesoro depositato dalla pratica della parole
nei soggetti che appartengono a una stessa comunità.”
Questo passaggio è molto importante anche per comprendere bene qual è, per Saussure, il rapporto
tra langue e parole, nel senso che qui si vede molto bene, come sia la parole a produrre la langue.
Molto spesso si pensa alla langue come qualcosa di fondamentale, a cui si fa riferimento per poter
produrre atti di parole; in un senso logico, è come se venisse prima la langue e poi la parole. In
realtà, è vero anche il contrario, la langue si crea anche a seguito delle modificazioni che avvengono
a livello di parole, quindi quest’ultima entra nella langue.
La parola tesoro non piace a nessuno dei due traduttori, quindi, viene tradotto con storehouse da
Baskin, e fund da Harris. In un certo senso, fondo è anche più aderente, nel senso che tesoro ha
anche un valore economico; ma in Saussure, questa parola ha un valore molto più ampio, con varie
sfumature semantiche che in fund non ci sono. Harris è coerente e usa termini economici come
accumulato, laddove il linguista francese usa depositato (l’idea del deposito come qualcosa che si
sedimenta nella langue). Baskin usa storage e storehoue che ricorrono in linguistica. Ciononostante,
le scelte di entrambi i traduttori sono poco felici.
Nella sua introduzione, Harris dichiara di volere una traduzione scientifica, quindi, cancella
sistematicamente le parole, sostituendolo con i tecnicismi, commettendo in alcuni casi degli errori,
perché elimina le metafore, che sono funzionali in Saussure. Non c’è soltanto il metalinguaggio
tecnico, i contenuti di una certa visione della lingua possono essere trasmessi e veicolati anche da
parole del linguaggio ordinario. In un’altra citazione, la parola trésor è accompagnata da interieur¸
quindi, si rimanda a tutta la ricchezza della lingua. In Baskin, l’idea dell’interiorità e di qualcosa
che è proprio, ma in un senso molto ampio, c’è ancora; invece, in Harris viene persa, perché usa la
parola store, mentre l’aggettivo viene trasformato in un’espressione analitica, che si riferisce al
cervello di un individuo, che è completamente diverso. Un tesoro interiore include anche la
dimensione emotiva, che, invece, è esclusa in brain (è la stessa differenza che esiste tra mente e
cervello, su cui si sofferma anche Chomsky. Il cervello è composto solo di meccanismi neurologici,
invece, la mente include il cervello, ma è qualcosa che va oltre).
In un’altra citazione con la parola trésor, si nota che in Harris si perde il meccanismo della
metafora; per cui, trésor de la langue diventa in Baskin storehouse of language, invece, in Harris
store held by the language. La metafora è un meccanismo di sostituzione, quindi, trésor sta per la
lingua, il deposito, invece, sembra in Harris che il deposito sia qualcosa di cui la lingua si serve ed è
accanto a essa. In questo caso, la perdita della metafora si coglie non soltanto sul piano lessicale ma
anche a livello sintattico, perché si inserisce un verbo, che cancella il principio di sostituzione
lessicale della metafora. Questa citazione è utile, perché mostra come il linguaggio di Saussure, per
quanto lui si allontani da una visione organicistica della lingua, in realtà è ricco di termini che si
rifanno a questa dimensione; per esempio, l’espressione le forme generatrici dà l’idea della
generazione, che Baskin traduce con produttive (più moderno e aderente all’idea della generazione).
Al contrario, in Harris si perde quest’espressione, che viene sostituita da sponsoring forms (forme
supportate / sostenute); tuttavia, la parola sponsor è ben abbinata con store, accumulated, fund,
perché rientra nell’area economica (sicuramente, Harris non ne è consapevole).
Un’altra metafora cancellata da Harris è quella della rappresentazione mentale della lingua come
teatro. “[..] avvenimenti dei quali la lingua è il teatro.” In questa citazione, Saussure parla di
linguistica diacronica, di evoluzione e cambiamento, quindi, gli avvenimenti sono le cose che
cambiano. Baskin conserva questa metafora, che viene cancellata del tutto da Harris. L’idea della
lingua come teatro e l’idea dell’espressione linguistica come una rappresentazione è molto presente
in linguistica; per cui l’impiego della parola teatro fa riferimento a un’ideologia condivisa. Tesnière
parla della frase proprio come di un dramma, di una scena, in cui ci sono degli attori e i circostanti,
cioè gli elementi della scena. Ecco perché esce fuori il termine attanti, che dal punto di vista
etimologico, come scelta metalinguistica, sono una modificazione di attori. A livello ideologico, la
lingua è stata spesso paragonata al teatro, anche da parte di non linguisti; c’è un esempio di uno
studio di critica letteraria, Ferdinand Brunettier, contemporaneo di Saussure, che afferma “La
lingua è un teatro, nel quale le parole sono gli attori.” A differenza sua, per Tesnière gli attori sono i
partecipanti all’atto comunicativo; tuttavia, ciò che conta è l’immagine della lingua come teatro.
XXI Lezione – 23.05.2017
L’influenza dell’economia sulla linguistica alcuni indizi lessicali
La linguistica si appoggia anche ad altre discipline, che sono considerate più scientifiche, da cui trae
non solo nozioni, ma anche tecnicismi. Sono diverse le scienze che lasciano tracce, a livello
terminologico, nella linguistica; ne sono un esempio: radice (botanica), valenza (chimica),
centrifuga, centripeta (fisica), stratificazione, sostrato (geologia), funzione, costante, variabile
(matematica). Gli ultimi tre sono presenti nella visione e nella descrizione della lingua di Hjelmslev,
che è piuttosto astratta e molto formalizzata; lui usa termini come funzione, funtivi, variabili, che
sono considerati proprio in senso matematico. Mentre questi travasi terminologici sono stati messi
in evidenza abbastanza frequentemente, è stata poco valutata, se non per un unico caso (cioè quando
Saussure utilizza la nozione di valore, spiegando che è intesa in termini economici), l’influenza
dell’economia sulla linguistica. Si può parlare di uno scambio tra economia e linguistica, per cui
l’economia è in un rapporto bilaterale con la linguistica, perché dà e riceve allo stesso tempo.
A partire dalla fine degli anni ’90, si è sviluppata una nuova branca dell’economia, chiamata
economia linguistica o economia delle lingue, che ha l’obiettivo di indagare sui meccanismi di
funzionamento delle lingue attraverso le categorie economiche. Quindi, gli economisti trattano le
lingue come fatti economici e i parlanti come agenti economici.
In riferimento alla lingua, in economia si usano le categorie di offerta e domanda, che sono
squisitamente economiche; si fa anche riferimento al concetto di esternalità nell’economia della
lingua, come in “La rete dell’approccio delle esternalità”. Esternalità è un termine economico, che
indica che un determinato bene acquista un valore, un’utilità maggiore, quanto più ampia è la sua
diffusione (all’inizio i cellulari avevano un valore ridotto, perché poche persone li possedevano, poi
si sono diffusi, più si è creata la rete di esternalità, tanto più i cellulari hanno acquisito valore,
utilità, perché ha una funzionalità più estesa). Il discorso dell’esternalità passa anche alla
dimensione linguistica: quanto più una lingua è conosciuta e usata, tanto più acquisisce valore.
Nel lavoro di Grin del 2003, “Pianificazione linguistica ed economica”, l’autore evidenzia un
passaggio anche a livello terminologico, in quanto la pianificazione è un’operazione economica;
però, c’è anche una pianificazione linguistica, che rientra in tutta la serie di operazioni di politica
linguistica. A dispetto del fatto che gli economisti si stanno appropriando dell’oggetto di studi della
linguistica, i linguisti sembrano poco attenti a questa interazione; eppure c’è sempre stata una sorta
di attenzione da parte degli studiosi sia all’ambito economico sia a quello linguistico, è come se i
due ambiti fossero sempre stati connessi. Aristotele aveva già stabilito un’analogia tra monete e
parole, perché entrambe stanno per qualcos’altro; inoltre, aveva concretizzato questa analogia per
cogliere dei tratti strutturali, comuni alla dimensione monetaria e a quella linguistica, come la
convenzionalità. Aristotele parla di convenzionalità del linguaggio, facendo proprio riferimento a
quella delle monete.
Illustri studiosi ed economisti che si sono interessati al linguaggio sono Ferdinando Galiani e Adam
Smith. Il primo ha scritto un importante trattato sulla moneta, ha scritto anche un’opera e dizionario
sul dialetto napoletano. Il secondo è il padre dell’economia politica e ha scritto non solo opere di
questa disciplina, ma anche sull’origine del linguaggio; ha parlato anche di altre nozioni e ha
pubblicato delle Lectures of retorics.
Per contro, ci sono anche dei linguisti che hanno fatto espressamente riferimento alla sfera
economica, istituendo delle analogie come quelle di Aristotele. Per esempio, Schlegel parla
dell’omologia che esiste tra certe parole e la carta moneta; infatti, anche lui, prima ancora di
Saussure, parla del valore in termini economici. Saussure ha usato la nozione di valore, ha stabilito
una correlazione tra l’economia politica e la storia economica, da una parte, e la sincronia e la
diacronia, dall’altra. L’economia politica studia i sistemi economici nella loro complessità, mentre
la storia economica studia i fatti economici; ecco, quindi, che effettivamente è possibile creare
questo parallelo, in quanto la sincronia studia tutto il sistema, tutta una struttura linguistica, e la
diacronia studia i fatti isolati così come si sviluppano nel tempo.
Anche Sapir utilizza la metafora delle monete in relazione alle parole; Hjelmslev, uno strutturalista
convinto, parla di valore, notando come in realtà esso cambi, nel momento in cui c’è un passaggio
dalla dimensione della langue a quella della parole. Anche le monete modificano il loro valore, nel
momento in cui vengono usate.
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