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MILLE?
A livello parlato abbiamo i volgari italo-romanzi, ma a livello scritto la lingua dei colti rimane il latino.
Tra l’XI ed il XIII secolo nella scrittura si fa largo la necessità di capirsi (soprattutto per esigenze
commerciali), nasce dunque l’esigenza di trovare una lingua che possano capire tutti, è un fenomeno
che avviene a macchia di leopardo e che parte quindi dalla borghesia mercantile.
In questo periodo in Italia ci sono molti centri culturali (Milano, Palermo, Firenze), perché dunque
viene scelto proprio il fiorentino? Principalmente per motivi extra-linguistici. In questo periodo si
creano condizioni favorevoli per Firenze, che nel XIV secolo gode di supremazia assoluta in alcuni
campi, tra cui:
▪ in campo economico, grazie alle banche e agli istituti di credito
▪ in campo politico, tanto da arrivare nel XV secolo ad avere un ruolo di primo piano: è l’ago della
bilancia grazie alla famiglia Medici. Dopo la pace di Lodi (1454), Lorenzo de’ Medici riesce a sedare le
rivolte dei signori, inoltre chiama a corte l’élite degli intellettuali del tempo, questo comporta una
fioritura culturale ed artistica che favorisce il coraggio di certi autori nello scrivere in fiorentino, che
acquisisce così una diffusione maggiore rispetto agli altri volgari.
Nel Quattrocento gli intellettuali continuano ad usare il latino, ma nel 1435 inizia una disputa tra gli
umanisti Biondo e Bruni sull’origine del volgare. Biondo pensava che la lingua diffusa ai tempi dei
Romani, il latino, si fosse corrotta con le invasioni barbariche. Da questa corruzione sarebbero nati i
volgari, conseguenza di un evento catastrofico. Bruni invece sosteneva che i Romani parlassero due
lingue diverse nello scritto e nel parlato, e che da quest’ultima si fosse formato il volgare. All’epoca
prevalse la tesi di Biondo.
Leon Battista Alberti promuove iniziative a sostegno del volgare, come l’umanesimo volgare. Lancia
il “Certamen Coronario” , una competizione dal titolo latino che prevedeva di scrivere una poesia
sull’amicizia utilizzando il volgare (1441). Alla fine della competizione i giudici stabiliscono che non
c’è nessun vincitore in quanto nessuna delle opere pervenute può chiamarsi poesia: il volgare non è
ancora pronto.
I tempi diventano maturi nel Cinquecento e la stampa dà una spinta decisiva innescando una serie di
riflessioni sulla lingua che portano a diverse posizioni:
1. intellettuali che considerano solo il latino
2. Pietro Bembo, nel 1525 pubblica “Prosa della volgare lingua”, un trattato sul volgare scritto sotto
forma di dialogo tra personaggi che portano avanti idee diverse. Alla fine emerge l’idea che la lingua
che può diventare lingua nazionale è il fiorentino del Trecento utilizzato nelle opere principali delle
tre corone. Bembo apprezzava particolarmente Petrarca e Boccaccio, ma non la versatilità di Dante
3. la lingua cortigiana (Calmeta “della volgare poesia”), Baldassarre Castiglione. La base da cui si parte è
il fiorentino letterario del Trecento, comprendendo però anche parole di provenienza di altri volgari
4. Trissino, aveva scoperto il manoscritto di Dante “De vulgari eloquentia” (p.40), in cui Dante faceva
una rassegna dei volgari. Trissino ritiene che Dante e Petrarca avessero scritto usando una lingua
italiana ma misto di altri volgari. La posizione di Trissino è detta anche posizione italianista.
5. Machiavelli, autore di “Discorso intorno alla nostra lingua” (1524), sostiene come il modello deve
essere il fiorentino del Cinquecento, ovvero il fiorentino contemporaneo parlato
Alla fine prevale la posizione di Pietro Bembo, che però si configura fin da subito come deleteria,
poiché si crea una situazione di disparità tra lingua scritta (italiano standard) e lingua parlata.
Questo fenomeno bloccherà per quattro secoli l’evoluzione dell’italiano a livello scritto, fino alla fine
dell’Ottocento, quando si avrà l’unità italiana e la diffusione delle opere di Alessandro Manzoni. Altri
fattori di unificazione possono essere considerati: il servizio militare, gli spostamenti, i mezzi di
comunicazione, la scuola. I DIALETTI
I dialetti sono evoluzioni dei volgari italo-romanzi, a loro volta evoluzione del latino volgare.
L’isoglossa La Spezia-Rimini divide anche i dialetti settentrionali da quelli centrali, un’ulteriore
isoglossa Roma-Ancona divide i dialetti centrali da quelli meridionali. G.Pellegrini nel 1977 realizza la
carta dei dialetti individuando cinque varietà:
1) toscano
2) friulano
3) sardo
4) dialetti settentrionali (che si distinguono in dialetti gallo-italici e veneto)
5) dialetti centro-meridionali (che si distinguono in marchigiani centrali-umbri-laziali, marchigiani
meridionali-abruzzesi-molisani-campani-lucani-calabresi settentrionali-pugliesi settentrionali,
meridionali estremi) I DIALETTI SETTENTRIONALI
Si dividono in:
1) nord-occidentali o gallo-italici
2) orientali o veneti
Fenomeni comuni
⁃ sonorizzazione delle occlusive sorde in posizione intervocalica -K- > -G- (> -0-) ; -T- > -D- (> -0-) ; -P-
> -B- (> -V-)
⁃ scempiamento delle geminate (o degeminazione, articolazione debole di un fonema articolato in modo
intenso): “gata” per gatta, “mama” per mamma
⁃ avanzamento delle affricate fino ad arrivare ad un’assibilazione: affricate palatali > affricate alveolari
(> perdita elemento occlusivo > sibilante)
-CL-
a) nord-orientale: conservano i nessi latini. Es. “klaf” per chiave (friulano < clavem)
b) restante area: palatalizzazione. Es. “ciaf” per chiave (lombardo < clavem), “ciav” (emiliano), “oc” per
occhio (lombardo < oculum) > oclum
c) in alcune aree palatalizzazione CL > tsj con dileguo, ma solo in posizione interna: es. “oc” per occhio
(lombardo < oculum) > oclum.
d) Generale tendenza alla caduta di corpi fonici, specie se in posizione finale (con aree di maggiore
saldezza)
e) metafonesi/metafonia di area settentrionale è un fenomeno di armonizzazione a distanza tra vocale
tonica e vocale finale, la condizione è la vocale finale, l’effetto è il mutamento di timbro della vocale
tonica; esempio -Ī
A > e aperta / O aperta > o chiusa / O chiusa > u / E aperta > e chiusa / E chiusa > i
es. MULTUM > molto (singolare) > multi (plurale) VENETO
quest (singolare) > quist (plurale) LOMBARDO
tanto > tenti VENETO
santo > senti VENETO
Fenomeni specifici dell’area gallo-italica
⁃ vocali turbate (o miste) ö e ü
⁃ caduta delle vocali atone finali (ad eccezione di -A, per reazione alla caduta delle altre)
⁃ faucalizzazione (ovvero pronuncia arretrata, velare, della consonante nasale n) es. “lüna”
⁃ dittongamento di Ë tonica > ei (purché la vocale tonica non sia seguita da una nasale) Es. tela > teila
⁃ palatalizzazione di A > E aperta negli infiniti della prima coniugazione [parlare > parlè] e nelle parole
con suffisso -arium [caprarium > cravè]
⁃ -CT- > -IT- Trattamento formato da occlusiva velare sorda + occlusiva dentale sorda.
I DIALETTI TOSCANI
Si trovano al di sotto dell’isoglossa La Spezia-Rimini, e si distinguono in fiorentino, toscani
occidentali, senese e aretino. Possiamo trovare ǯ
Tratti toscani che rimangono a livello dialettale, come la gorgia, e la pronuncia di G (-dd -) < (-DJ-)
affricata palatale sonora.
Tratti toscani/fiorentini che sono diventati italiani standard, e che quindi dimostrano la fiorentinità
della lingua
⁃ vocalismo tonico con dittongamento toscano, legato a questo fenomeno è la regola del dittongo mobile
(coniugazione del verbo tenere)
tengo (forma rizotonica)
tieni (forma rizotonica)
tiene (forma rizotonica)
teniamo (forma rizoatona)
tenete (forma rizoatona)
tengono (forma rizotonica)
⁃ rafforzamento fonosintattico
⁃ trattamento della labio velare
⁃ assimilazione consonantica regressiva:
-CT-
-DV- (advenire > avvenire)
-MN- (damnum > danno)
-PS- (scripsi > scrissi)
-PT- (scriptum > scritto)
-CS- può dare come esito (fixare > fissare) oppure (maxillo > mascella)
⁃ anafonesi, si verifica solo sulle vocali toniche (e chiusa, o chiusa)
E (< ē, ĭ ) > I
O (< ō, ŭ ) > U
e solo se E e O
1) si trovano davanti a laterale palatale o nasale palatale, purché essi derivino dal nesso (LJ), o dal nesso
(NJ): gramĭneam > graminea > gramigna (chiusura di E in iato) > gramĭgna (NJ) > gramegna
2) si trovano davanti a nessi formati da nasale + velare -NK-, -NG- (eng, ong, enk, onk*) *un’unica parola
mostra anafonesi con ONK: jŭncum > jŭncu > jancu (evoluzione vocalismo tonico) > jonco > gionco
SOLO i dialetti toscani occidentali non presentano l’anafonesi.
I DIALETTI CENTRALI
Essi si trovano sotto l’isoglossa La Spezia-Rimini, e sopra la Roma-Ancona (eccetto i toscani).
Ne fanno parte i diletti marchigiani, umbri e laziali.
Fenomeni comuni
• prosecuzione adriatica (sulla costa) di un fenomeno presente nell’area settentrionale, ovvero la
palatalizzazione di A tonica > E aperta. Es. mel per “male”
• assimilazione consonantica regressiva -LD- > -LL-
• metafonesi di tipo ciociaresco, essa si verifica solo nella base latina di partenza: -Ī / -Ŭ
no nella vocale A
E chiusa > I
O chiusa > U
E aperta > E chiusa
Fenomeni specifici dell’area marchigiana
• infiniti piceni che terminano con -a, esempio veda per “vedere”, cora per “correre”
• terminazione dei verbi della prima persona plurale indicativo, esempio potema, vulima
Fenomeni specifici dell’area umbra
• tendenza di i > e, esempio “cane” per cani, “amice” per amici
• prosecuzione della palatalizzazione di a > e; E > ei
• ritrazione d’accento (propagazione di un tratto aretino)
ȷɛ > ie > monottongamento > i
wo > uo > monottongamento > u
Fenomeni specifici dell’area laziale
• rotacismo: il > er
• verbi -emo “-iamo”
• apocope degli infiniti
• semplificazione laterale palatale > j I DIALETTI MERIDIONALI
Si distinguono in:
Dialetti alto-meridionali (meridionali veri e propri): i tratti comuni
• assimilazione consonantica progressiva, in presenza dei nessi
-ND- > -NN-
-MB- > -MM-
• assimilazione parziale (sonorizzazione post-nasale), legata ai nessi
-NT- > -ND-
-MP- > -MB-
• -MJ- > nasale palatale intensa
• betacismo
• palatalizzazione dei nessi formati da consonante + laterale