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INTRODUZIONE ALLA DISCIPLINA”
DECRETO 231/2001 è stato emanato a fronte della legge delega 300 del 2001. Era
una legge che si proponeva di recepire talune istanze sopranazionali, in particolar
modo attinenti ai settori della protezione degli interessi finanziari. Strumenti
internazionali della metà degli anni ’90, la convenzione PIF e i protocolli ( interessi
finanziari). Questi stessi internazionali prevedevano l’ obbligo a carico degli stati di
introdurre una CORRESPOSABILIZZAZIONE DELL’ENTE COLLETTIVO PER
IPOTESI DI CONDOTTE CRIMINOSE POSTE IN ESSERE DA PERSONE
FISICHE cioè a latere della ordinaria responsabilità penale della persona fisica
autrice della condotta criminosa, lo strumento internazionale, la convenzione,
prevedeva che gli stati contemplassero all’interno dei rispettivi ordinamenti anche
forme di corresponsabilizzazione dell’ente collettivo. Un’altra ragione, in qualche
modo in disparte, è una ragione di carattere politico-criminale perché la ordinaria
responsabilità della persona fisica autore materiale si è valutata come non sufficiente
a contrastare quelle forme di criminalità per le quali allora si è avvertita necessità di
introdurre anche una corresponsabilità dell’ente collettivo. Questo discorso è più
chiaro se si pensa ai reati per i quali nasce all’origine la corresponsabilizzazione degli
enti collettivisi tratta dei cd REATI ECONOMICI, la criminalità impresa, i reati
dei colletti bianchi, o piuttosto reati posti in essere con violazione della normativa
sulla sicurezza economica , o piuttosto reati ambientali , per contrastare i quali la
responsabilità penale predicata nei confronti del singolo soggetto, può non essere
idonea a contrastare quelle forme. In molti casi il reato economico si inserisce in una
cornice rappresentata dalla società, dall’ente collettivo genericamente inteso, e agisce
il soggetto persona fisica, come ad es l’amministratore, e per es sogg più
genericamente detto apicale (di rappresentanza gestione..) ; ed è possibile che il reato
economico, lungi dall’essere immediatamente soltanto riconducibile soltanto al
soggetto persona fisica che lo ha materialmente posto in essere, sia prodotto di una
scelta dell’azienda, sia prodotto risultato di una scelta di politica aziendale. Ulteriore
esigenza che è quella che riguarda il principio di colpevolezza, perché sebbene nei
casi in cui può essere riscontrato che il reato posto in essere sia o sia stato una scelta
di politica aziendale, in qualche modo punire solo la persona fisica che ne sia stato
l’autore , rischia di identificare quel soggetto come capo espiatorio avrebbe l ente
un gioco facile per es con il licenziare quel soggetto condannato e sostituirlo
uscendone impunito (l’ente). Questa è una ulteriore ragione che riguarda alla
fenomenologia criminosa e alla criminologia necessità di introdurre una
corresponsabilizzazione dell’ente collettivo. L’ottica non è solo repressiva, ma è
anche un’esigenza PREVENTIVA, perché se all’orizzonte l’ente collettivo ha si
prospetta la possibilità di poter essere sanzionato, è molto probabile immaginare che
si attivi per fare quanto necessario a che i soggetti persone fisiche, in un rapporto
qualificato con l’ente, non commettano i reati per i quali, peraltro, è difficile
immaginare una vera e propria prevenzione in assenza di ruolo protagonistico dello
stesso ente. Si pensi ai reati in materia ambientale se non è l’ente di suo ad
apportare dispositivi che possano riuscire ad evitare quella tipologia di fattispecie
criminose, è ben difficile immaginare che il singolo possa riuscire in questo. Es
necessità adeguamento alle norme di sicurezza nel lavoro ben poco può il singolo
far tutto questo.
Su altro versante, l’introduzione della resp degli enti collettivi nel nostro
ordinamento, in particolar modo come responsabilità penale, è stata particolarmente
problematica perché in molti gradi sono state poste ed opposte obiezioni alla
possibilità di una previsione di una responsabilità penale in capo agli enti collettivi.
In ragione di quelli che sono i principi del diritto penale, ed in particolar modo si
faceva valere l’esistenza dell’art 27 cost = principio nella duplice accezione di
colpevolezza: come divieto di responsabilità del fatto altrui e come divieto di
responsabilità penale nell’ipotesi di un fatto illecito che però non sia anche colpevole,
e quindi la necessità di una attribuzione o attribuibilità della una condotta posta in
essere e sul versante meramente materiale all’agente e dall’altra parte una punibilità
anche psicologica del fatto materiale.
Alcuni studiosi hanno rilevato come la cost quando parla di responsabilità personale
faceva riferimento alla persona fisica e non giuridica.
Principio di colpevolezza ai fini dell’ascrivibilità della resp penale nei confronti di
un soggetto, anche collettivo, non si potrebbe prescindere dalla possibilità di muovere
nei confronti di costui un rimprovero per il comportamento tenuto. Tutto questo nei
termini di una condotta colposa o dolosa diremo che è difficile immaginare un ente
collettivo che dolosamente agisca ai fini della commissione del reato doloso
difficile pensare ad un ente collettivo pensante. Queste difficoltà portava qualcuno a
sostenere una lettura incostituzionale del decreto 231/2001. Attualmente l’ente
collettivo può essere chiamato a rispondere di un reato che un soggetto in rapporto
qualificato con questo ente abbia compiuto. Il problema di frizione con l’art 27 cost è
stato sdrammatizzato: il legislatore è stato molto cauto se facciamo riferimento al
dato meramente letterale, il legislatore non parla di responsabilità penale il titolo
del capo primo del decreto parla di RESPONSABILITà AMMINISTRATIVA
DELL’ENTE-> nonostante questo dato letterale, tuttavia ci si occupa di
responsabilità degli enti collettivi ai sensi del 231/2001. in realtà la questione inerente
alla natura della resp degli enti collettivi risulta ancora oggi discussa, c è chi è
dell’opinione per es secondo la quale i connotati della resp penale e della resp
amministrativa si compenetrino nell’ipotesi di resp messa a fuoco dal decreto 231-
2001 , il ché farebbe parlare addirittura di una responsabilità che integra gli estremi di
un tertium genus . Quindi discussa è la natura dell’ente ai sensi del 231-2001.
Rimane però un dato che giustifica la circostanza che si parla in sede penale di questo
tema: il primo dato si tratta sicuramente di una responsabilità dipendente da reato,
è una corresponsabilizzazione degli enti collettivi per ipotesi di reati commessi
da soggetti in un rapporto qualificato con l’ente. il reato base c’è sempre! Altro
dato fornitoci dal legislatore: la resp va verifica , certificata non nell ambito del
processo amministrativo, non nell’ambito di un procedimento civile, ma nell’ambito
di un processo penale il legislatore peraltro ha preferito il simultaneus
processus, cioè la regola vorrebbe che la resp dell’ente collettivo dipendente da reato
x sia certificata e verifica nello stesso procedimento a carico del soggetto persona
fisica autore del reato x , e non solo per esigenze di economie processuali, ma anche
per esigenze di accertamento a tutto tondo del caso di specie.
DISCIPLINA: i punti da mettere a fuoco sono l’ambito di applicazione soggettivo e
oggettivo del decreto , i criteri di iscrizione della resp all’ente collettivo, i connotati
di questa resp, sistema sanzionatorio decreto 231-2001
AMBITO OGGETTIVO E SOGGETTIVO: ambito di applicazione
SOGGETTIVO a quali soggetti , enti collettivi , il decreto 231 2001 si applica???
L’art 1 “1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilita degli enti
per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
2. Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalita
giuridica e alle societa' e associazioni anche prive di personalita' giuridica.
3. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici
non economici nonche' agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.”
Innanzitutto il drecreto utilizza una formula particolarmente amplia, si parla di resp di
persona giuridiche, ma non è la personalità giuridica a rappresentare elemento
discretivo tra l’applicazione o non applicazione del 231-2001 anche ad
associazioni e società sprovviste di personalità giuridica, il 231, sussistendo le altre
condizioni, si applicherà. A fronte del comma 2 vi è un comma successivo che
individua delle espresse esclusioni non sarà applicabile nell’ipotesi in cui soggetti
persone fisiche in rapporto qualificato con lo stato , comune con un ente avente
rilievo costituzionale (partiti, sindacati) non risponderà ai sensi del 231-2001.
Ambito di applicazione OGGETTIVO l’ente collettivo risponde per quanto
riguarda i reati posti in essere dalle persona fisica, per qualsivoglia reato commesso
da quest’ultima??? NO! Si fa riferimento in questo caso proprio alle fattispecie
criminose, ai reati. Il meccanismo abbraccia dal nostro al legislatore è che la resp
dell’ente collettivo potrà aversi in quanto del reato commesso possa dirsi che rientra
nell’elenco dei reati presupposto per i quali è prevista la resp degli enti collettivi il
decreto 231 nasce come decreto che prevede la resp degli enti collettivi per i reati di
cui agli art 24 e 25 dello stesso decreto. All’inizio è questo! Prima l’ente collettivo
avrebbe risposto soltanto per questi due reati, all’inizio, al momento di emanazione di
questo decreto. Quindi viene incardinato un procedimento a capo di unente per il
reato y che però non appartiene all’alveo dei reati per cui poteva rispondere si
blocca qui, non può esservi sua resp, perché il reato commesso dalla persona fisica è
un’ipotesi di corresponsabilizzazione non prevista. Per es a rimanere nel 2001 se un
ente collettivo fosse stato chiamato a risponde del reato di omicidio colposo per
violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, non avrebbe potuto esser
condannato perché in origini, fra i reati di cui al 24 e 25 del decreto, quella fattispecie
non rientrava nel novero dei reati per i quali l’ente collettivo poteva vedersi chiamato
in causa e quindi rispondere ai sensi del 231. cmq è rimasta l’assenza di un