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Gli studiosi dell’antichità si occupano della Tékne Grammatikè, che significa arte grammaticale ed è
una delle grammatiche più importanti scritta da Dionisio Trace; dal punto di vista etimologico, la
parola grammatica deriva da gramma, cioè lettera, per cui questa disciplina era connessa con i
maestri nell’arte dello scrivere, perché conoscevano la forma più corretta della lingua espressa nella
scrittura.
Oggi, si intende la grammatica in modo diverso rispetto agli antichi; è un insieme di regole di una
lingua, una disciplina che coglie le regolarità, uno o più libri di grammatica (possono essere
molteplici, perché le grammatiche sono sempre un’approssimazione, ma anche perché si può
studiare la grammatica di una lingua in diverse cornici teoriche), in senso metaforico può essere un
insieme di regole di un gioco. Una recente definizione di grammatica fa riferimento agli obblighi,
piuttosto che alle regole, quindi, in questo senso, la grammatica è il luogo di scelte obbligate: dati
alcuni elementi, la grammatica obbliga in una certa direzione (si tratta di una visione che si inscrive
nel paradigma strutturalista).
Marco viene domani. la scelta libera riguarda la selezione degli elementi lessicali, la scelta
obbligata riguarda la forma del paradigma verbale. Le lingue che non hanno la flessione spostano
l’obbligo in un altro dominio, per esempio nell’ordine sintattico o lessicale, ecc.
In questi casi, entrano sempre in gioco entrambi gli assi, quello sintagmatico, cioè degli obblighi, e
paradigmatico, cioè delle scelte. Oggi la grammatica è concepita come un insieme di opzioni tra
scelte obbligate.
Molto spesso viene contrapposta alla sintassi, che viene vista come qualcosa a sé, che non rientra
nella grammatica, perché la sintassi è lo studio della combinazione tra le parole, al contrario la
grammatica si occupa della singola parola. In realtà, in questo discorso, si contrappongono la
combinabilità stretta e la combinabilità larga, quindi, c’è un continuum tra grammatica e sintassi. Ci
sono casi in cui alcune parole possono essere convertite in un insieme di parole: Parlo
combinazione stretta – Io parlo combinazione larga, perché ci sono due parole. Indiscutibilmente
nei termini della morfologia naturale, è strutturata in modo trasparente, però è in conflitto con i
principi dell’ottimalità, perché è una parola molto lunga, che può essere sciolta, i morfemi mente e
in si trasformano in parole, per cui si avrà la frase in modo che non si può discutere.
Tuttavia, per Chomsky e i generativisti, la grammatica è esclusivamente sintassi.
Tutto ciò porta a riflettere sul termine grammatica, che dovrebbe essere un termine tecnico di un
linguaggio specialistico, è in realtà una parola polisemica, contraddicendo gli assunti della
terminologia specialistica, in quanto non c’è un rapporto biunivoco tra la forma e la funzione.
Chomsky parla di grammatica esplicita, che può essere convertita in conoscenza di regole o di
scelte opzionali ben precise, e la grammatica implicita, interna; Saussure parla di grammatica
soggettiva, quella del parlante, grammatica oggettiva, quella del linguista. Poi ancora, si distingue
tra la grammatica universale e le grammatiche particolari.
Nel tempo, si sono adottati diversi approcci: in alcuni casi, si è sottolineato il fatto che le lingue
siano profondamente diverse tra di loro e, quindi, le grammatiche devono essere diverse; al
contrario, altri hanno insistito sul fatto che la grammatica è unica, universale. Chomsky è
universalista, ritiene che la grammatica sia uguale per tutte le lingue e che ci siano solo delle
differenze superficiali. Prima di lui, ci sono stati altri autori che hanno sottolineato il carattere
universale delle lingue, per esempio, i grammatici francesi del ‘600 erano universalisti, avevano il
latino come modello e credevano che attraverso lo studio di questa lingua, potessero conoscere il
meccanismo di funzionamento di qualsiasi lingua. Hanno anche affermato che le lingue, in cui
mancavano i casi, presentavano un solo caso uguale a sé stesso in tutte le diverse circostanze. In
quel periodo, sono state scoperte altre lingue, come ad esempio il cinese, che non ha i casi del
latino. Anche i modisti del medioevo sostenevano il carattere universale della lingua, quindi, si
scriveva una grammatica che valeva per tutte le lingue.
Un’altra opposizione è quella tra grammatica e lessico: alcune nozioni grammaticali possono essere
espresse attraverso l’impiego di elementi lessicali autonomi, come per esempio l’espressione del
genere dei sostantivi. In inglese, gatto si traduce con cat, ma si indica la gatta con il sintagma the
she cat, che è marcato rispetto a gatto (la marcatezza è anche diagrammaticamente manifestata). In
francese, scrittore equivale a écrivain, per indicare scrittrice si usa un altro lessema, écrivain
femme. Da un punto di vista morfologico, sia il genere sia il numero sono scelte obbligatorie in
lingue come l’italiano; in molte lingue, c’è l’opposizione singolare-plurale, ma ci sono anche lingue
che hanno il duale, il triale. In inglese, in qualche modo si esprime l’idea di duale, perché si dice
hand, hands e both hands, quest’ultimo corrisponde al duale morfologico che viene reso a livello
lessicale. È chiaro che degli stessi contenuti possono essere veicolati da marche morfologiche o da
singoli lessemi, tutto si gioca tra grammatica e lessico, in questo senso, si parla di contrapposizione
tra grammatica e lessico. In italiano, il causativo del verbo si esprime attraverso il lessico, ma in
altri è insito nella radice stessa del verbo. Per esempio, c’è opposizione tra morire e uccidere,
quest’ultimo significa far morire; lo stesso vale per nascere e generare. Ci sono lingue che
esprimono il causativo con un morfema, per esempio il turco rispetta il principio di uniformità di
codifica e indica il causativo con il morfema our per tutti i verbi. Le lingue variano nell’incanalare
questi contenuti grammaticali tra la grammatica in senso stretto e il lessico; ci possono essere anche
dei passaggi attraverso dei processi di grammaticalizzazione e di lessicalizzazione. In italiano, si
può esprimere il duale lessicalmente, ma anche morfologicamente, come ad esempio i plurali doppi:
labbro – labbra – labbri, ciglio – cigli – ciglia. Ciglia e labbra indicano una quantità ben precisa,
cioè due, mentre labbri e cigli sono plurali generici, usati in altre circostanze, come in i labbri di
una ferita. C’è una specializzazione dei significati, in cui il plurale anomalo indica un duale
concettuale; braccio e braccia indicano gli arti, attraverso un procedimento metaforico, si è creato
bracci, che fa riferimento agli elementi allungati. Ossi è un plurale generico di osso, ma ossa indica
l’insieme, così come diti e dita. Sono elementi che si presentano in coppia, quindi, c’è la marca
concettuale della dualità.
Per gli autori greci lo studio grammaticale è lo studio della parola e delle sue trasformazioni, quindi,
coincide con la morfologia, e individuano tre obiettivi: definizione e identificazione della parola
come unità isolata e isolabile, elaborazione di un intero sistema di classi di parola, individuazione
delle categorie grammaticali (che insieme formano le classi di parola).
Il primo obiettivo è ancora oggetto di ampie discussioni, cercando di stabilire dei criteri scientifici e
rigorosi per indicare una parola. A tale scopo, sono stati proposti criteri fonologici, sintattici e
semantici. Aristotele definisce la parola come una sequenza di suoni, alla quale si riesce ad
attribuire un determinato significato. Quindi, nel continuum del parlato, si segmenta lì dove si può
correlare a quella sequenza fonica un determinato significato. Questa definizione è moderna e
assolutamente aderente a quella di Saussure, il quale, quando parla dell’individuazione di un segno
e delle entità concrete della lingua, sostiene che debba esserci una porzione di significante associata
a un determinato significato, purché si abbia una determinata entità. Nell’esempio, si je la prends
sižlaprãnd (trascrizione dialettologica), il continuum parlato può essere segmentato in modi diversi,
creando entità diverse a seconda del significato associato a una determinata porzione di significante.
Si possono avere due diverse segmentazioni: si je l’apprends / si je la prends si|ž|la|prãnd oppure
si|ž|l|aprãnd. Anche se Aristotele non usa i termini significato e significante, parla comunque di
sequenza di suono, che è l’equivalente del significante; all’interno della frase, si possono sezionare
delle parti che hanno un determinato significato.
XIV Lezione – 27.04.17
Gli studiosi di grammatica dell’antichità partono dalla parola come unità di studio.
Fondamentalmente, i greci e i latini conducono degli studi di morfologia, ma non hanno una
concezione del morfema, di un’unità inferiore a quella della parola, quindi, il loro modello era
quello di parole e paradigmi, anche se si rendevano conto che le forme variavano.
La trattazione dell’isolabilità della parola è un tutt’uno con l’individuazione e la trattazione delle
classi di parola e delle categorie grammaticali.
Aristotele parla del nome come classe principale, indicando i criteri per individuare questa parola
rispetto ad altre nel continuum del parlato.
Il primo a compiere la fondamentale distinzione tra le classi di parola è Platone. In diversi dei suoi
dialoghi, accenna al fatto che nella frase si individuano due elementi fondamentali: l’onoma e il
rhema. L’onoma corrisponde al nome, mentre l’etichetta di rhema include tutto ciò che si predica di
un determinato nome. Quindi, quando Platone distingue onoma e rhema, è come se stesse
individuando il sintagma nominale e verbale (come i generativisti); il sintagma verbale è molto
ampio, ma può coincidere anche soltanto con il verbo. Per Platone, nel rhema (deduzione dalle sue
osservazioni) confluisce ciò che oggi corrisponde all’aggettivo, che ha una funzione predicativa.
Da un punto di vista terminologico, si può notare come questi due termini siano sopravvissuti:
onoma è il nome, un logonimo, un termine del metalinguaggio, rhema è un termine tecnico della
linguistica, che in greco significa ciò che è detto di qualcosa (come la progressione tema-rema) e
serve a indicare i proverbi.
Aristotele compie un’ulteriore suddivisione, individuando un’altra componente a