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La narrazione

In questa lezione prendiamo in considerazione alcune questioni teoriche, ma le rivediamo immediatamente ribaltate sulla vita di tutti i giorni e cominciamo ad addentrarci un po' su come il nostro cervello recepisce alcuni input che derivano non solo da ciò che vediamo, ma anche da ciò che sentiamo. Quindi, cominciamo a ragionare su questioni legate all'immedesimazione e proviamo a sviluppare ulteriormente la distinzione tra struttura e forma.

Il professore si rivolge alla classe chiedendo se c'è qualcuno di noi che vuole fare un intervento costruttivo su qualcosa che ha visto durante la settimana in TV, su Netflix, su Amazon Prime, ecc.

Alcune ragazze fanno degli interventi sulla trasmissione "La Banda dei FuoriClasse", andata in onda durante il lockdown: insegnanti, divulgatori ed esperti guidati, in diretta, dal conduttore Mario Acampa, portano i ragazzi alla scoperta delle materie scolastiche, ma anche di tante notizie ed.

trasmissione. Questo, secondo lei, è un elemento metodologico molto utile perché permette di visualizzare in modo chiaro e sintetico le informazioni trattate. Inoltre, la presenza di un conduttore che invita i ragazzi a partecipare e interagire attraverso i social è un altro punto vincente, perché favorisce l'engagement degli studenti e li fa sentire coinvolti nella trasmissione. Infine, la possibilità per i ragazzi di inviare disegni o saluti è un modo simpatico per rendere la trasmissione più vivace e divertente. In conclusione, nonostante la lentezza e la noia segnalate da alcuni, ci sono diversi elementi metodologici che rendono questo esperimento interessante e funzionale.

Questa mappa è utile, innanzitutto, perché svolge una funzione di sintesi di quello che è stato esplicitato durante la lezione-puntata e poi c'è anche una funzione di coinvolgimento legato all'uso delle immagini, tanto è che queste mappe concettuali spesso sono ricche non solo dei classici diagrammi, ma anche di piccoli disegni, che in qualche modo accompagnano e cercano di esplicitare il messaggio che viene comunicato. È un'impresa riuscire a guardare una puntata intera senza stancarsi, perché il grande difetto di questo format, che è nato proprio in un momento di emergenza, è riuscire a resistere alla lunghezza, perché, pur essendo interessante, su molti aspetti è ripetitivo, ma su un format di questo genere bisogna riuscire a costruire un ritmo e una capacità di coinvolgimento decisamente alto, perché altrimenti dopo un po' i bambini crollano. Il gioco del

presentatore in questo format è il mettersi alla pari di un alunno: lui tenta di mettersi al livello degli alunni, quindi diventa una sorta di medium attraverso cui tutti gli alunni, idealmente di tutta Italia, entrano in contatto con gli insegnanti che sono dall'altra parte. Questo è un elemento interessante, che però non sempre funziona, in base all'età degli studenti.

Approfondimento sulla struttura e sulla forma

Paradossalmente, molte delle forme e delle manifestazioni culturali che riguardano l'uomo, e che quindi hanno a che fare con la produzione di fenomeni/eventi/oggetti culturali, hanno una sorta di "andamento bipolare", nel senso che ogni oggetto culturale sembra avere una parte nascosta, che noi diamo per scontato, e una parte che, invece, percepiamo di primo colpo e quindi che è quella che ci impressiona. Avevamo già accennato il fatto che questo aspetto di "doppio elemento" si

organizzasse dietro a due termini: struttura e forma, terminologia che proviene da C. Lévi-Strauss, che è uno dei principali antropologi del Novecento. Lévi-Strauss, durante i suoi studi condotti sul campo – cioè inserendosi (soprattutto nell'area centro-sudamericana) all'interno di un ambiente/popolazione/società che lui aveva preso in esame, ossia vivendo con gli autoctoni per cercare di scoprirne le abitudini, i costumi, le tradizioni, l'organizzazione sociale/religiosa – si è reso conto che tra delle popolazioni selvagge/tribali, completamente impossibilitate ad entrare in comunicazione tra di loro – se non altro per motivi di spazio, perché geograficamente dislocate in territori molto distanti l'un dall'altro –, paradossalmente, a livello linguistico e di costruzione di miti fondativi c'erano elementi in comune. Lui si è reso conto che fondamentalmente queste popolazioni.

Pur non essendo mai entrate in contatto fra di loro, avevano almeno strutturalmente dei racconti fondativi, ossia dei miti che parlavano della fondazione delle loro società, che avevano degli elementi in comune. Questo aspetto l'ha fatto ragionare, perché ha esteso questo ragionamento anche sull'organizzazione sociale e religiosa, sempre partendo da una questione del linguaggio: si è sempre interrogato su come questi elementi linguistici fossero in qualche modo in comune tra popolazioni molto distanti tra di loro. Questo, d'altra parte, possiamo vederlo anche se compariamo delle popolazioni più recenti; lui ha compiuto questi studi a partire dagli anni '40 e '50 del Novecento, ma potremmo fare dei ragionamenti simili anche su degli ambiti sociali a noi coevi, quindi realtà vicine a noi oggigiorno. Potremmo effettivamente renderci conto, in qualche modo, di come esistano elementi che ci accomunano.

Bellissimo libro di Steven Johnson, che è un sociologo americano, intitolato "Dove nascono le grandi idee. Storia naturale dell'innovazione", che fa capire come in un determinato periodo storico, secondo delle condizioni contestuali che più o meno sono uguali in tutta la sfera terrestre, più di una persona ha la stessa idea; la differenza rispetto a Lévi-Strauss è che queste persone possono relazionarsi tra di loro grazie alla tecnologia. Questo libro di Johnson è molto interessante perché fa capire come sia anche la condizione e il contesto sociale e culturale che rende possibile sviluppare delle linee di pensiero, ovviamente poi i media e la tecnologia collaborano in questo pensiero. È ovvio che se noi abbiamo una tecnologia che ci consente di fare determinate cose ed è diffusa in tutto il mondo, è più facile che si sviluppino delle idee che riguardano quel tipo di tecnologia. A parità di progresso,

sviluppo tecnologico e contesto sociale, tendenzialmente in undeterminato momento storico più persone possono avere la stessa idea. Sempre di Steven Johnson vi è anche un testo del 2006, che si chiama “Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono intelligenti”, che parla di come la televisione, i videogiochi siano in qualche misura utili anche allo sviluppo di determinate competenze e abilità cognitive che, nel 2006, creavano un po’ di scalpore, ma che oggigiorno sono ritenute fondamentali. Lévi-Strauss si è reso conto che in società, estremamente distanti l’una dall’altra, c’erano delle strutture linguistiche ricorrenti all’interno dei miti fondativi delle singole società e quindi ha iniziato a chiedersi se questa cosa fosse un elemento caratteristico solo di un determinato territorio o se si potesse fare un ragionamento più ampio, ossia

immaginare che fosse proprio la struttura celebrale dell'uomo a sviluppare delle forme e delle linearità di questo tipo. In effetti, se esaminiamo determinati oggetti culturali, in qualche modo contemporanei alla nostra quotidianità, ci rendiamo proprio conto di questo elemento: se io potessi, ipoteticamente, sovrapporre due automobili che appartengono allo stesso settore, probabilmente, mi renderei conto che entrambe le automobili hanno lo stesso assale, ma varia poi la forma, ossia ciò che ci conquista e che ci fa scegliere quel tipo di automobile piuttosto che un altro. Ci sono degli studi che affermano che il nostro cervello ha bisogno di focalizzarsi su degli elementi ricorrenti anche se sono nascosti, per mantenere un certo equilibrio: il protagonista della nostra serie preferita viene sempre doppiato con la stessa voce, ma ad un certo punto il doppiatore cambia e quindi anche la sua voce e quindi per noi è uno shock, in quanto non vi è

più quell’elemento che il nostro cervello riconosce immediatamente, che gli è famigliare, perché ha un certo peso emotivo sulla nostra persona e che quindi automaticamente alimenta una sorta di “massaggio”. Noi siamo abituati ad una percezione e modificare quella percezione è tremendamente difficile, tant’è che provoca per l’appunto una rottura di quel meccanismo di “massaggio”. Ciò riguarda strettamente l’aspetto biologico del nostro cervello, è un fastidio corporeo, non psicologico: infatti, la mente è un prodotto corporeo, un prodotto di reazioni chimiche del nostro cervello. La prima cosa da mettere in evidenza è che si tratta di una questione bio-fisiologica, che riguarda il corpo; noi, poi, costruiamo uno strato interpretativo, dopo l’aspetto istintuale e fisiologico, che è quello che ci governa e ci mantiene in vita. L’elemento fondante, quindi, è

comprendere come queste esigenze siano esigenze che non derivano essenzialmente e soltanto da un aspetto psicologico ed emotivo, ma soprattutto da una questione fisiologica, in quanto il nostro cervello è molto abitudinario. Questo è uno dei motivi per cui è difficile abbandonare un'abitudine per prendere una differente. Però, l'abitudine e l'abitudinarietà non è un qualcosa di sempre così negativo e dannoso. Quindi, tutto il ricorsismo che è presente in molte forme mediali è un qualcosa di fondamentale, intanto per garantirci quel riconoscimento e quella familiarizzazione rispetto ad un qualcosa, perché così posso concentrarmi maggiormente sul messaggio che passa, perché, in realtà, questo meccanismo ricorrente, in qualche misura, mi ha già previsto la strada maestra e quindi io posso tranquillamente andare dritto all'obiettivo (es. negli spot della Barilla la musica).È sempre la stessa). Il massaggio mediatico è una terminologia che fa capo a Marshall McLuhan che è l'iniziatore degli studi sui media e che ha intuito, a metà degli anni '60, il fatto che le tecnologie potessero essere delle estensioni sensoriali dell'uomo (es.: gli occhiali sono una tecnologia che estende la vista). McLuhan sosteneva che i media non sono solo mezzi di comunicazione, ma hanno un impatto profondo sulla società e sulla percezione del mondo. Secondo lui, i media non solo trasmettono informazioni, ma plasmano la nostra cultura e il nostro modo di pensare.
Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
129 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher s.filia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia dei media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Denicolai Lorenzo.