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Appunti conferenza - Ragionare di diritto oggi Pag. 1
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sono riconducibili agli enunciati. Siamo passati dall’ottica degli atti di posizione all’ottica degli atti di

riconoscimento: una cosa è la posizione di un testo, un’altra cosa il riconoscimento dell’operatività

del principio, che sta dopo la concretezza dell’attuazione. Le norme sono fisse, al massimo

suscettibili di un processo di interpretazione, i princìpi sono mobili e non definibili nei loro modi di

attuazione, che possono essere vaghi. Per esempio, bisogna fare il confronto fra le sentenze

Welby ed Englaro: nel caso Englaro il giudice ha fatto quasi una sentenza di non liquet, mentre nel

caso Welby il giudice va a cercare il principio dappertutto, perché il principio non è codificato

(legalità del caso: il principio non è una norma ma fa nascere la norma in funzione dell’esigenza

del caso). Per i princìpi non si può neanche fare la distinzione fra fraustico e neustico: in un

enunciato c’è una parte che è un contenuto precettivo, l’altro descrittivo. In uno scritto degli anni

’70 Giovanni Carello ha scritto La tematica del neustico: in una stanza ci sono una finestra e una

porta, c’è un tavolo pieno di fogli che il vento che entra dalla porta fa muovere; si impone allora di

chiudere la porta, e l’addetto la continua a chiudere. Cambiano però nel tempo le condizioni e non

ci sono i più i fogli sul tavolo ma una culla con un bambino sotto la finestra: l’addetto ad applicare

la norma non può più applicare la norma che impone di chiudere la porta, ma deve chiudere la

finestra, perché deve conciliare le norme in funzione delle esigenze del caso. Quando nemmeno

attraverso l’analogia si può risolvere un caso si deve fare riferimento ai princìpi ricavati dal tessuto

dell’ordinamento ma che non si rifanno al testo costituzionale. Nelle norme la generalità è insita

nella stessa formulazione e ne è il presupposto, è un traguardo tendenziale. Si passa da uno ius

oppositum a uno ius infieri. Lipari disse che si rifiutava di svolgere il ruolo di un giurista che fosse

una specie di farmacista, perché questo era una volta il giurista: svolgeva un ruolo meramente

passivo di un negoziante che conosce i suoi prodotti e li fornisce quando gli viene richiesta. In un

ordinamento che procede per princìpi ciascuno di noi concorre alla formazione della ricetta: ecco la

centralità del ragionamento giuridico. La ragionevolezza si svolge attraverso la parola e il discorso,

che mettano in rapporto i concetti e le argomentazioni per arrivare ad un giudizio che appaia

plausibile e dunque condiviso. L’interrogati che si potrebbe porre si formula domandandosi: il

ragionamento giuridico ha sue particolarità quanto all’oggetto? La risposta che Bobbio dà è

perentoria: il ragionamento giuridico è rivolto a seguire conclusioni vere da premesse poste come

vere e non ad inferire verità fattuali e neppure giudizi di valori. Nel sistema costituzionale la

voluntas della lex deve fare i conti con la ratio della Costituzione: l’interpretazione non è più un

procedimento sillogistico, ma fa parte dell’attività costitutiva della norma giuridica. Mengoni si

domanda come mai per anni non si sia stata avvertita questa crisi, lui dice che tutta questa realtà

era nascosta dietro il linguaggio avalutativo del giurista perché entro categorie sistematiche neutre

si stemperavano i valori della società borghese conformi all’Europa cristiana. Il tessuto di valori, la

realtà a cui il giurista deve guardare era così uniforme e consolidata che qualunque fosse

l’approccio da cui si guardava il risultato era lo stesso: oggi non è più così, siamo passati da u

diritto definito ad un diritto progettuale, che si deve costituire in una realtà condivisa. I princìpi non

possono essere colti nel loro significato che attraverso procedimenti interpretativi condivisi nella

loro ragionevolezza. Bisogna distinguere ragionevolezza da razionalità: la razionalità è coerenza

logica e riconducibile ad una chiave formale, ragionevole vuol dire invece congruente rispetto a

valori materiali, è diventata essenza della tipicità, perché il presupposto ed esito nella prospettiva

di un metodo condiviso. La forza senza la giustizia è tirannica, la giustizia senza forza è. La

risposta che danno tutti i politici di oggi è “ma noi siamo maggioranza”, ma questo non è un

ragionamento plausibile: Franco Caligano ne La forza del numero e la legge di ragione cita

Federico II di Svevia, il quale dice che quantunque la nostra maestà sia sciolta da ogni legge

equivalente della maggioranza assoluta, non si eleva essa alla ragione. Decidere sulla base del

diritto significa attuare un risultato di giustizia e attuarlo sulla base di un ragionamento

razionalmente condiviso. Non può che implicare un consenso sulla base di un minimo etico, c’è un

momento in cui il processo del diritto si scontra con un principio di moralità: se non fosse così

saremmo schiavi della forza. Assumere il diritto nell’ottica della ragione significa assumere alcuni

postulati, svincolarlo da ogni prospettiva di tipo autoritario, significa collocarlo nella storia. Dire

questo vuol dire superare il paradigma della statualità del diritto: significa coglierlo in qualcosa non

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Publisher
A.A. 2019-2020
3 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/20 Filosofia del diritto

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher FrancescaTG di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Piemonte Orientale Amedeo Avogadro - Unipmn o del prof Lipari Nicolò.