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Max Müller, il quale in una biblioteca di Oxford ha analizzato i testi scritti in sanscrito. Una delle
sue opere più note si intitola The Science of Language.
In Inghilterra, ai tempi di Max Müller, i suoi colleghi si occupano di filologia comparativa e da ciò
si evince la stretta connessione della linguistica con la filologia, lo studio dei testi e delle lingue
concrete. Al contrario, Max Müller ha il proposito di fondare una scienza teorica, partendo dalla
linguistica comparativa. La sua posizione è in contrapposizione con Darwin e con tutti coloro che
sostengono tesi naturalistiche riguardo alla lingua delle origini, tant’è vero che sono famose ancora
oggi le etichette che ha affibbiato alle teorie onomatopeiche e interiettive, che si inscrivono sempre
nella tesi naturalistica. Le prime sono state soprannominate teorie bau bau, le seconde sono state
definite teorie pu pu.
Quando nella sua opera sull’origine dell’uomo, Darwin fa riferimento all’origine del linguaggio,
riporta anche nomi di grandi autori, quali Farrar e Wedgwood, che sono sostenitori delle teorie
onomatopeiche, ed egli stesso li considera delle autorità nel campo della filologia comparativa.
Max Müller non è un naturalista né un convenzionalista, ritiene che non esista una continuità tra
l’uomo e l’animale, anzi il linguaggio rappresenta proprio il tratto distintivo, l’elemento
catastrofico, di rottura, che evidenzia le differenze tra l’uomo, che attraverso la facoltà del
linguaggio esprime dei concetti, e l’animale, che può esprimere soltanto emozioni. Anche l’uomo
esprime un linguaggio emozionale, per via di alcune caratteristiche che condivide con l’animale;
tuttavia, la lingua vera e propria è il linguaggio verbale, che è qualcosa di profondamente
concettuale fin dall’inizio (pensiero simile a quello di Chomsky, secondo il quale la facoltà del
linguaggio sia un tratto specifico dell’uomo). Quindi, per Max Müller, la lingua è assolutamente
parallela alla conoscenza, l’espressione linguistica è espressione razionale (come l’innatismo di
Chomsky), l’uomo ha la capacità di rappresentare alcuni concetti attraverso particolari radici, che
sono frutto della mente umana in modo istintivo. Questo significa che la lingua si è originata
attraverso parole, formate da radici (come Bopp: radici verbali e pronominali), tra cui quelle verbali
sono rappresentative di concetti razionali, significati astratti e generali. Con il passare del tempo,
queste radici potrebbero rappresentare entità concrete e individuali; Max Müller si pone in
contrapposizione con la tesi di Smith, secondo cui una parola nasce per esprimere una determinata
realtà e, poi, attraverso il procedimento dell’antonomasia rappresenta tutte le entità che rientrano in
quella categoria. Per esempio, secondo la visione di Smith, l’uomo conia la parola caverna per
indicare il luogo specifico dove si rifugia, diventando un nome proprio; poi, attraverso l’evoluzione
linguistica, la parola caverna andrebbe a significare tutti i luoghi in cui si rifugia. Invece, per Max
Müller, la situazione è rovesciata e riporta l’esempio della parola antro, qualcosa di molto simile
alla caverna, che deriva dal sanscrito Antar, segmentabile in An, che significa dentro, e tar, che
significa attraverso. Quindi, questa parola è costituita da radici che indicano dei concetti astratti;
l’antro sarebbe stato nominato, fin dal principio, facendo riferimento alle sue caratteristiche
generali.
Max Müller riconosce nelle parole padre e madre la presenza di due radici, portatrici di significati
generali, pa, che significa proteggere, e ma, che significa nutrire. Tutto ciò è in contrasto con alcuni
studi ottocenteschi, che hanno messo in evidenza come in realtà p e m fossero dei suoni naturali per
l’uomo, indipendentemente dal loro significato; con studi interlinguistici, si è evidenziato come
diverse lingue presentassero gli stessi suoni per le parole padre e madre. Jakobson sostiene che i
primi suoni acquisiti dal bambino, in modo spontaneo, prevedono l’opposizione di una consonante
occlusiva e una vocale massimamente aperta: pa, ma, ta, da, queste radici sono alla base di tutte le
parole che rientrano nel linguaggio infantile.
La visione di Max Müller è, a sua volta, contrastata da quella di un linguista americano, Whitney,
considerato il massimo esponente del convenzionalismo. Tra questi due autori nasce un dibattito
molto acceso tant’è che Whitney scrive un libro, intitolato Max Müller and The Science of
Language: A Criticism, per criticare pubblicamente le sue teorie. Whitney parla della lingua come
di un’istituzione (nell’atlante c’è il brano Linguaggio come istituzione a pagina 88, riferimento alle
due tesi naturalistiche e convenzionaliste, soprannominate con i termini greci Frusei e Tesei),
paragonabile alle abitazioni, agli strumenti e alle leggi, è qualcosa di costruito dall’uomo (come
sostiene Ermogene). Inoltre, questo non significa che la lingua sia sorta e si sia sviluppata seguendo
il libero arbitrio, ma deve esserci un momento di condivisione e di fondazione della convenzione
(questa era una delle critiche dei detrattori della tesi convenzionalista). Ciononostante, continuano a
prodursi tesi che sottolineano il carattere naturale della lingua, come la teoria di Wallace, un
antropologo della fine dell’ottocento e un sostenitore della teoria fonosimbolista. Nota che alcune
popolazioni usano gli organi fonatori esattamente come le dita e le mani, per compiere gesti vocali,
questo significa che le espressioni vocali possono essere paragonate ai gesti.
(Esiste una correlazione tra l’adozione del principio di uniformità e lo sposare la teoria naturalistica,
si crea un’equivalenza tra lingua delle origini, lingua dei primitivi e lingua del bambino. Un
antropologo studia le lingue dei primitivi, dei popoli non civilizzati o in stato di natura, possono
ricostruire le condizioni della lingua delle origini)
La teoria di Wallace si concentra sull’individuazione dei fonosimboli, elaborandone una
classificazione in base ali organi che intervengono nella produzione dei suoni. Presta molta
attenzione alle fasi di inspirazione ed espirazione, ai movimenti della testa che si fanno nei momenti
in cui si pronunciano alcuni suoni. Nella sua classificazione, troviamo le breath words, che sono
legate alla respirazione e sono costituite da suoni indicanti le due polarità, l’interiorità e l’esteriorità.
Queste ultime sono a loro volta associate ai ritmi della respirazione, per cui, ciò che è interno e
vicino a sé è associato all’inspirazione; ciò che è esterno e allontanamento da sé è legato
all’espirazione. Esempio: here/there, come/go, from/to. Ci sono anche parole dai significati opposti,
perché legate ai movimenti della testa: down/up, low/high. Ci sono anche le mouth words, parole in
cui la forma della bocca esprimerebbe in modo naturale il significato: ball, moon (arrotondamento
delle labbra e della cavità orale esprimerebbe il concetto di rotondità); nose words, parole che hanno
a che fare con concetti relativi al naso e all’olfatto, presentano delle nasali: nose, nostrils, sniff,
smell. Inoltre, contrappone i suoni continui, che corrispondono alle vibranti e laterali, che
esprimono in modo naturale la continuità, a quelli puntuali, che corrispondono alle occlusive che
sono associate a concetti che esprimono una rottura, una discontinuità (stop, crack).
Ancora oggi si segue questa strada nella ricerca dei suoni naturali, per scegliere dei nomi suggestivi
per i nuovi prodotti: prozac suggerisce l’idea di interruzione dello stato di malessere; suoni forti per
antibiotici, quali Zimox, Xanax. In Viagra ci sono suoni connessi a ciò che è virile, vigore, è un
termine associato a Niagara, alla forza delle cascate.
Brano di Jespersen (sostenitore dell’origine naturale del linguaggio, ma su basi diverse da Wallace),
Ragione e Sentimento a pagina 88 nell’atlante).
VIII lezione – 28.03.17
Ci sono studi sull’origine del linguaggio, nati già nell’antichità condotti da esponenti di altre
discipline, e studi sull’origine delle lingue. Non esiste una netta contrapposizione tra i due approcci,
in quanto gli studi sull’origine delle lingue e sulla discendenza genealogica delle lingue rientrano
nell’ambito della monogenesi e della poligenesi. Tuttavia, ci sono anche dei linguisti che hanno un
approccio più ampio nell’affrontare questa tematica, per esempio, Jespersen è un anglista, attivo alla
fine del XIX secolo, che studia la discendenza dell’inglese nell’ambito della linguistica
comparativa. Nei suoi studi sull’origine del linguaggio, ha un atteggiamento più filosofico, tant’è
vero che nel brano sull’atlante non ci sono riferimenti a fatti strettamente linguistici. Sostiene che la
lingua si sia originata in modo quasi scherzoso e che le prime espressioni linguistiche si sarebbero
avute allo scopo di attrarre l’altro sesso.
Un autore, fermamente convinto della monogenesi del linguaggio, Trombetti, scrive nel 1905
un’opera intitolata L’origine monogenetica del linguaggio, in cui parte dal presupposto che la
lingua si sia originata nel paleolitico superiore (questo autore non si colloca su un terreno
strettamente linguistico).
Attualmente non si hanno ancora certezze in merito al periodo esatto in cui la lingua si sia
manifestata e la tesi di Trombetti è sposata soltanto da alcuni studiosi. In realtà, esistono tre diverse
ipotesi. La prima ipotesi sostiene che il linguaggio si sia originato 5.000.000 anni fa. Si parla di
un’epoca in cui l’uomo avrebbe cominciato a produrre delle vocalizzazioni, simili a quelle degli
scimpanzé che non hanno una volontà comunicativa. È l’epoca a cui apparterrebbe Lucy,
l’australopitecus afarensis. Nelle forme di espressione degli scimpanzé, la specie più vicina
all’uomo, ci sarebbero dei tratti simili al linguaggio umano, in virtù del fatto che sono riconoscili
due procedimenti cognitivi, ovvero la selezione e la combinazione. Questi studi effettuati sui
primati evidenziano che gli scimpanzé non sono capaci di sviluppare un vero e proprio linguaggio,
ma hanno una capacità semiotica piuttosto elaborata. In questi esperimenti, si procede attraverso
l’impiego di simboli e immagini, a cui sono associati dei concetti. Si è notato che gli scimpanzé
sono capaci di procedimenti metaforici, ad esempio, se associano il concetto di aprire la porta con
un certo simbolo, sono in grado di collegare questo simbolo ad altre operazioni, che evidenziano il<