Appunti completi di microbiologia
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citoplasmatico (il vacuolo), continuano a comunicare con il citoplasma mediante le siringhe
molecolari (sistema di secrezione di tipo terzo con simil-flagello ad esempio Yersinia e Salmonella,
o di tipo quarto con struttura simile a una fimbria ad esempio Helicobacter, Legionella), talvolta
invece si liberano direttamente nel citoplasma poiché secernono degli enzimi che distruggono la
membrana vacuolare e diventano più propriamente intracellulari come nel caso di Shighella e
Listeria.
Shighella vuole essere totalmente immerso nel citoplasma perchè a un polo sulla sua superficie
produce degli enzimi in grado di far polimerizzare l'actina che quindi polimerizzerà tutta da una
parte del batterio formando delle vere e proprie comete di actina che lo spingeranno letteralmente
verso la membrana plasmatica fino a raggiungere la cellula epiteliale adiacente in questo modo
Shighella passa da cellula a cellula per tutta la mucosa intestinale. A questo punto il batterio
essendo molto aggressivo inizierà a produrre enzimi, infiammazione e necrosi tissutale tali da
causare una diarrea e una gastroenterite grave con produzione di sangue e ulcere che possono essere
letali all'ospite; in questo modo Shighella si diffonde nell'ambiente anche se altri batteri che sono
molto meno virulenti sono più efficienti nel diffondersi e nel sopravvivere nella popolazione ospite
ad esempio Salmonella.
Altri batteri comunicano con l'ambiente citosolico con un altro sistema di secrezione che si chiama
di tipo quarto e la struttura di base è simile a quella di una fimbria (siringa molecolare) tipico di
Agrobacterium, Helycobacter, Legionella. La Legionella è un batterio veramente efficace nel
controllare i macrofagi, questo è dovuto al fatto che non si è evoluta nell'uomo ma nelle amebe (in
particolare nell'Acanthamoeba castellanii, un microrganismo ubiquitario); le amebe si cibano di
batteri ambientali tra i quali figura la Legionella che quindi si è evoluta sviluppando sistemi di
secrezione di tipo quarto che controllano le amebe impedendole di degradarli. Se poi le amebe
colonizzano i nostri polmoni la Legionelle passano dalle amebe ai nostri macrofagi e sono già
pronte a resistere alla loro attività biochimica provocando polmoniti.
I batteri dopo che passano la barriera intestinale, sono raccolti dai macrofagi (che fungono da
cavallo di troia) che successivamente li disseminano nei tessuti profondi, quindi il macrofago
raccoglie gli antigeni dalla periferia e attraverso il sistema linfatico li porta nei linfonodi dove ci
sono i linfociti e glieli presenta (perchè sono cellule che presentano l'antigene, APC). Quindi in
questo caso i batteri si fanno portare perchè la cellula dendritica o comunque il fagocita sa che deve
portare l'antigene al linfonodo per presentarlo al linfocita, il fagocita deve trovare il linfocita che per
caso è adatto perchè presenta il recettore di superficie che combina perfettamente con l'antigene e a
questo punto si avrà l'attivazione monoclonale di quel linfocita e si avranno tanti linfociti in grado
di rispondere a quell'antigene (risposta immunitaria adattativa). Quindi il batterio generalmente
viene trasportato ma una volta che arriva al linfonodo verrà presentato l'antigene e il nostro sistema
immunitario provvederà a montare la risposta immunitaria, mentre altri batteri inibiscono la fusione
tra il fagosoma e il lisosoma quindi non verranno degradati e i loro antigeni non verranno presentati.
Questi ultimi sopravvivono all'interno del fagolisosoma se si è formato perchè riescono a mettere in
atto una serie di sistemi che neutralizzano il ph prodotto dalle idrolasi acide oppure riescono a
distruggere la membrana del vacuolo e fuggire dal fagolisosoma, o inducono apoptosi nel
macrofago senza fare infiammazione.
Altri batteri si limitano solo a produrre enzimi e a degradare il tessuto circostante, se un batterio è
un ambientale non adattato all'ospite umano ad esempio Pseudomonas, è in grado comunque di
colonizzare e ha il tempo di produrre enzimi (invasine del secondo tipo), degradare tessuti e creare
un infiammazione molto consistente (necrosi infiammatoria che porta spesso alla morte del soggetto
se non viene curata).
Tossinogenesi:
Un altro gruppo di attività che possono essere svolte dagli agenti patogeni è quella di produrre
tossine. Le tossine sono delle strutture che svolgono un azione tossica, ossia interagendo con una
struttura cellulare dell'ospite ne modificano le caratteristiche uccidendo o danneggiando la cellula.
In questo caso l'effetto finale è quello di modificare i fattori biochimici in modo permanente così
da causare in modo permanente una condizione di tossicità normalmente con esito di morte
cellulare, tutto ciò riguarda in particolare le esotossine. Noi abbiamo due tipi di tossine: le
esotossine che sono proteine prodotte e secrete da parte sia di Gram+ che di Gram- , e le
endotossine che si chiamano così perchè la loro localizzazione subcellulare è strettamente legata
alle membrane plasmatiche in particolare alla membrana esterna dei Gram-. Le endotossine
fanno corpo con il batterio distribuendosi sulla superficie del batterio, sebbene la loro attività sia
legata al fatto che si staccano dalla membrana plasmatica oppure il fatto stesso che il batterio
muoia, causa una liberazione delle endotossine che legheranno i loro recettori sulle cellule
dell'ospite causando l'effetto tossico. Le esotossine propriamente dette sono proteine (generalmente
enzimi), le endotossine sono l'LPS ( lipopolisaccaride). Le differenze tra queste due tossine
nascono dalla loro natura chimica, l'LPS è un lipopolisaccaride termostabile (la temperatura non
inattiva l'LPS) le endotossine sono immunogeni (cioè vengono riconosciute dal sistema
immunitario e determinano una risposta immunitaria e una risposta di anticorpi) e gli anticorpi
prodotti contro le LPS non lo neutralizzano (diventiamo sieropositivi nei confronti di questo
antigene), hanno un profilo di azione poco differenziato, ciò che fa l'LPS di un E.coli è molto
simile a ciò che fà l'LPS di qualsiasi altro Gram- (tutti i Gram- hanno LPS), ma sono meno potenti
delle tossine proteiche (cioè a parità di dosaggio l'effetto tossico è molto più basso rispetto alle
esotossine) e sono inattivi per digestione (i nostri commensali intestinali Gram- sono ricchi di LPS
ma non ci fà nulla poichè il loro recettore non è nella superficie del tratto gastrointestinale). Invece
le esotossine sono termolabili (perchè le proteine tendono sempre ad essere denaturate dal calore)
quindi arrivate a temperature elevate perdono la loro attività tossica, anche queste sono
immunogeni (proteine che possono essere riconosciute dal sistema immunitario, nei loro confronti
il sistema immunitario produce una risposta sia cellulare che è soprattutto umorale ossia legata a
molecole secrete e circolanti che si chiamano anticorpi) e gli anticorpi neutralizzano le tossine. Le
esotossine hanno profili di azione molto differenziati, e questo è legato al fatto che sono quasi
sempre enzimi, ciascuna tossina batterica fà tossine specifiche con attività specifiche, si hanno
sempre effetti diversi perchè sono legati a modificazioni su strutture cellulari indotte da enzimi
diversi e sono estremamente potenti perchè una proteina modifica più substrati, quindi bastano
quantità molto basse di enzima per dare luogo ad un effetto tossico. Le esotossine vengono anche
chiamate veleni per certi versi (il veleno è una molecola in grado di dar luogo ad un effetto tossico
in concentrazioni molto basse), sono attive anche per digestione quindi sono resistenti all'idrolisi
acida presente dello stomaco e giungono nel nostro intestino. Un classico esempio di intossicazione
alimentare è dovuta al fatto che i batteri hanno colonizzato il cibo e successivamente hanno liberato
esotossine e queste tossine noi le ingeriamo con una quantità di cibo elevate e quindi non c'è
nessuna possibilità di degradarle tutte, così facendo raggiungono l'epitelio intestinale e danno luogo
ad un intossicazione (a volte si parla di tossinfezione alimentare, ossia il quadro clinico è legato sia
ad infezione ma anche in base alla presenza di tossine preformate e presenti nel cibo e questo è un
quadro molto grave perchè si ha una rapida intossicazione e in più viene mantenuta pure la
patologia perchè c'è una colonizzazione legata all'infezione propriamente detta).
Endotossine: Le endotossine quindi sono componenti strutturali della parete batterica (LPS), pur
essendo componenti strutturali possono essere rilasciate dalla membrana esterna dei Gram-
anche e soprattutto a causa dell'autolisi o della lisi esterna o della digestione durante un fenomeno
infiammatorio da parte dei macrofagi. In piccola parte sappiamo che i Gram- fanno dei
microbudding cioè delle piccole bollicine a partire dalla membrana esterna liberando delle micelle
che sono completamente decorate da LPS e che hanno una certa capacità di essere veicolate nei
tessuti raggiungendo dei macrofagi (principali cellule che hanno il recettore per LPS) e una volta
legato ad essi li riconosce come non-self e fa partire l'infiammazione; il problema si verifica quando
l'infiammazione diventa eccessiva poichè si verifica la malattia vera e propria.
I lipopolisaccaridi hanno anche altri funzioni, infatti sono importanti per l'adesione, possono essere
importanti anche per ridurre il passaggio di molecole tossiche dall'esterno all'interno del batterio, in
realtà questo è possibile perchè sono costituiti da due componenti: una componente lipidica e una
componente polisaccaridica. La componente lipidica è la tossina propriamente detta, questa si
lega al recettore presente sul macrofago e scatena l'infiammazione e non cambia da batterio a
batterio; mentre la componente polisaccaridica sta all'esterno ed è immunogeno, quindi gli
anticorpi attaccano la componente polisaccaridica non la tossina, questa componente non è utile alla
tossicità e cambia in tutti gli LPS. La componente lipidica sta immersa nel bilayer fosfolipidico
della membrava esterna dei Gram- da cui si ramifica la componente polisaccaridica; tutti gli LPS in
tutti i Gram- hanno la componente lipidica molto conservata ed è questa componente che causa la
tossicità, poi nell'ambito del genere hanno conservata la componente intermedia tra la componente
di acido grasso e la componente polisaccaridica, mentre c'è molta variabilità anche all'interno di una
stessa specie della porzione polisaccaridica, il così detto antigene O (o antigene somatico). Nei
Gram- infatti i due antigeni più importanti nella superficie sono l'antigene O e l'antigene H (il
flagello), l'antigene O è un polisaccaride immunogenico che determina la produzione di anticorpi
antiO che legano la parte polisaccaridica ma non neutralizzano il lipide A che è la tossina
propriamente detta. Le endotossine quindi sono poco potenti e per avere un quadro tossico è
necessario la presenza nel sito specifico infiammatorio di più di 100 microgrammi di endotossina,
non hanno un attività enzimatica, sono poco specifiche perchè la componente lipidica è uguale per
tutti i batteri, sono pirogeniche (causano aumento di temperatura corporea perchè sono
proinfiammatorie). La temperatura viene sempre regolata nel nostro organismo da sistemi che
possono essere disregolati durante l'infiammazione, l'endotossina quando si lega alle cellule del
sistema immunitario innato (ai macrofagi in particolare) fa si che questi producono un certo numero
di citochine. Tra questi fattori liberati dai macrofagi alcuni sono pirogeni cioè sono fattori solubili
che alterano i controlli ipofisari della temperatura corporea alzandola fino a quando non viene
dissipato il problema. Il lipopolisaccaride in modo non specifico lega il macrofago, fa partire
l'infiammazione e di conseguenza aumenta la temperatura corporea non soltanto locale
(vaspdilatazione, edema, stasi ematica) ma in tutto il corpo; sono termostabili e sono antigeniche
perchè la componente polisaccaridica dell'LPS fa si che si producano degli anticorpi, ma le
endotossine non sono convertibili in tossoidi (sono esotossine denaturate al calore o con agenti
chimici che perdono l'attività enzimatica non essendo più in grado di dare tossicità ma mantengono
ugualmente la struttura proteica, quindi quando un macrofago li presenta ai linfociti questi
produrranno un anticorpo verso la struttura proteica sebbene inattiva). Gli LPS hanno in genere un
basso peso molecolare, e hanno una struttura che le nostre cellule riconoscono e fanno quel tanto di
risposta immunitaria innata che serve per eliminare i batteri. Negli animali germ free le pareti
intestinali sono molto sottili perchè non ci sono cellule immunitarie perchè non sono in continuo
stimolate dal passaggio di LPS, flagelli ecc. Ma se la quantità di LPS diventa troppo elevata si crea
un infiammazione che può diventare un problema, in particolare se LPS viene rilasciata a livello
del letto cardio-vascolare perchè tutte le cellule dendritiche e i macrofagi circolanti nel sangue
legano LPS, producono citochine in maniera massiva e si ha un aumento febbrile elevato e
un'infiammazione generalizzata con vasodilatazione generalizzata, edema, ingrossamento del letto
vascolare, ipotensione fino a shock ipovolemico e morte più o meno rapida a seconda della quantità
di LPS. Ricapitolando la componente lipidica è la tossina vera e propria che si lega ai macrofagi e
stimola le citochine che hanno effetto proinfiammatorio mentre la componente polisaccaridica non è
tossica ma è un importante fattore di virulenza dei Gram-, in quanto:
partecipa all’adesione batterica
contribuisce ad eludere la fagocitosi
la sua idrosolubilità consente all’intera molecola di LPS (incluso il Lipide A) di
solubilizzarsi nei liquidi biologici costituendo dei sistemi di tipo micellare
sono estremamente variabili e questo ci permette di identificare anche all'interno della stessa
specie diversi sierotipi in base alla diversa antigenicità dell'antigene O.
Esotossine: Le esotossine sono presenti nei Gram+ e nei Gram- (a differenza delle endotossine
presenti solo nei Gram-), quando si parla di esotossine ci si riferisce a delle proteine o più nello
specifico ad enzimi quindi sono termolabili, sono in grado di stimolare la risposta di anticorpi nei
loro confronti che sono in grado di neutralizzarne l'attività, inoltre hanno profili d'azione molto
differenziati essendo proteine. I patogeni che producono esotossine devono quasi sempre alla
tossina l'azione patogena; quindi le tossine non sono generalmente prodotte da batteri invasivi ma
da batteri che si limitano a colonizzare un tessuto, a produrre la tossina e questa di fatto è l'elemento
determinante la virulenza principale del patogeno. Queste tossine sono estremamente potenti, infatti
è sufficiente un microgrammo di tossina per determinare a volte un quadro clinico estremamente
grave, ciò è legato al fatto che sono enzimi e quindi possono modificare un numero molto elevato di
substrati per unità di molecola. Un altro aspetto importante è il fatto che sono convertibili in
tossoidi chiamati anche anatossine cioè una tossina denaturata con modalità chimiche che mantiene
capacità antigeniche, quindi viene riconosciuta dal sistema immunitario, determina la produzione di
anticorpi nei confronti della struttura proteica, ma non è più tossica, sono tossoidi tutti i vaccini.
Una cosa importante da ricordare delle tossine è il fatto che i geni che codificano per le tossine
sono geni spesso associati ad elementi mobili del genoma batterico, e in particolare ai fagi. Molti
batteri che producono tossine esistono sia nella variante tossigenica (quando ha il gene che
codifica per la tossina) sia nella variante non tossigenica (batterio che non è patogeno), ossia la
stessa specie batterica può avere o non avere il gene che codifica per la tossina. La tossina può
essere acquisita attraverso l'acquisizione di un fago e quindi per conversione lisogenica, oppure la
tossina può essere codificata da geni veicolati da plasmidi, in linea di massima questi geni devono
essere considerati come geni aggiuntivi rispetto al genoma del microrganismo, acquisiti in modo
permanente o temporaneo attraverso fenomeni di trasferimento laterale dell'informazione
genetica. Quindi le esotossine determinano spesso la patogenicità stessa di un batterio patogeno, e
sono specifiche della specie batterica che li produce, ad esempio la tossina tetanica è prodotta
unicamente dal Clostridium tetani. Quindi il gene che codifica per la tossina fa parte del genoma di
un unica specie, ma allo stesso tempo quella specie può avere o non avere quel gene; vengono
anche chiamati veleni perché per veleno si intende una qualsiasi molecola che è estremamente
potente anche a dosi bassissime. La specificità delle esotossine dipende dal fatto che sono proteine e
soprattutto enzimi, questi possono trovarsi in condizioni strutturali e funzionali estremamente
diversi l'uno dall'altro per cui hanno un carattere specifico in termini di attività e hanno dei target
molecolari diversi. Essendo enzimi possono avere anche la stessa attività enzimatica, o molto simile
come attività enzimatica da tossina a tossina ma è diverso il target, per cui essendo diverso il target
anche l'attività è molto diversa da tossina a tossina cioè hanno una grande specificità d'azione.
Questo non vale però per tutte le tossine che hanno attività fosfolipasica (citolisine) cioè che
determinano l'idrolisi di componenti della membrana plasmatica della cellula eucariota che
viene intossicata quindi hanno un target ubiquitario, in questo caso l'attività può essere svolta in
diversi tipi cellulari per cui l'effetto citopatico e citotossico non sarà specifico. Comunemente
questo ultimo tipo di tossine viene chiamato emolisine perchè per vedere se l'attività è presente di
una tossina di questo genere (come fosfolipasi) si usano i globuli rossi e la lisi dei globuli rossi
(determinata dall'attività fosfolipasica) permette di definirle come emolisine (sono svliuppate per
degradare le membrane delle cellule che vengono intossicate). Quindi un modo per classificare le
esotossine è quello di relazionarle al target che sarà una molecola presente in una specifica cellula
del nostro organismo, oppure presente in molte cellule del nostro organismo (come ad esempio il
caso dei fosfolipidi), o ancora in un tipo cellulare in un determinato distretto corporeo ad esempio le
enterotossine. Un altra cosa da ricordare delle tossine, oltre al fatto che si possono distinguere tra
loro in base al target che verrà modificato dalla loro attività enzimatica, è che si distinguono anche
per alcune caratteristiche di carattere generale e strutturale, cioè esistono delle tossine che
funzionano in quanto complessi multimerici di proteine, altre invece che sono tossine costituite
da una singola proteina. Che siano complessi di più proteine o che siano singole proteine l'attività
tossica è determinata da un singolo gene o da più geni (un intero operone) che codificano per
proteine che poi si strutturano in complessi multimerici, in ogni caso è evidente che se queste
proteine vengono prodotte da un Gram+ o un Gram- e secrete (poichè sono esotossine)
raggiungendo un bersaglio, raggiungendo la cellula in cui si trova questo bersaglio e se il bersaglio
è intracellulare la tossina dovrà in qualche modo legarsi sulla superficie della cellula e poi passare
all'interno della cellula e raggiungere il bersaglio propriamente detto per modificarlo con la sua
attività enzimatica. Normalmente queste tossine vengono definite tossine binarie perchè hanno
due componenti: una componente chiamata B ( da binding) che è la componente che deve legare
un recettore che non è necessariamente il target della modificazione enzimatica, e un altra
componente distinta con un domain catalitico che si chiama A (da active) utilizzato quando il
target è intracellulare e deve essere portato all'interno della cellula e modificare più molecole
del suo target con attività di tipo enzimatico (intossicazione). Quindi sono esotossine binarie sia che
siano una singola proteina (un singolo polipeptide), sia che siano un aggregato di più polipeptidi.
Azione patogena del C. diphtheriae:
Ad esempio la tossina difterica è una tossina prodotta da Corynebacterium diphtheriae, il gene è un
singolo gene che codifica per questa tossina ed è un gene associato ad un fago, il fago b, questo
fago infetta il C.diphteriae e per conversione lisogenica lo trasforma, cioè il batterio acquisisce la
possibilità di trascrivere il gene che codifica per la tossina e produrre un polipeptide. Il
polipeptide prodotto è unico, ma poichè deve contenere in quanto tossina binaria sia un sito di
legame al recettore delle cellule che devono essere intossicate, sia un elemento catalitico che
deve modificare il substrato (attività enzimatica) entrambi i domains devono essere presenti nel
polipeptide. Per poter esplicitare il meccanismo di azione il polipeptide ha un legame
intramolecolare, un ponte disolfuro, dopo esser maturato il polipeptide unico viene tagliato da una
proteasi ma i due frammenti A e B restano legati dal ponte disolfuro. Questo permette di legare la
superficie della cellula eucariota con il domain B e successivamente passare all'interno della cellula,
all'interno della cellula normalmente il ponte di solfuro viene ridotto, per cui i due peptidi si
separano, e sarà la subunità A attiva, che ha un attività enzimatica a modificare il fattore di
allungamento EF: uno dei tanti fattori che sono connessi con la sintesi delle proteine con
l'allungamento della catena polipeptidica a livello ribosomale. Questo fattore di allungamento EF è
fondamentale perchè se non funziona non si può avere sintesi proteica e il modo in cui viene
modificato è aggiungendovi un residuo di ADP-ribosio (spesso è una molecola che viene legata
attraverso le tossine a specifici target, inibisce l'attività del fattore di allungamento) cioè viene
fosforilata, questa tossina può portare a morte bloccando la sintesi proteica in modo permanente
nelle nostre cellule perchè ha un target non specifico.
Azione patogena di C. tetani e C. botulinum:
Un altro caso simile è dato da delle neurotossine che sono la tossina tetanica e la tossina
botulinica, queste sono simili da tanti punti di vista perchè hanno un'attività enzimatica in grado
di modificare un target in modo irreversibile in una struttura comune che è quella della
trasmissione nervosa del segnale. Quindi la funzione che queste tossine vanno ad alterare è appunto
la funzione di neuroesocitosi, cioè di liberazione di un neurotrasmettitore nel bottone sinaptico che
riconoscerà un recettore specifico e questo recettore una volta attivo trasmetterà il segnale a livello
di un'altro neurone o della giunzione neuromuscolare. Queste due neurotossine hanno in comune
anche il fatto che sono polipeptidi unici, quindi probabilemente evolutivamente sono molto vicini
perchè hanno in comune sia la componente attiva A e la componente di legame al recettore B pur
essendo diversi. La differenza più importante è che pur avendo un attività endopeptidasi simile,
intervengono su target diversi, cioè in un caso nella tossina tetanica la neurocitosi è alterata in
modo tale da mantenere stabilmente contratti i muscoli scheletrici perchè di fatto blocca il rilascio
della contrazione muscolare; mentre nel caso della tossina botulinica avviene esattamente il
contrario cioè mantiene i muscoli rilasciati dando una paralisi flaccida. Una volta che il Clostridium
tetani colonizza i tessuti nella ferita, produce subito la tossina iniziando a intossicare le cellule
estremamente vicine al punto di inoculo e poi mano a mano progredisce, i primi gruppi muscolari
che vanno in blocco tetanico dipendono dal punto di ingresso della tossina; il motivo che causa
morte è il fatto che anche la muscolatura della cassa toracica resta contratta in modo spastico e
la contrazione spastica impedisce la respirazione, quindi si muore per soffocamento. Analogamente
la tossina botulinica è legata ad un intossicazione di tipo alimentare causata da un Clostridium che
può sopravvivere in condizioni di anaerobiosi nelle conserve alimentari (in alcuni prodotti
sott'olio) in barattoli non perfettamente sterilizzati, una volta aperto il barattolo si permette al
microrganismo di crescere attivamente e di produrre tossine. Può trasferirsi nella giunzione neuro
muscolare a livello sistemico per ingestione di tale tossina e dar luogo a un rilascio della
muscolatura, bloccando l'attività neuromotoria per la contrazione muscolare quindi si ha una
paralisi flaccida, e anche in questo caso la morte sopraggiunge per assenza di attività respiratoria.
Azione patogena del V. cholerae:
Un'altra tossina binaria è la tossina colerica, in realtà questa tossina è una tossina binaria ma non è
costituita da un unico polipeptide bensì da due polipeptidi, in questo caso si hanno due geni: CTX
A e CTX B, questi trascrivono con una velocità differente i propri polipeptidi, per cui
normalmente vengono prodotti e trascritte proteine in un rapporto 5:1 a favore del gene B. Questo
avviene perchè una volta prodotti questi monomeri la tossina è data dall'insieme di 5 proteine B, e
di una proteina A che viene racchiusa dai monomeri B come se fosse un piccolo guscio. Il
polipeptide A a sua volta viene poi tagliato da una endopeptidasi una volta passato all'interno della
cellula che viene intossicata e soltanto uno dei due frammenti (A1) ha l'attività enzimatica
propriamente detta. La tossina colerica viene prodotta dai Vibrio cholerae diventati tossigenici
perché infettati dal fago CTX, quindi anche in questo caso la tossina viene acquisita dai batteri per
conversione lisogenica. Il vibrione del colera è un microrganismo distribuito in tutto il pianeta e ha
dato luogo a epidemie fin dall'antichità ma è rimasto circoscritto fino ad alcuni secoli fa nell'area
del sud-est asiatico, mentre negli ultimi due secoli è diventato pandemico cioè ha raggiunto tutte le
aree del nostro pianeta. Nel sud America è diventato endemico (endemico significa che una
patologia infettiva, quindi il microrganismo in grado di determinare questa patologia infettiva, è
sistematicamente presente in quel territorio anno dopo anno). Il vibrione del colera è un
microrganismo che vive nelle acque salmastri, che ha sviluppato per conversione lisogenica la
possibilità di aderire al piccolo intestino e qui produce la tossina. I momenti di patogenicità
microbica nel caso preso in esempio sono: una colonizzazione, nessuna invasione e intossicazione
da tossine. Quindi il vibrione del colera aderisce sulla superficie di un enterocita, le cellule
batteriche prendono rapporto con le loro adesine sulla spazzola di un enterocita, normalmente negli
enterociti si ha una funzione assorbente che è estremamente importante, questi sviluppano una
superficie molto estesa e sono ricoperti da una membrana plasmatica che non si limita a costruire
delle strutture di orletto a spazzola ma essendo una membrana al suo interno ci sono tantissime
proteine con specifiche funzioni, come ad esempio quella di legare sodio e potassio e portarli
all'interno della cellula epiteliale. Quindi gli enterociti assorbono in continuazione elettroliti, in
particolare il sodio e potassio, e li portano attraverso la cellula epiteliale nella lamina propria
dove vengono assorbiti anche nel letto vascolare; tutto questo permette di gestire e mantenere la
volemia (il volume ematico a livello periferico e a livello sistemico). Quando i batteri colonizzano
l'intestino e producono la tossina colerica, la produzione di questa tossina ha come effetto finale
quello di intossicare le cellule che vivono al massimo per 72 ore ma che in questo lasso di tempo
diventano delle pompe di sodio e potassio che si trascinano dietro per osmosi l'acqua (l'acqua
passa per via transcellulare e paracellulare) abbassando rapidamente il volume ematico e creando
quindi una condizione di shock ipovolemico. Portare via sodio e potassio significa anche creare
anche uno squilibrio elettrolitico, e i tessuti che soffrono più rapidamente di questi squilibri sono il
sistema nervoso centrale e il cuore, queste alterazioni causano crisi cardiaca e arresto cardiaco. Il
batterio che si è legato alla superficie dell'intestino lo ha fatto grazie a delle adesine di superficie e
in particolare grazie al fago TCP che è il primo fago che determina la conversione lisogenica del
vibrione del colera, cioè un fago che ha la struttura di un pilo (di una fimbria) che lega sulla
superficie l'enterocita. Questa colonizzazione è piuttosto debole perchè non ha nessuna intenzione
di creare una comunità nell'intestino, è un batterio che a malapena riesce a farsi strada tra gli altri
microrganismi presenti, si lega alla superficie dell'enterocita ma l'unica cosa che vuole fare è
produrre la tossina e andare via dall'intestino. La tossina è multimerica costituita da 5 subunità di
legame binding e al centro è presente la proteina A che svolgerà l'attività enzimatica, attraverso le
proteine B si va a legare con uno specifico recettore che è presente sulle superfici degli enterociti
(ganglioside GM1). Una volta che la proteina si lega al ganglioside, quindi attraverso le proteine B,
passa per endocitosi all'interno della cellula e nelle condizioni del citoplasma si ha una perdita di
legame (ponte disolfuro) tra le sub-unità B e la sub-unità A. La sub-unità A è una proteina che è
costituita da due peptidi una volta che viene digerita da una endopeptidasi e questi due peptidi sono
legati da un altro ponte disolfuro. Il ponte disolfuro a livello cellulare viene ridotto e quindi si
avranno due subunità delle quali una soltanto è quella che contiene l'attività enzimatica cioè la
subunità A1, questa subunità va a ADP-ribosilare una proteina che normalmente inibisce
l'adenilato ciclasi (AMP-ciclasi). Quindi la subunità A1 della proteina con l'attività enzimatica va
ad ADP-ribosilare una proteina G, le proteine G sono proteine regolatrici che inibiscono o
attivano altre proteine ad attività enzimatica, in questo caso si parla dell'adenilato ciclasi.
L'adenilato ciclasi è quella proteina che permette la produzione del CAMP che è un mediatore
intracellulare, cioè è una molecola che serve per controllare la funzione di tantissime altre
proteine. Si chiama mediatore intracellulare perchè è all'interno della cellula, e i suoi livelli (di
CAMP o CGMT) presenti all'interno della cellula determinano i livelli di fosforilazione di tante
proteine sulla membrana, e questi a loro volta determinano la possibilità di funzionare più o meno
attivamente di certi enzimi. Il controllo della funzione biochimica all'interno della cellula è spesso
affidato ad alcuni mediatori intracellulari come i CAMP quindi l'enzima che produce il CAMP è un
enzima che deve essere controllato molto bene da feedback che arrivano da tutte le proteine che
risentono dei livelli di CAMP. Quindi intossicare una cellula significa che la proteine è entrata al
suo interno, raggiunge man mano tutte le proteine G inibitrici che trova e le modifica, bastano 2-3
molecole di enzima per modificare tutte le proteine G inibitrici all'interno di una cellula, l'adenilato
ciclasi non è più inibita dalle proteine G e la produzione di CAMP è estremamente elevata perchè
non è più controllata dal feedback. Questo aumento di CAMP altera i profili di fosforilazione delle
pompe per il cloro e per il sodio che sono presenti sulla superficie apicale dell'enterocita, in
fosforilazione riducono l’efficacia
particolare questi livelli di della pompa del sodio (ad assorbire
sodio) e aumentano l'attività di secrezione di cloro nel lume intestinale. Si crea con questa tossina
come prima attività uno squilibrio con un blocco dell'assorbimento del sodio e un passaggio di
cloro, quindi l'effetto netto è che ci troviamo cloro e sodio nel lume intestinale, se abbiamo cloruro
di sodio nel lume intestinale, questo verrà seguito dall'acqua che è presente nella cellula e da
quella presente sotto essa (dal letto vascolare), per osmosi l'acqua segue sempre gradienti salini e di
conseguenza si porterà dal letto ematico sul lume intestinale causando così la diarrea acquosa
dell'intossicazione dal vibrione del colera. Perciò è sufficiente che pochi microrganismi
raggiungano l'intestino, producano tossine, e tutta una buona parte delle cellule intestinali verranno
intossicate. La differenza rispetto a una tossina difterica sta nel fatto che in questo caso le cellule
che vengono intossicate non sono tutte le cellule dell'organismo, ma unicamente gli enterociti, e gli
enterociti vivono massimo 72 ore e poi vengono sostituiti. Quindi questo fenomeno durerà per 2-3
giorni, dopo di che le cellule non saranno più intossicate ne ci saranno più batteri produttori di
tossina che si staccheranno con le cellule ormai morte. Se nel frattempo non si reintegrano con
soluzioni saline queste enormi quantità di acqua e di sali perse con la diarrea acquosa si va incontro
a morte. Quindi da un punto di vista clinico questa tossina comporta una diarrea di tipo acquoso:
quando si parla di diarrea legata a una tossina come quella del vibrione del colera, vuol dire che non
c'è infiammazione, c'è stata una blanda colonizzazione e poi tossinogenesi, la diarrea è unicamente
di tipo secretorio, si avrà una forte disidratazione, anuria (non si fanno più urine), si ha una forte
acidosi e quindi shock, la perdita di potassio può causare complicazioni cardiache e collasso
cardiocircolatorio e la mortalità è molto alta se non si interviene.
IMMUNOLOGIA
Non c'è struttura nell'organismo umano e animale che non sia coinvolta nella risposta immunitaria
che non è altro che il tentativo dell'organismo di rendersi immune, di proteggersi, da strutture che
non sono self, non per forza agenti biologici. Tra gli agenti biologici non ci sono soltanto gli agenti
infettivi non self, patogeni o non patogeni, ma anche le nostre cellule che nel nostro organismo
talvolta tendono a degenerare trasformandosi in cellule neoplastiche, infatti quando si sviluppa una
neoplasia è sicuramente già successo in passato che delle cellule si trasformassero però il nostro
sistema immunitario le ha riconosciute e prontamente eliminate; in questo caso le cellule sono self
quindi le strutture non self che vengono riconosciute sono diverse, sono degli antigeni specifici. Il
sistema immunitario comprende delle difese di superficie o anatomiche, come le barriere fisiche,
chimiche e microbiologiche, e un sistema di cellule e di fattori solubili, tra i quali gli anticorpi,
che sono specificamente deputati a riconoscere i non self e montare una risposta una volta che
questi non self sono passati all'interno dei nostri tessuti superando le barriere anatomiche. I
microrganismi commensali competono con i microrganismi non self ma se questi ultimi riescono ad
avere la meglio, si insinueranno nei tessuti in cui troveranno naturalmente cellule epiteliali e
infiammatorie, tutte queste cellule hanno dei recettori in grado di riconoscere gli antigeni di questi
non self e montare contro di essi una risposta immunitaria di tipo innato o di tipo adattativo.
Le barriere di tipo fisico comprendono le cellule epiteliali (molto strette grazie alle thigt junction) e
il muco presente nelle vie aeree superiori, esempi di barriere di tipo chimico sono i liquidi biliari, il
succo gastrico, il lisozima (nella saliva e nelle lacrime), gli acidi grassi a seconda della superficie, e
anche specifici peptidi antimicrobici (piccole sequenze di amminoacidi attive contro i
microrganismi) inoltre ci sono tutti i microrganismi commensali che rappresentano le barriere
microbiologiche perchè competono con i non self e producono inoltre sostanze antibatteriche. Tutte
queste barriere sono di tipo anatomico e fanno parte del sistema immunitario in senso molto largo
perchè non riconoscono alcun tipo di microrganismo non self ma costituiscono unicamente una
barriera aspecifica verso l'esterno. Le vie d'ingresso dei microrganismi possono essere le superfici
mucose quindi il tratto respiratorio attraverso le goccioline di Flugge (starnuti), quello
gastrointestinale attraverso l'ingestione di acqua e cibi contaminati, e l'apparato risproduttivo
attraverso il contatto fisico; poi ci sono gli epiteli esterni sempre per contatto fisico ma anche per
contratto diretto attraverso ferite e abrasioni e tutte quelle condizioni di continuità con l'interno.
Superate queste barriere anatomiche entra in gioco il sistema immunitario propriamente detto,
che non solo ha a che fare con cellule ma anche con organi e tessuti, ad esempio i vasi linfatici che
costituiscono il sistema di drenaggio della linfa dalla periferia ai linfonodi, contengono una grande
quantità di cellule linfoidi o linfociti, molto importanti nella risposta immunitaria, si tratta di un
sistema di trasporto delle cellule del sistema immunitario che provvedono a uccidere i
microrganismi ma anche a recuperarne le strutture per rielaborarle e portarle sulla propria superficie
in modo da presentarle ai linfociti, passando così da una risposta immunitaria innata a una di tipo
specifico o cosiddetta adattativa perchè quando i linfociti riconoscono l'antigene provvedono poi
a produrre gli anticorpi specifici per quel microrganismo. Ma il sistema immunitario non coinvolge
solo il sistema linfatico, ad esempio all'interno delle grandi ossa è presente il midollo osseo dove
sono presenti tutte le cellule progenitrici che servono per la produzione dei globuli rossi ma anche
della linea mieloide (come macrofagi e monociti); nelle pareti dell'intestino invece abbiamo
tantissimo tessuto linfoide costituito per l'appunto da cellule infiammatorie come linfociti e
macrofagi a volte associati in vere e proprie strutture che ricordano i linfonodi e sono chiamate
placche del Peyer e non sono altro che degli agglomerati di linfociti presenti immediatamente sotto
l'epitelio. Nel fegato oltre agli epatociti troviamo le cellule di Kupffer che sono di fatto dei
macrofagi, e fanno parte del sistema istiocitario che comprende tutti i fagociti professionali
dell'organismo; il sistema immunitario poi è integrato col sistema endocrino che produce gli
ormoni, questo comprende il pancreas, le surrenali, l'ipotalamo, le tonsille, le adenoidi ma ancor più
importante il timo, in particolare in quest'ultimo vengono prodotti i precursori dei linfociti T (T sta
per timo, mentre i linfociti B sono prodotti dal midollo osseo, in inglese bone marrow) inoltre è un
organo estremamente importante per lo sviluppo delle difese immunitarie nell'ultimo periodo della
vita intrauterina e immediatamente dopo la nascita, in quanto i linfociti imparano a riconoscere i
self dai non self, ovvero tutto ciò che riconoscono in quel periodo è self e si costruiscono il database
di tutto ciò che è self.
Le cellule infiammatorie derivano tutte dalla stessa cellula staminale pluripotente che si differenzia
essenzialmente in due linee: quella mieloide e quella linfoide, la linfoide passa in parte per il timo
sviluppando i linfociti T, non passando per il timo invece produce i linfociti B che diventeranno poi
plasmacellule (produttrici di anticorpi) e i natural killer; la linea mieloide invece porta allo sviluppo
di altre cellule che sono: mastociti, eosinofili, basofili, megacariociti, globuli rossi, cellule
dendritiche, macrofagi e polimorfonucleati (o granulociti neutrofili, presenti sia nei tessuti profondi
che nel letto vascolare). Tutte queste cellule stanno sia nei tessuti che nel letto vascolare, perchè se
richiamati dalle citochine sono pronti ad abbandonare i capillari e entrare nei tessuti dopo di che
possono tornare ai linfonodi attraverso i vasi linfatici, è una sorta di ricircolo continuo; in realtà i
monociti circolano a livello vascolare, quando vengono richiamati in sede di infiammazione si
trasferiscono nel tessuto interessato differenziandosi in macrofagi. Il fatto che tutte queste cellule
derivino dalla stessa cellula progenitrice è molto importante perchè in questo modo mantengono
sulla loro superficie una serie di recettori che gli permette di riconoscersi tra loro, in particolare
hanno una particolare distribuzione degli antigeni di superficie HLA (human leukocyte antigens)
definiti di classe prima e di classe seconda. Questi antigeni determinano la istocompatibilità cioè
la compatibilità tra tessuti che vengono riconosciuti come self, infatti sono conosciuti anche come
markers del self, per scambiarsi informazioni quindi queste cellule non solo devono presentare gli
antigeni dei microrganismi patogeni, ma devono presentare anche i propri antigeni per riconoscersi
come appartenenti allo stesso organismo (a questo fatto è legato il fenomeno del rigetto nel caso dei
trapianti d'organo). Gli antigeni HLA di tipo I sono presenti su tutte le cellule del nostro organismo
(flora commensale esclusa!), che vengono così riconosciute come self, e in un numero inferiore di
cellule sono presenti gli antigeni di classe II, in particolare questi ultimi sono presenti su tutte le
cellule del sistema immunitario.
L'immunità innata è la risposta immunitaria che prescinde dalle strutture specifiche di un
microrganismo, quindi è la prima risposta che viene montata, il termine "innata" si riferisce al fatto
che non è necessario che quel microrganismo sia già venuto a contatto con l'organismo perchè
questo possa rispondere. I natural killer rispondono sempre nella risposta immunitaria innata
perchè nella cellula del nostro organismo che loro andranno ad uccidere, riconosceranno ad esempio
gli antigeni HLA I ridotti o completamente assenti, questo accade quando una cellula viene infettata
da un virus, la cellula cerca in questo modo di difendersi e non soccombere all'attività virale, quindi
diventa un non-self. La cellula verrà riconosciuta dal natural killer che provvederà a eliminarla,
eliminando la cellula elimino il virus al suo interno, i natural killer espletano la loro attività
fondendosi a livello di superficie di membrana e secernendo all'interno della cellula una serie di
granulociti ricchi in idrolasi acide e altre sostanze tossiche per la cellula. L'altra classe di cellule
coinvolte nella risposta immunitaria innata sono i fagociti professionali, che sono altamente
differenziati per fare fagocitosi, sono i macrofagi, le cellule dendritiche (CD), i polimorfonucleati e
i mastociti; in particolare macrofagi e CD sono molto importanti nelle fasi iniziali dell'infezione
perchè in un primo momento riconoscono gli antigeni e le strutture tipicamente microbiche (quali
LPS, il peptidoglicano o le fimbrie), lo fagocitano e dopo di che si attivano, stimolano cioè una serie
di pathways biochimici per cui la fagocitosi diventerà ancora più efficiente e veloce. Una volta
all'interno del macrofago il batterio viene inglobato in un fagosoma (vacuolo intracellulare), che si
fonde con un lisosoma formando il così detto fagolisosoma che uccide il microrganismo utilizzando
specie reattive dell'ossigeno e dell'azoto, privandolo dell'apporto nutrizionale e naturalmente
sottoponendolo a enzimi litici prima fra tutti l'idrolasi; questo vero e proprio scoppio della cellula
batterica prende il nome di burst ossidativo o esplosione respiratoria. Dopo di che il macrofago
porta sulla sua superficie alcuni resti del batterio per poi presentarli ai linfociti, si passa così da una
risposta immunitaria innata a una adattativa, in questo modo l'organismo sviluppa una memoria per
quel microrganismo; contemporaneamente abbiamo detto che i macrofagi si sono attivati cioè
producono delle citochine che hanno attività su sè stessi e su altri macrofagi stimolandoli alla
fagocitosi attiva, inoltre le citochine passano nel torrente ematico e reclutano le altre cellule della
risposta immunitaria innata, per diapedesi attraversano la parete endoteliale a livello dei capillari e
si infilano nella sede dell'infezione, iniziano a fagocitare anche loro, inizano a produrre altri tipi di
citochine, si forma un edema e tutti i classici segni dell'infiammazione. Le cellule dendritiche sono
estremamente importanti, sono molto simili ai macrofagi, prendono il nome dal loro aspetto
ramificato atto ad aumentare la superficie esterna della cellula e questo rende più facile il legame e
la fagocitosi di un microrganismo; quando la CD incontra un batterio in un primo momento lo
fagocita, si attiva e attiva altre CD, ma subito smette di fagocitare e torna attraverso la linfa alle
stazioni linfonodali. Sulla sua superficie la CD ha montato pezzi dei microrganismi uccisi, li
presenterà nel linfonodo dove troverà una quantità enorme di linfociti T, almeno uno di questi
presenterà i recettori che riconoscono l'antigene del microrganismo, i così detti anticorpi, quel
linfocita (più di uno se vengono presentati più antigeni batterici) si attiverà e, come linfocita T
helper, stimolerà i linfociti B a produrre anticorpi o altre cellule a produrre risposta immunitaria
specifica nei confronti di tutte quelle cellule che presentano quel determinato antigene, inoltre quel
linfocita inizierà a replicare formando un'espansione clonale di quel linfocita che serve a creare
memoria per quel microrganismo. Dunque i macrofagi e le cellule dendritiche attivano l'immunità
adattativa e creano memoria, l'immunità specifica può essere di tipo umorale o cellulo-mediata,
nel primo caso la risposta è mediata da molecole solubili, gli anticorpi che vengono prodotti dai
linfociti B, la risposta cellulo-mediata invece è mediata dai linfociti T citotossici. Gli antigeni sono
una qualsiasi sostanza estranea al nostro organismo che una volta penetrata al suo interno, è
potenzialmente in grado di indurre una risposta immunitaria basata sulla produzione di anticorpi
(risposta umorale) o stimolando l'espansione clonale di cellule in grado di uccidere altre cellule ad
esempio i linfociti T citotossici (risposta cellulo-mediata con creazione di una memoria), ancora più
spesso si ha una risposta immunitaria che dipende dalla combinazione delle due "strategie" (N.B.
l'espansione clonale riguarda non solo i linfociti B e i linfociti T CD8+ ma, in minor misura, anche i
CD4+). Generalmente gli antigeni sono di natura proteica, meno spesso polisaccaridi o acidi
nucleici; l'antigenicità è la capacità di una struttura di essere riconoscibile e quindi di essere legata
da un recettore, mentre l'immunogenicità è la capacità di stimolare una risposta immunitaria da
parte di un antigene. In realtà non è l'intero antigene a essere legato dal recettore ma se ne lega solo
una porzione il così detto epitopo, nel caso l'antigene sia una proteina, il recettore sulla superficie
della cellula immunitaria legherà in modo specifico soltanto un domain di 9-20 amminoacidi, un
peptide molto piccolo; talvolta l'intero antigene non è abbastanza lungo per formare un epitopo per
cui non è in grado di legarsi ai recettori delle cellule immunitarie e quindi non darà risposta
immunitaria pur essendo non-self, a meno che non venga legato da una grossa proteina carrier,
queste piccole molecole si chiamano apteni. I linfociti tra loro sono diversi per quanto riguarda il
repertorio di antigeni che possono essere riconosciuti, si stima che all'interno di un individuo ci
siano 10^9 determinanti antigenici che possono essere letti dai linfociti, la struttura di base è uguale
in tutti gli anticorpi, quello che cambia è il sito di legame per l'antigene, quindi tutti i linfociti che
abbiamo sono identici in tutto tranne che per il recettore sulla superficie che si è creato
fondamentalmente in maniera random. Sebbene la produzione dei recettori sulla superficie dei
linfociti sia casuale, nessuno di questi recettori si lega a strutture self (tranne nei casi di processi
autoimmunitari), questa discriminazione delle cellule self viene acquisita con un processo definito
tolleranza che consiste in una selezione clonale durante la vita intrauterina e in fase neonatale. In
questa fase le cellule immunitarie funzionano in modo particolare, continuamente vengono prodotti
linfociti con recettori tutti diversi, tra questi ci saranno anche dei linfociti che casualmente avranno
dei recettori in grado di riconoscere strutture presenti nelle cellule self, in tutti quei linfociti che
riconoscono le strutture self viene indotta l'apoptosi, per cui vengono eliminate; in questo modo di
tutto il repertorio di combinazioni recettoriali possibili, vengono eliminati tutti i linfociti che
riconoscono noi stessi, solo in seguito al parto questo non avviene più di modo che restano solo i
linfociti che non hanno riconosciuto niente nel periodo prenatale in quanto non ci sono
microrganismi da riconoscere nell'utero essendo questo un ambiente sterile. Nelle neoplasie succede
che viene disregolato il sistema trascrizionale della cellula neoplastica e questo la fa sembrare una
cellula totipotente, vengono prodotte delle proteine che non verrebbero prodotte normalmente dopo
le 6 settimane di vita (quando ancora nemmeno esistono i linfociti) quindi queste proteine hanno
saltato la selezione clonale e nessun linfocita che porta il recettore nei confronti di quelle proteine è
stato eliminato durante la fase di tolleranza per cui quando queste proteine riemergono in una
cellula neoplastica, i linfociti le riconoscono come non-self e montano una risposta immunitaria.
L'immunità innata si differenzia da quella di tipo adattativo per diversi elementi:
Le cellule coinvolte nell'immunità innata sono: i macrofagi, le CD, i natural killer, i mastociti, i
polimorfonucleati, gli eosinofili, i basofili, le cellule endoteliali, le cellule epiteliali, queste
ultime in particolare non sono dei fagociti professionali ma sono dei fagociti fondamentali nella
risposta immunitaria innata perché sono le prime cellule che intervengono sia che ci troviamo
nell’intestino o in un epitelio respiratorio. Non sono soltanto importanti per la barriera che
dall’esterno all’interno dovuto
determinano alle tight junction, ma queste cellule epiteliali (in
modo simile le cellule endoteliali vascolari) hanno una distribuzione di recettori che è
differenziata nella loro componente apicale rispetto alla componente baso-laterale. Le cellule
epiteliali a livello apicale sono molto sfruttate dai batteri durante l'invasione dei tessuti, in più
queste cellule producono dei fattori solubili (citochine) che possono essere portati ad esempio
nel lume intestinale o possono essere secreti verso la membrana basale facendo da sentinella.
nell’immunità adattativa
Le cellule che intervengono sono: i linfociti T (per la risposta cellulo-
mediata) e/o i linfociti B (per la risposta specifica umorale/anticorpale).
Immunità innata: Nella lamina propria delle cellule epiteliali ci sono dei recettori che si
chiamano TLR o toll-like receptors che riconoscono in un modo non specifico le strutture
batteriche o comunque non-self, producono citochine che vanno in direzione baso-laterale,
queste citochine attivano e/o richiamano macrofagi, cellule dendritiche, polimorfonucleati. Le
cellule epiteliali sentono la presenza di microrganismi in modo innato, quindi non rivolto verso
un antigene specifico ma verso antigeni che sono riconosciuti come non self perchè sono
antigeni nei confronti dei quali il nostro organismo ha sviluppato dei recettori toll-like (i toll
sono presenti solo in Drosophila). I TLR sono dei recettori di ricognizione, chiamati anche
pattern recognition receptors (PRR), perchè sono in grado di riconoscere strutture microbiche,
questi recettori sono presenti in tutte le cellule, in particolare negli enterociti sono situati nella
membrana baso-laterale (dove non sono presenti batteri) ma non in quella apicale (ricca di
commensali), vengono attivati quando i batteri traslocano la barriera epiteliale e la loro
attivazione causa la secrezione di lipochine, citochine, chemochine, in particolare interleuchina
8 che serve da chemoattrattore di cellule infiammatorie.
Immunità adattativa: i recettori che riconosco l'antigene, o TCR (T-cell receptors) sono recettori
specifici per un antigene e sono distribuiti in un clone di linfociti T.
I geni che codificano per i TLR sono presenti nella linea germinale e non devono ricombinare, a
differenza dei geni che codificano per i recettori dei linfociti T si sviluppano nella linea
somatica, cioè a linfocita già prodotto e differenziato nelle successive replicazioni quella
ricombinazione genica produrrà miliardi di tipi di linfociti ciascuno con un recettore diverso.
tra il momento in cui
Nell'immunità innata l’intervallo le cellule del sistema immunitario
riconoscono i microrganismi e la fase effettrice è brevissimo, mentre nell'immunità adattativa ci
vuole qualche settimana perchè venga montata la risposta immunitaria a partire dal momento in
cui il linfocita T specifico riconosce l'antigene.
La risposta immunitaria innata non è un sistema in grado di sviluppare memoria al contrario
dell'immunità adattativa che invece produce un'espansione clonale delle cellule T.
Nella risposta innata la specificità per i singoli patogeni è assente, in quella adattativa invece
viene montata risposta immunitaria contro quel singolo patogeno.
L'immunità innata consiste principalmente nella produzione di citochine e fagocitosi, la risposta
immunitaria adattativa produce immunoglobuline (anticorpi) da parte di linfociti B che
diventano plasmacellule ovvero delle vere e proprie fabbriche di anticorpi, i linfociti T
citotossici uccidono le cellule infettate e quelli helper producono interferone gamma e
interleuchine.
Meccanismo d'azione di un linfocita T helper (solo fagociti professionali con HLA II):
Si immagini una cellula dendritica o un macrofago che fagocita un microrganismo o eventualmente
un vaccino, quindi avremo una proteina esterna che passa per endocitosi nel fagosoma e
quest’ultimo si fonde con il lisosoma e si formerà il fagolisosoma. A livello del reticolo
endoplasmatico ci sono delle proteine che costituiscono nel loro insieme gli antigeni di classe
prima e di classe seconda, prima di andare in superficie gli antigeni di istocompatibilità una volta
sintetizzati sono inseriti nelle membrane del reticolo endoplasmatico dove vengono modificati e poi
successivamente mandati in superficie. Prendiamo come riferimento gli antigeni di classe seconda,
dal reticolo endoplasmatico devono andare in superficie, quindi sono presenti anche nelle
membrane dei fagosomi e dei fagolisosomi. In questi ambienti le proteine e le strutture del
microrganismo sono degradate e peptidi di queste proteine finiscono per inserirsi, sostituendo una
proteina che occupava la stessa tasca quando l'HLA era nel R.E. (proteina di classe II), in una tasca
del multimero dell’antigene di istocompatibilità di classe seconda. Quindi la cellula per
l’ha
endocitosi ha portato dentro un microrganismo ridotto in tantissimi antigeni, alcuni di questi
più immunogeni hanno una certa affinità per questa tasca e vengono veicolati con l'HLA di classe
seconda sulla superficie del fagocita professionale. Quando comunicano tra loro, il fagocita
professionale e il linfocita T helper, queste due cellule non riconoscono semplicemente l'affinità
dell'antigene che gli viene presentato ma si devono riconoscere tra di loro per il fatto che
condividono l'antigene di istocompatibilità di classe seconda quindi la cellula che presenta
l'antigene lo fa in realtà portandolo nel multimero della HLA di classe seconda. Il recettore della
cellula T (TCR) che è specifico per quell'antigene viene scovato dal macrofago o dalla cellula
dendritica su uno dei linfociti e vi si lega, perchè riconosce l'HLA con dentro questo antigene per il
quale ha specificità, c'è inoltre un corecettore, il CD4, che riconosce che l'antigene è stato
l’antigene
presentato da una cellula del nostro organismo. Quindi il TCR non deve riconoscere solo
come non-self ma anche come self la cellula che glielo sta portando, c'è un sistema di
riconoscimento doppio dell'antigene come non-self che è l'antigene contro cui in modo specifico
verrà espanso questo clone di linfociti B e T, ma allo stesso tempo deve essere riconosciuto anche
l'HLA. Questo è uno dei due metodi generali di riconoscimento specifico e di immunità specifica da
parte del sistema immunitario.
Meccanismo d'azione di un linfocita T citotossico (tutte le cellule dell'organismo con HLA I):
Si immagini un virus che segue un'altra strada perchè non viene fagocitato ma si attacca su una
superficie cellulare e poi passa al suo interno e sovverte il sistema di trascrizione di quella cellula.
Se il virus è entrato dentro una cellula, si è riprodotto e quindi ha prodotto le proprie proteine, lo
ha fatto fuori dal fagosoma, dentro il citoplasma della cellula infettata, quindi non può seguire il
percorso visto in precedenza, ma il virus produce una serie di proteine che seguono le dinamiche
cellulari. La cellula eucariota infettata ha prodotto delle proteine su indicazione del virus,
queste vanno come tutte le proteine nel reticolo endoplasmatico e qui si vanno a inserire su un
sistema analogo a quello precedente che però è un antigene di istocompatibilità di classe prima.
Quindi gli antigeni virali vengono rappresentati sulla superficie cellulare con l'HLA di classe
prima. Quando raggiungono i linfonodi le cellule che presentano l'antigene trovano delle cellule T
con un recettore specifico per l'antigene in grado di riconoscere l'HLA di classe prima, ma in questo
recettore non è presente un corecettore CD4 che riconosce l'HLA di classe seconda, ma è un CD8
che riconosce HLA I. Cioè il linfocita che viene attivato è CD8+, ossia non è un T helper ma è un
linfocita T citotossico, in questo caso avremo quindi soltanto una risposta cellulo-mediata e non
umorale/anticorpale. La cellula T citotossica quando trova una cellula infettata da un virus che avrà
in superficie le proteine virali, la uccide, lo può fare in vari modi, ma essenzialmente lo farà
degranulando un pò come fanno i natural killer, anche se questi ultimi lo fanno in maniera
aspecifica.
Ricapitolando i linfociti T helper, o CD4 dipendenti, guidano le altre cellule verso la risposta
immunitaria (linfociti T citotossici e linfociti B), mentre i linfociti T citotossici, o CD8 dipendenti,
uccideranno in modo diretto le cellule infettate; CD8 e CD4 sono dei recettori del linfocita che
riconoscono l’HLA, cioè quel sistema di proteine che presenta l'antigene, vengono anche chiamati
co-recettori (CD4 riconosce il complesso TCR-HLA II, mentre CD8 riconosce il complesso TCR-
HLA I), non sono specifici per l'antigene ma servono per riconoscere la cellula che presenta
l'antigene in quanto cellula dello stesso organismo che ha gli stessi recettori dello stesso sistema di
istocompatibilità in tutte le cellule dell'organismo.
Il sistema del complemento è un complesso di numerose proteine inattive presenti nel torrente
ematico, che con un sistema a cascata vengono attivate dando una risposta immunitaria di tipo
innato cioè partecipano all'infiammazione o flogosi; anche queste proteine riconoscono le cellule
infettate da un microrganismo o quelle che presentano antigeni tumorali come non self e ne causano
la morte creando dei pori di membrana che determinano un ingresso massivo di acqua all'interno
della cellula con conseguente idrolisi. L'attivazione a cascata serve per mantenere il più a lungo
possibile il processo flogistico e può avvenire per via classica o per via alternativa, nel primo caso
si ha la formazione dei complessi specifici antigene-anticorpo (l'anticorpo non è altro che il TCR
ovvero il recettore dei linfociti T) quindi si ha una risposta immunitaria adattativa, mentre nel
secondo caso la cellula non self non presenta alcun antigene di superficie per cui vengono
riconosciute strutture microbiche dai PRR, o pattern recogniction receptors, e si monta una risposta
Il punto chiave è rappresentato, in entrambi i casi, dall’attivazione
immunitaria di tipo innato. della
frazione C3 del complemento che causa vasodilatazone perchè libera istamina, stimola la fagocitosi
agendo su macrofagi e polimorfonucleati, e attiva i leucociti amplificando l'infiammazione.
VIRUS
I virus sono nanostrutture (raramente superano la nano-scala) che non hanno niente a che vedere
con le cellule, infatti li definiamo come delle entità in grado di parassitare cellule, animali,
vegetali, batteriche e così via, utilizzando interamente l'apparato biosintetico e metabolico della
cellula ospite in quanto sono delle strutture auto-assemblante di proteine e glicoproteine
intorno ad un genoma virale. In generale la particella virale non è in grado di essere
biologicamente attiva, questo conferisce d'altra parte una grande stabilità a questa struttura, e la
possibilità di sopravvivere nell'ambiente in attesa di incontrare una cellula permissiva e sensibile al
virus stesso che gli permetterà di replicarsi. Il genoma del virus può essere di tanti tipi diversi, dal
punto di vista evolutivo le ipotesi più accreditate propongono che le prime strutture in grado di
autoreplicarsi erano delle molecole di RNA e quindi i primi virus erano un insieme di RNA e
polipeptidi. Nei virus sono mantenuti come genomi:
genomi a singolo strand di RNA
genomi a doppia elica di RNA
genomi a singola strand di DNA
genomi a doppia elica di DNA
I genomi a singola elica poi possono avere una polarità positiva o negativa, per polarità positiva si
intende che un DNA è immediatamente utilizzabile dal punto di vista trascrizionale, e un RNA a
polarità positiva è immediatamente disponibile per la traduzione. Mentre l'RNA (a singolo
filamento) complementare all'RNA che viene tradotto è un RNA a polarità negativa, stessa cosa
vale per il DNA a singolo strand, il DNA può essere trascritto, cioè una RNA polimerasi lo potrà
leggere e trascrivere l'RNA, a quel punto può essere semplicemente lo stampo da cui ottenere il
DNA che poi verrà letto e in questo caso è a polarità negativa, quindi i virus possono assumere
tutte le diverse tipologie genomiche, noi presteremo particolare attenzione ai virus dei vertebrati.
Il virus dell'HIV presenta una struttura circolare costituita da involucri, possono essere 1 o 2
strutture, che circondano un genoma virale. Il virus è un parassita obbligato ossia non è
assolutamente in grado di riprodursi se non utilizzando una cellula che viene infettata, hanno una
struttura estremamente semplice e presentano una struttura di base che si chiama nucleocapside. Il
nucleocapside è l'acido nucleico (o genoma) più il capside proteico, cioè un involucro di natura
proteica che sta tutto intorno al genoma, avvolgendolo. Una struttura eicosaedrica si forma
normalmente grazie al fatto che possano essere presenti due o tre proteine che si auto-assemblano
riducendo i livelli energetici intorno ad un genoma, questa è una struttura molto semplice che si
trova spesso nei virus perchè è molto conservata.
Un virus quindi può essere fatto semplicemente con il suo acido nucleico e il capside proteico
introno ad esso, alcuni virus invece hanno un involucro ulteriore che si chiama peplos, dal greco
mantello, che non è altro che una membrana plasmatica originata dalla cellula nella quale il
virus si è riprodotto, questa si è avvolta intorno al virus nel momento in cui ha lasciato la cellula. In
realtà sia all'interno del capside, sia tra il capside e il peplos (detto anche pericapside) si può trovare
del materiale proteico, spesso degli enzimi, queste proteine possono essere proteine di origine
eucariota che sono state intrappolate, ma possono anche essere molto rappresentate anche proteine
codificate dal genoma virale (mentre il genoma virale si replicava all'interno della cellula) e sono
proteine che in alcuni casi sono molto utili nella successiva reinfezione o possono essere utili per la
maturazione del virus all'esterno della cellula; quando queste proteine sono particolarmente
evidenti in microscopia elettronica vengono chiamate tegumento. Anche nei virus si hanno
strutture superficiali particolarmente importanti, come nel caso di certi adenovirus che presentano
una struttura eicosaedrica dove sulla superficie protrudano capsomeri che sono proteine associate
al capside, sono le uniche strutture che prenderanno rapporto con un recettore sulla cellula che
verrà infettata, quindi sono i sistemi che premettono a un virus di essere in contatto con un cellula e
di assorbirsi sulla cellula (i virus non colonizzano nè aderiscono ma interagiscono per poi
penetrare all'interno della cellula!). Si prenda in considerazione un virus che presenta una struttura
più rotondeggiante, dotato di peplos (envelope costituito dal bilayer fosfolipidico) ma questa
membrana è stata modificata durante la replicazione virale, perchè tante proteine di origine virale si
sono inserite nella membrana e vengono chiamate peplomeri, ossia proteine o glicoproteine
associate al peplos necessarie per l'interazione.
Per i virus è molto complicato utilizzare in certi casi il concetto di specie perchè sebbene il genoma
virale sia estremamente piccolo (poche decine di migliaia di bp che sono circa 10-12 geni) rispetto a
quello di una cellula animale o di un batterio, ma hanno dei sistemi di ricombinazione
estremamente permissivi e accumulano volutamente errori nel genoma. Nei virus perchè ci sia
ricombinazione è sufficiente che ci siano sequenze più piccole di omologia rispetto ai batteri, quindi
è più facile che nei virus le ricombinazioni avvengano anche tra genomi che hanno un basso
livello di identità. Tante volte può succedere che una cellula sia infettata da due virus, e una volta
che questi virus hanno messo a disposizione il proprio genoma dentro la cellula, possono avvenire
fenomeni di ricombinazione, in più i virus hanno un controllo molto più basso sugli errori generati
dalle polimerasi, sia che si tratti di un virus a RNA o a DNA la sua replicazione dipenderà da un
RNA polimerasi o da una DNA polimerasi che dovrà fare la sintesi del genoma. Ma mentre negli
organismi superiori e nei procarioti c'è un controllo continuo sull'errore di incorporazione della base
e la sua sostituzione, questo nei virus avviene con minore efficienza perchè volutamente (da un
punto di vista evolutivo) questi genomi accumulano errori. Questo comporta che non è
concepibile la rappresentazione in specie secondo gli schemi tradizionali per alcuni di questi virus
ma si chiamano ugualmente specie perchè hanno caratteristiche comuni molto forti (ma non vale lo
stesso tipo di attribuzione che si fa per le cellule animali e vegetali o per i batteri ovvero individui
con il 99% di omologia genica). Tuttavia anche per i virus cerchiamo di identificare l'ordine, la
famiglia, il genere, la specie ed eventualmente le varie sottospecie secondo caratteristiche
fenotipiche varie .
Tutte le famiglie hanno il suffisso viridae, i generi invece hanno il suffisso virus, la definizione di
specie è la più importante ma è difficile da attribuire nei virus, si parla invece di quasispecie: HIV e
simili retrovirus sono chiamati “quasispecie” poiché in ogni individuo infetto con un qualsivoglia
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ceppo di HIV, porta in realtà un enorme numero (fino a 10 ) di differenti sequenze di genoma
virali. Questa estrema variabilità è tipica dei virus con genoma a RNA ed è una strategia evolutiva
molto forte. I virus hanno pochi antigeni di superficie, e abbiamo visto che le cellule T CD8
dipendenti sono in grado di legarsi in modo specifico all'antigene in modo tale da sviluppare una
risposta cellulomediata così da degradarlo abbastanza rapidamente. Il successo dei virus come l'HIV
è quello di avere tante varianti antigeniche, nel momento in cui l'antigene della proteina X
presente sulla superficie del virus viene presentato ai linfociti T, si monta una forte risposta
immunitaria ma contemporaneamente il virus crea delle varianti della proteina X ad esempio
sostituendo o inserendo nuovi amminoacidi, in questo modo sia la risposta anticorpale che quella
cellulo-mediata non avrà più alcun effetto quindi avere tanti variabili antigeniche e ricombinare è
sicuramente una strategia di successo.
La particella virale per replicare va dentro la cellula infettandola (tranne nel caso dei fagi in cui
penetra solo il genoma), il primo momento è quello dell'attacco (o penetrazione o absorbimento) e
si tratta di un riconoscimento estremamente specifico tra i ligandi sulla superficie del virus (che
possono essere i capsomeri o i peplomeri) e i recettori specifici presenti sulla cellula, quindi vuol
dire che quella cellula è sensibile, cioè ha delle strutture che vengono riconosciute in modo
specifico dai sistemi di attacco del virus. Se un virus collide con un cellula che non ha recettori
giusti, non ci sarà nessuna possibilità che quella cellula venga infettata, questo spiega perchè c'è un
tropismo dell'infezione virale, i virus come i batteri andranno ad infettare solo alcune cellule, e
questo spiega anche la presenza dei virus per specificità d'ospite. Una volta avvenuto questo
attacco possono accadere due cose diverse che dipendono molto dal tipo di virus, cioè se si tratta di
un virus con un pleplos oppure no. Se il virus ha un pleplos si avranno due membrane plasmatiche
che si affrontano: quella di origine eucariotica che sta circondando il capside virale e quella della
cellula sempre eucariota che viene infettata, quindi accadrà una fusione delle due membrane
plasmatiche e ciò che passa dentro sarà il nucleocapside, cioè il capside con dentro il genoma virale
(penetrazione). Dopo questo passaggio c'è l'esposizione, ossia il disassemblaggio del capside
virale nelle nuove condizioni chimico-fisiche che ci sono all'interno delle cellula, le proteine del
capside si disassemblano e viene esposto il genoma virale, cioè il genoma virale è nudo dentro la
cellula che viene infettata, d'ora in poi questo genoma virale governerà buona parte dei processi
biosintetici della cellula. Nei passaggi successivi si hanno i passaggi di sintesi, in generale la prima
cosa che viene fatta sono la sintesi di proteine precoci e poi quelle tardive. Il genoma virale dovrà
essere letto e trascritto in modo tale da produrre delle proteine che saranno delle polimerasi (RNA
polimerasi o DNA polimerasi) che servono per la replicazione di quel genoma, sarà necessario
comunque avere delle RNA polimerasi perchè il genoma venga trascritto, quindi le prime proteine
precoci di tipo virale nella fase di sintesi sono queste. Mentre le proteine tardive sono quelle
proteine che verranno prodotte per costruire il capside virale, quindi per costruire le strutture che
dovranno contenere la progenie virale, e anche proteine che dovranno inserirsi sulla superficie della
membrana plasmatica della cellula ospite perchè quando il virione emergerà dopo essersi montato il
capside virale, si dovrà ricoprire di un nuovo pleplos e questa membrana plasmatica dovrà essere
farcita dei peplomeri. Se si ha un genoma a DNA alcuni virus possono anche evitare di far
trascrivere subito DNA polimerasi DNA dipendenti perchè il nucleo ne è pieno, quindi la prima
cosa che può accadere è che il DNA a doppia elica sia portato nel nucleo, in alcuni casi ci sono dei
virus che fanno trascrivere delle proteine precoci che serviranno per portare il DNA nel nucleo;
quindi ogni volta che il genoma virale non trova tutto pronto per la sua attività deve avere già con se
le proteine necessarie. Quando il virus entra dentro la cellula ed espone il suo genoma, spesso libera
insieme al genoma anche delle proteine che sono già pronte (proteine tegumento) e magari sono
proteine che legano il DNA e riescono a portarlo dentro il nucleo, in altri casi queste proteine sono
già delle RNA polimerasi DNA dipendenti che possono servire per una prima trascrizione di quel
genoma virale, tutto può essere fatto a seconda del tipo di virus, si tratta di meccanismi e funzioni
biologiche che devono sfruttare quelle eucariotiche già presenti e allo stesso tempo sopperire
all'assenza delle stesse funzioni non presenti in quel determinato compartimento cellulare.
I virus utilizzano diverse strategie di attacco: alcuni infettano fondendo direttamente la propria
membrana con quella della cellula bersaglio, mentre i virus dotati di peplos utilizzano molecole di
superficie situate sulle cellule dell'ospite come porte d'ingresso per iniziare il processo infettivo; a
questa categoria appartiene il virus HIV dotato di envelope. Uno dei tantissimi peplomeri inseriti
nella membrana plasmatica che costituisce l'envelope del retrovirus si chiama GP120, ed è il
ligando che dovrà trovare un recettore specifico sulla cellula target sensibile che in questo caso è il
linfocita T helper, quindi questo virus ha trovato come cellula sensibile la stessa cellula che
dovrebbe montare risposta immunitaria contro di esso, per questo è così efficace nel fare infezione.
Il ligando si lega al CD4 (è quel corecettore che lega il sistema di HLA di classe II quando questo
presenta l'antigene) che è un recettore molto rappresentato sulla superficie dei linfociti T helper o T
CD4 dipendenti che sono molto importanti per la risposta immunitaria. Quindi il recettore del
linfocita è CCR5 ma come corecettore ha il CD4, dal legame del GP120 con questo corecettore
(lungo tutta la superficie dell'envelope sulla membrana plasmatica del linfocita che man mano lo
avvolge) comporta la fusione del peplos con la membrana plasmatica e quindi il passaggio
all'interno della cellula del nucleo capside (penetrazione) e poi ci sarà l'esposizione di questo
genoma all'interno della cellula. Il virus dell'HIV ha un tropismo specifico per le cellule del sistema
immunitario, in particolare per i linfociti, questo tropismo si ha perchè il suo peplomero riconosce e
si lega a una struttura che è presente unicamente nei linfociti (il recettore CD4) che però ha un altra
funzione ma il virus la sceglie come sito di attacco, è stata una scelta giusta per il virus perchè per
caso ha scelto una cellula che doveva rispondere contro di esso.
Esistono 7 categorie generali di replicazione virale che sono diverse tra loro perchè sono diversi tra
loro i genomi virali che appartengono ai virus che infettano le cellule.
Una prima classe è quella dei virus che hanno un genoma DNA a doppia elica, ad esempio gli
Adenovirus (spesso responsabili di gastroenteriti virali), gli Herpesvirus (non hanno un quadro
acuto e hanno un tropismo sul SNC e SNP). Una volta che espongono il genoma, il DNA virale
viene trascritto, quindi devono essere prodotti degli RNA messaggeri che serviranno per
produrre le proteine precoci (che saranno DNA polimerasi DNA dipendenti che servono a
replicare il genoma), poi si creeranno le proteine un pò meno precoci e successivamente quelle
tardive (che servono soprattutto come sistemi di incapsidamento del genoma virale). Alcuni di
questi genomi virali replicano nel nucleo, quindi la doppia elica deve andare nel nucleo dove le
proteine della cellula ospite (DNA polimerasi DNA dipendenti) andranno a replicare il DNA
come se fosse quello della cellula, a trascriverlo, e quindi tutti gli RNA messaggeri andranno al
citoplasma per formare le proteine di interesse virale. Invece altri genomi a doppia elica di
DNA replicano nel citoplasma (poxvirus), questo perchè nel virione (particella virale), prima
ancora di attaccarsi alla cellula e infettarla, erano già contenute nel capside delle proteine e degli
enzimi utili per la replicazione del genoma a doppia elica direttamente nel citoplasma (DNA
polimerasi DNA dipendente). Il resto dei passaggi non cambia: attacco, penetrazione e la
gemmazione delle particelle virali all'esterno della cellula.
Una seconda classe è costituita da genomi a DNA a singola elica a polarità positiva, cioè può
essere immediatamente utilizzato per trascrivere RNA. Questo genoma a singola elica di DNA
viene utilizzato come stampo, perchè le DNA polimerasi DNA dipendenti presenti nella cellula
trasformeranno questa singola elica in doppia elica, si ha la trascrizione di RNA messaggero e si
producono tutte le proteine virali e si assembla la progenie grande quantità di particelle virali
che poi uscirà dalla cellula per infettare altre cellule.
Si hanno anche genomi a doppia elica a RNA, in questo caso non si ha nessuna necessità di
arrivare al nucleo, l'RNA a doppia elica una volta che è nel citoplasma deve essere
semplicemente trascritto. Quindi in questo caso ci saranno delle RNA polimerasi RNA
dipendenti (noi non possediamo nelle nostre cellule ma arrivano con il virus infettante) che
trascrivono questo RNA e lo replicano costituendo i vari frammenti di RNA doppia elica. La
particolarità di virus che hanno un genoma a doppia elica a RNA è che questo genoma è
segmentato, ossia anziché avere un'unica elica di RNA si hanno tanti frammenti diversi tra
loro e ciascuno di questi elementi è monocistronico, cioè in molti casi ciascuno di questi
elementi ha a che fare con un singolo gene, mentre invece quando il genoma è un unico
elemento la trascrizione è policistronica ossia da un unica molecola di RNA che corrisponde a
più geni e quindi a più proteine e che produrrà quindi una poliproteina.
Poi esistono i genomi a RNA a singola elica a polarità positiva policistronico, ossia questo
RNA viene immediatamente letto dai ribosomi e siccome corrisponde a più geni e quindi a
più proteine viene tradotto senza stop e si ha un unica proteina che poi deve maturare. In realtà
questa proteina è una poliproteina perchè ci saranno delle proteasi, più precisamente delle
endopeptidasi, che taglieranno questa poliproteina in tanti frammenti che sono le diverse
proteine. La terapia più importante attualmente in uso contro il virus del HIV è la
somministrazione di cocktails di inibitori delle proteasi, cioè molecole che inibiscono le
proteasi che tagliano le poliproteine, se noi inibiamo il taglio di queste poliproteine, la
replicazione virale non và avanti. Il fatto che sia un RNA positivo significa che l'RNA esposto
all'interno della cellula è immediatamente infettivo.
Altre volte invece si hanno dei genomi a RNA a singola elica ma a polarità negativa, l'RNA
quindi una volta esposto all'interno della cellula deve essere letto da una RNA polimerasi
RNA dipendente perchè dall'RNA a polarità negativa si produca un RNA a polarità positiva
che di fatto è un RNA messaggero. Quindi in questo caso il genoma virale è un RNA che deve
essere trascritto, anche in questo caso possono essere segmentati oppure un unico genoma a
RNA. Una volta prodotto l'RNA messaggero, questo viene letto dai ribosomi che produrranno le
proteine virali e si forma il capside virale, e i peplomeri se ci sono i peplos .
Un'altra classe è quella a cui appartengono i retrovirus, questi hanno un genoma a singola elica
di RNA + DNA ossia pur essendo un genoma a RNA policistronico, ha necessità di un
intermedio a DNA, in più è diploide. Si prenda in esempio l'HIV che ha un genoma costituito
da due molecole di RNA a singola elica entrambe e identiche, è un virus dotato di peplos quindi
passa il capside virale all'interno della cellula animale. A questo punto il capside virale si
disassembla e l'RNA a singola elica diploide è nudo nel citoplasma, è un RNA a polarità
positiva ma non viene tradotto in teoria potrebbe essere letto dai ribosomi e fatta la proteina. Ma
la cosa più importante per questo RNA è che prima di tutto venga replicato, per essere replicato
però ha necessità di un intermedio a DNA, dall'RNA bisogna fare del DNA che viene fabbricato
con un meccanismo di retrotrascrizione. La trascrittasi inversa è un enzima, una DNA
polimerasi RNA dipendente, che utilizza questo RNA da stampo e una successiva DNA
polimerasi DNA dipendente usa il DNA ottenuto per fabbricare una doppia elica di DNA,
quindi da un ssRNA grazie all'enzima virale trascrittasi inversa si produce una doppia elica a
DNA. Questa doppia elica a DNA va nel nucleo dove viene trascritta come un qualsiasi DNA
cellulare e normalmente si integra. Una peculiarità di questi virus, che appartengono al genere
lentivirus, è quello di andare in latenza perchè dopo aver prodotto, grazie alla trascritasi
inversa, una molecola di DNA a doppia elica, questa si trasferisce nel genoma dei nostri
cromosomi e viene replicato. Si immaginino i linfociti T, che sono le cellule target del virus,
questi vengono stimolati dall'infezione e vengono stimolati ad espandersi (espansione clonale),
quindi questo virus non uccide i linfociti T ma li iperattiva. Quando si dice che l'HIV ha
l'effetto di ridurre la risposta immunitaria, questo non è legato al fatto che uccide i linfociti T,
ma li iperattiva e iperattivandoli li sregola e in questo modo i linfociti non sono più capaci di
rispondere in modo corretto alle altre infezioni per questo si muore di AIDS ad esempio per un
patogeno opportunista. Quindi allo stesso tempo oltre ad integrarsi nel genoma la molecola a
doppia elica di DNA produce progenie virale in modo permissivo commettendo errori di
polimerizzazione e quindi dando luogo ad una progenie con tanti mutanti, si hanno tanti virus
nello stesso individuo con caratteristiche antigeniche leggermente diverse che rendono ancora
più difficile il riconoscimento antigenico.
Ad un ulteriore classe appartengono i virus a doppia elica di DNA + RNA. Si preda in esame
Hepadnavirus che entrano come virus a doppia elica DNA all'interno della cellula, il DNA
viene trascritto producendo RNA ma quello che viene incapsidato non è un genoma a DNA. Il
virus entra come genoma a DNA ma la progenie esce come genoma a RNA, quindi
immediatamente al momento della produzione e del passaggio esternamente alla cellula dei
virioni (delle particelle virali) questi sono virus con un genoma a RNA. Dentro il capside virale
però hanno inglobato anche un gran numero di proteine virali prodotte durante la replicazione
che sono delle trascritasi inverse, quindi le particelle virali una volta fuori dalla cellula
continuano il loro processo di maturazione e quel genoma viene trasformato dentro il virione
da genoma a RNA a genoma a DNA e quindi li rendono pronti per la prossima infezione.
Quindi si hanno diversi meccanismi con i quali i virus gestiscono la loro informazione genetica e
che gli permettono di svolgere la loro funzione infettiva e di replicazione indipendentemente dal
fatto che i genomi siano a doppia o a singola elica di DNA o RNA. Ogni classe di virus ha la sua
modalità specifica però da un punto di vista generale non cambia molto per quanto riguarda il ciclo
che inizia con:
in alcuni casi con la maturazione ma nella maggior parte dei casi non si ha la maturazione
all'inizio del ciclo, cioè la particella virale è la stessa che si è prodotta all'interno della
cellula
successivamente l'attacco che può avvenire sia se il virus è dotato di peplos che se il virus è
dotato unicamente di capside
si ha il passaggio all'interno dell'intera particella virale ( capside + genoma)
successivamente si ha l'uncoating o l'esposizione e quindi la disponibilità dell'acido nucleico
in grado di replicare (o nel citoplasma o dentro il nucleo), dentro il nucleo può integrarsi
oppure no e successivamente da questo genoma si avrà la produzione di mRNA, produzione
di proteine precoci e tardive (legate alla produzione delle proteine del capside virale e/o dei
peplomeri). I peplomeri quando sono prodotti trovano delle proteine della matrice che
sono delle proteine target sulla membrana cellulare che sono riconosciute da proteine che
dovranno assemblarsi, inserirsi ed integrarsi con la membrana plasmatica, sono riconosciute
dalle proteine virali i peplomeri che sono glicoproteine che si inseriscono nella membrana
plasmatica e che poi seguiranno la membrana plasmatica stessa che avvolge il virus.
Azione patogena dei virus:
Come si è visto per i batteri, l'azione patogena dipende da una serie di caratteristiche proprie della
particella virale (quindi dagli enzimi in grado di produrre, dalle proteine strutturarli in superficie
che permettono loro di attaccarsi alle cellule) ma dipende anche dalla risposta immunologica
dell'ospite. Il quadro clinico (la biologia dell'infezione) non è legata solo a determinanti di
virulenza del virus, ma anche alla risposta dell'organismo nei confronti del virus. Da parte del virus
la cosa più importante è quella di riuscire a penetrare nel nostro organismo e raggiungere le cellule
sensibili al virus stesso, la prima cosa che deve accadere è l'attacco alla cellula ospite, a differenza
dei batteri, i virus non colonizzano le nostre superfici e non si spostano da un distretto all'altro del
nostro organismo poichè non vivono di vita propria, quindi per poter raggiungere le nostre cellule
seguono molto spesso una via diretta (traumatismi, lesioni, rapporti sessuali non protetti). Altre vie
di penetrazione sono le vie aeree e le vie digestive, in questo caso il virus passa all'interno delle
nostre cellule attraverso queste vie in quanto possiede la capacità di infettare le cellule epiteliali.
Quindi non in tutti i casi in cui è necessario un passaggio diretto per via ematogena (si pensi al
raffreddore), il virus deve avere la capacità e la possibilità di legarsi sulla cellula epiteliale e passare
all'interno di essa, quindi deve avere per iniziare una possibilità di replicarsi all'interno delle cellule
(virus influenzali e parainfluenzali), il che consente di essere confinati solo nel sistema di ingresso
(vie aeree in questo caso). Non sempre è così poichè ci sono virus in grado di riconoscere e
distruggere cellule epiteliali ad esempio intestinali o cutanee, ma hanno tropismo anche per altri
cellule come le cellule del sistema nervoso, come il virus della poliomielite che entra per via orale,
replica a livello intestinale ma poi le particelle virali, una volta riprodotte sulle cellule epiteliali,
sono in grado di attaccare e infettare anche le cellule del SNP e qualche volta anche del SNC dando
una sofferenza permanente del sistema nervoso. Un altro virus capace di spostarsi nell'organismo
sono i virus erpetici che causano lesioni cutanee dovute alla citolisi delle nostre cellule epiteliali ma
l'Herpes labiale ha anche tropismo tissutale per i neuroni, per le terminazioni nervose che innervano
la zona epiteliale in cui il virus ha attaccato inizialmente. Quindi il virus attacca anche il tessuto
nervoso sottostante la lesione labiale, e si integra passando per gli assoni nel genoma delle cellule
nervose che come sappiamo restano a vita per cui ogni tanto si riattiverà tornando in periferia alle
cellule epiteliati e dando luogo a un altro ciclo citolitico, stesso discorso per la Varicella zoster.
Quindi la replicazione di questi virus può avvenire nel sito di penetrazione e restare confinata,
oppure può passare in tessuti ed organi bersaglio successivi , se nell'herpes le lesioni sono
dirette quindi sono legate alla replicazione virale e la lisi della cellula epiteliale, in altri casi sono
indirette come nel caso delle epatiti croniche la sintomatologia è legata alla reattività del nostro
sistema immunitario.
La tipologia dei sistemi di replicazione delle particelle virali dipendono molto dal genoma che le
costituiscono. Gli effetti generali di una replicazione virale comprendono sempre una fase di
attacco (riconoscimento) di strutture di superficie presenti nel virione con recettori presenti sulla
superficie della cellula, seguito dalla liberazione di genoma direttamente nel citoplasma
(uncoating) e da una serie di fenomeni diversi a seconda del genoma virale. In fasi ben ordinate, con
una specifica propedeuticità, anche nelle fasi di trascrizione inizialmente alcuni geni virali e
successivamente altri geni verranno trascritti e tradotti per avere tutte le componenti necessarie per
una nuova particella virale, infine le nuove particelle virali emergono nella superficie della cellula
o in alcuni casi lisano direttamente la cellula per essere liberati.
Come per i batteri, i virus esercitano la loro azione patogena in modalità diretta o in modalità
indiretta: in modalità diretta attraverso un effetto diretto citocida o citotossico, ma più
frequentemente lo esercitano in quanto stimolano una risposta immunologica che è di per sè
citotossica rispetto alle cellule infettate dal virus ad esempio i natural killer uccidono le cellule
infettate da virus riconoscendo la scarsità delle HLA di classe I.
I virus raggiungono le nostre superfici e in particolare i tessuti bersaglio in maniera diretta oppure
attraverso le vie aeree o le vie digestive, in questo caso si devono far largo attraverso la superficie
mucosa e devono passare attraverso gli epiteli. I virus non hanno la capacità di farsi veicolare per
attraversare la barriera epiteliale, ma riescono a passare all'interno della cellula epiteliale e causarne
una lisi e questo basta perchè la nuova progenie virale prenda rapporti con i tessuti circostanti e
possa essere veicolata attraverso le cellule del sistema immunitario in altre aree o direttamente
passare a livello ematico e raggiungere una cellula target nei tessuti profondi, oppure il virus può
passare direttamente attraverso la via diretta, ossia passa direttamente nel sangue.
La replicazione avverrà sia nel sito di penetrazione sia nell'organo bersaglio, o direttamente
nell'organo bersaglio là dove la penetrazione è arrivata in modo diretto per un traumatismo ad
esempio. Una volta raggiunta la cellula target le lesioni possono essere dirette o indirette, in
particolare bisogna tenere conto che data la specificità delle strutture di superficie del virus e quelle
della cellula che deve essere infettata il passaggio all'interno della cellula per un virus è possibile
soltanto se la cellula è sensibile, ossia se la cellula ha sulla sua superficie dei recettori che vengono
in modo specifico riconosciuti dai ligandi presenti sulla particella virale. Il virus può passare
all'interno della cellula ma le condizioni interne della cellula possono non essere permissive perchè
il virus possa replicarsi, quindi non soltanto ci deve essere del tropismo per la cellula e quindi un
legame specifico con i suoi recettori ma ci deve essere anche una predisposizione da parte della
cellula ad essere sovvertita biochimicamente dalla presenza del nuovo genoma virale.
Se entrambe le condizioni si verificano si avrà la così detta infezione produttiva, cioè un infezione
che porta alla replicazione del virus attraverso i passaggi già visti: attacco, penetrazione,
esposizione, sintesi e montaggio. Questo succede in modo più frequente soprattutto per le infezioni
acute virali, ma ci sono anche un ampio range di altre possibilità nell'infezione virale che
dipendono dall'ospite, dalla specie virale o dal ceppo o anche da condizioni particolari che possono
avvenire a parità di ospite e di ceppo virale e che possono dipendere dallo stato dell'ospite e delle
condizioni in cui si trovano alcune cellule target nell'ospite. Abbiamo ad esempio casi di infezioni
restrittive, infezioni latenti e infezioni abortive .
Un'infezione restrittiva è un infezione che si verifica da parte di un virus su cellule che sono
sensibili e permissive ma è una possibilità condizionata. Ad esempio ci sono virus che una volta
assorbiti, e quindi passati all'interno della cellula, possono replicare solo se la cellula si trova in una
certa fase del ciclo cellulare, ad esempio se è in fase di replicazione. Quindi a seconda della fase di
ciclo cellulare il virus può replicare oppure no, questo comporta infezioni che normalmente hanno
un periodo temporale più lungo e anche un effetto meno drammatico dal punto di vista patogenetico
con presenza di segni clinici non a rapida evoluzione.
Nel caso dell'infezione latente si parla di quelle infezioni che una volta che si è determinato
l'assorbimento del virus sulla cellula epiteliale e questa quindi è sensibile, il genoma virale è dentro
la cellula e inizia a predisporre tutte le condizioni perchè ci sia la replicazione del genoma virale,
ma questo genoma anziché replicare si integra in uno dei cromosomi della cellula infettata. Capita
spesso nei virus a DNA (Herpesviridiae) o nei virus come l'HIV e tutti i Retrovirus che sebbene
siano a RNA, elaborano un intermedio a DNA che si integra nel genoma della cellula ospite;
durante la fase di latenza questa cellula non viene uccisa ma trasporta in modo silente il genoma
virale fino a quando non si riattiverà.
Le infezioni abortive si verificano piuttosto frequentemente nelle infezioni virali, ma in alcuni casi
sono particolarmente pericolose. Per infezioni abortive si intende un'infezione che ha determinato il
passaggio di genoma virale nella cellula target, ma questo genoma virale anziché dar luogo a un
classico ciclo replicativo, esprime soltanto alcuni geni e questo comporta la produzione di proteine
virali nella cellula senza che ci sia un ciclo completo di replicazione. Si tratta di proteine virali che
possono indurre delle alterazioni negli equilibri biochimici della cellula, possono disregolare alcune
vie importanti che sono legate allo stato differenziativo di quella cellula, e possono causare ad
esempio un differenziamento della cellula stessa. Quindi una serie di proteine e di fattori che
modificano l'assetto biochimico della cellula eventualmente fino a trasformarlo.
Quando si verifica una replicazione virale e si determina un'azione patogena questo può dipendere
da condizione dirette e indirette. Dal punto di vista indiretto (che è la più frequente) il danno
tissutale quindi la lisi cellulare è una lisi essenzialmente di tipo immunitario, è legata a linfociti T
citotossici (CD8 dipendenti) che riconoscono un antigene specifico virale sulla superficie di una
cellula infettata da un virus e legano questa cellula degranulando una serie di enzimi a carattere
idrolitico in grado di degradare e distruggere la cellula che porta il virus. Le NK non riconoscono
antigeni specifici del virus ma riconoscono l'assenza di HLA di classe prima causata dalla presenza
dell'infezione virale. I macrofagi partecipano alla distruzione di cellule infettate dal virus perchè
una cellula infettata dal virus, quindi caratterizzata dalla presenza di proteine virali sulla sua
superficie, può venire riconosciuta da anticorpi prodotti contro gli antigeni virali, e questi
anticorpi nella loro componente costante Fc viene riconosciuto dai macrofagi. Questo fenomeno si
chiama opsonizzazione e danno la possibilità di rivestire con degli anticorpi una cellula batterica o
una cellula dell'ospite che ha sulla superficie degli antigeni virali, una volta rivestita di anticorpi
tutte le code (frammento Fc dell'anticorpo) vengono esposte verso l'esterno e questa componente di
Fc ha un recettore sui macrofagi e sui fagociti professionali quindi riconoscendo questo i macrofagi
fagocitano, l'opsonizzazione è quindi un meccanismo per facilitare la fagocitosi che in questo modo
possono degradare anche cellule dell'ospite se presentano in superficie proteine virali.
Le infezioni citocide sono invece un espressione normalmente di un effetto diretto del virus, il
virus in questo caso ha una rapidissima replicazione ad esempio sui neuroni o sugli enterociti
causando una distruzione velocissima dei tessuti.
Nel caso delle infezioni latenti tipiche delle infezioni herpetiche (fuoco sant'antonio, herpes labiale
ecc..) si determinano un infezione citocida a livello epiteliale e latente a livello neuronale.I virus
raggiungono il corpo neuronale attraverso gli assoni in maniera centripeta (dalla periferia verso il
centro), vanno in fase di latenza e possono essere riattivati, a quel punto le particelle virali
raggiungono dal centro della periferia (attraverso l'assone neuronale) di nuovo le cellule epiteliali
dove danno lisi. Anche in questo caso si hanno cicli di latenza-riattivazione chn non sono
prevedibili ma dipendono dai meccanismi che inducono questa riattivazione. Normalmente la
riattivazione si ha quando si ha una riduzione della sorveglianza immunitaria, una riduzione
della condizione di efficienza immunitaria, non a caso a volte la riattivazione di una infezione da
varicella nella fase del fuoco di sant'antonio, si verifica a volte in soggetti che stanno sviluppando
un tumore e quindi sono in una fase (a causa della neoplasia avanzata) di immunodepressione o
comunque in altre condizioni di stress.
Le infezioni persistenti danno un'idea di come i virus possano avere dei comportamenti molto
diversi nell'azione patogena. Si prenda in esempio l'epatite B il cui virus è in grado di infettare il
fegato e si trasmette per trasmissione diretta. Le infezioni virali quando si determinano in quanto
infezioni persistenti nel fegato possono dare epatiti croniche ma possono arrivare a dare anche
carcinoma epatico. Quindi nello stesso fegato un virus può dar luogo ad un infezione citocida
acuta (un epatite fulminante), oppure ad un infezione persistente. Anche in questo caso è rilevante il
grado della risposta dell'ospite, nell'infezione persistente si hanno alcune cellule epatiche che
vengono lisate e una certa produzione di virus che va ad infettare cellule epatiche vicine e tutto
questo in modo rallentato. Ogni volta che si ha una lisi epatica a un certo numero di cellule o
microlesioni al livello del fegato si hanno microaree di necrosi causate dall'infezione citocida e
questo scaturisce l'arrivo dei macrofagi per degradare e distruggere la necrosi, ma si avrà anche la
rideposizione di tessuto connettivo e quindi di fibroblasti che inizieranno a produrre tessuto
connettivo cicatriziale. Se questo avviene di continuo si avrà a poco a poco sempre più tessuto
connettivo e sempre meno replicazione di epatociti nella maniera controllata e ordinata tipica del
fegato e si verificherà la condizione di ittero che è tipica delle epatiti croniche e delle cirrosi. Questa
continua distruzione di epatociti e continua spinta a proliferare degli epatociti stessi comporta una
predisposizione alla trasformazione, cioè se gli epatociti di continuo devono replicare e lo fanno
in un modo che è sempre meno ordinato per le condizioni esterne di altre cellule presenti
(fibroblasti) e del connettivo presente intorno si ha una maggiore possibilità di trasformazione negli
stessi epatociti, trasformazione che significa poi neoplasia epatica quindi carcinoma epatico.
Quindi la trasformazione causata dai virus e le neoplasie causate dai virus (ce ne sono diverse)
possono svilupparsi o in modo indiretto a causa di una continua ricostituzione dell'organo data
dalla deposizione di collagene da parte di fibroblasti, oppure anche in modo diretto per attività
specifica di geni virali (oncogeni). Alla basa di una neoplasia c'è la trasformazione cellulare, una
neoplasia si sviluppa a partire da cellule trasformate, che sono delle cellule nelle quali si è verificata
un alterazione della crescita e di tutti quei sistemi di controllo. Quello che viene a mancare non
sono soltanto i sistemi di controllo biochimico sulla trascrizione e sull'assetto proteomico generale
di una cellula, ma anche meccanismi di controllo di ricombinazione genomica che possono
determinare delle variazioni di tipo genetico ereditabili nella linea neoplastica e quindi mantenute in
modo costitutivo nel sistema tumorale. Una trasformazione può avvenire per causa di virus quando,
ad esempio, come nelle infezioni aboritive si hanno in modo continuativo produzioni di antigeni
virali che interagiscono con i sistemi di controllo coordinato dall'omeostasi cellulare fino a
trasformare la cellula. Nella maggior parte dei casi si parla di tumori benigni, che significa una
replicazione assolutamente non corretta di un tipo cellulare ma comunque con un grado di velocità
limitata e con l'assenza totale di possibilità di metastatizzare (è sufficiente una rimozione
chirurgica). In altri casi, oltre che nelle infezioni abortive, alcuni virus possono comportarsi come
virus oncogeni perchè integrandosi nel genoma della cellula infettata possono farlo in specifiche
aree genomiche che poi vengono ad essere alterate nella trascrizione stessa dei geni. Quindi non è
un fatto sporadico il generare tumori da infezioni virali, i tumori per esempio possono essere
determinati dall'HPV (virus del papilloma umano) che determina il carcinoma del collo dell'utero
che e nella maggior parte dei casi non dà luogo al carcinoma della cervice uterina, ma tutte le donne
che lo sviluppano lo fanno a seguito dell'infezione. Il virus EBV è il virus che è associato alla
mononucleosi infettiva ma che in alcuni casi può determinare linfomi, il virus HTLV-1 (che è
della stessa classe del virus HIV) è un retrovirus che è in grado di dar luogo a una leucemia delle
cellule T (anche questo infatti ha un tropismo per i linfociti T e dà luogo ad una leucemia più
frequentemente nei paesi asiatici). Il virus dell'epatite B può dar luogo (come quello dell'epatite C) a
carcinomi epatici, quindi purtroppo non mancano tumori associati all'infezione dei virus. Per tutti
questi non c'è una condizione di causa-effetto costante, soltanto in una piccola parte di infezioni
abbiamo lo sviluppo di un tumore perchè esistono una serie di altri fenomeni di tipo genetico,
immunologico e ambientale che eventualmente facilitano l'insorgenza del cancro.
Un modo di determinare l'insorgenza di un tumore, e quindi la trasformazione di una cellula
infettata, è legata alla presenza nel virus oncogeno di fattori trascrizionali, cioè in grado di
transattivare la trascrizione di DNA che è a valle del fattore stesso. A seconda di dove il genoma
virale si inserisce a livello cromosomale, ad esempio in CIS (mediatamente adiacente) potrebbe
trovarsi un onco-gene cioè un gene che appartiene al nostro patrimonio genetico che viene espresso
in fasi iniziali dello sviluppo embrionale ma che ora è spento, e che quindi ha a che fare con un
sistema trascrizionale di controllo che è ancora proprio di cellule pluripotenti, cioè cellule non
differenziate. Quindi può essere attivato un onco-gene come può essere inibito un onco-
soppressore (geni che in una cellula differenziata controllano la differenziazione, evitano che la
cellula ritorni totipotente).
Le difese antivirali sono legate all'azione di linfociti T citotossici, NK, macrofagi, la funzione degli
anticorpi con il complemento, prima ancora le barriere antomiche (tutto quello che rallenta o
impedisce il passaggio dei batteri fino a raggiungere le cellule sensibili e permissive alla loro
replicazione) come muco, strato corneo della cute, enzimi proteolitici che sono utili nel degradare le
proteine di superficie che permettono ai virus di legarsi alla cellula da infettare, o nel caso di virus
che non hanno un peplos e hanno soltanto il capside virale che è fatto di proteine e di glicoproteine,
anche la sua degradazione in modo diretto. E' estremamente importante anche la temperatura, i
virus che hanno un attività patogena nei nostri confronti sono virus adattati alla biochimica delle
nostre cellule che a sua volta è adattata a temperature nell'intorno dei 37 gradi. Nel momento in cui
si ha un infezione virale l'organismo risponde disregolando la nostra capacità di termostatare la
nostra temperatura fino ad un massimo di 37 gradi, quindi tutta la produzione di calore che deriva
dal nostro metabolismo anziché essere dissipata viene mantenuta e la temperatura può salire entro
un certo limite perchè a queste temperature si blocca la replicazione virale o replicano con maggiori
difficoltà. Un'altra difesa antivirale è l'inferferon che sono delle glicoproteine che inibiscono la
replicazione intracellulare, quindi funzionano all'interno della cellula inibendo la replicazione del
virus, gli interferon sono molecole inducibili, sono molecole che non sono sempre prodotte dalle
nostre cellule ma vengono prodotte solo in occasione di specifici stimoli associati all'infezione da
parte di virus. La loro attività è indiretta, ossia non sono glicoproteine che in qualche modo
attaccano o disgregano il virus, ma creano condizioni tali per cui il virus non potrà replicare.
L'attività antivirale non è in realtà specifica per i singoli virus, quindi è una classica attività
immunitaria di tipo innato perchè stiamo rispondendo ad un infezione virale non per impedire la
replicazione di uno specifico virus, ma hanno un effetto generale su tutti i sistemi di replicazione
virale. La loro specificità è legata all'ospite, cioè variano da specie a specie, variano leggermente
strutturalmente come sequenza e in ogni caso sono molecole piuttosto conservate. La persistenza
nell’organismo infetto è limitata, sono inducibili ma hanno un'emivita molto bassa, quindi sono
presenti solo fintanto che sono presenti gli stimoli per la loro sintesi cioè l'infezione virale.
Considerando tre classi principali di produzione degli interferoni:
IFN viene prodotto soprattutto dai linfociti B e dalle cellule dendritiche ogni volta che
vengono riconosciuti fattori non-self da parte di queste cellule;
IFN viene prodotto dagli epiteli, fibroblasti e macrofagi che riconoscono acidi nucleici
tipicamente virali in quanto gli acidi nucleici dei virus rispetto ai nostri hanno specifiche
sequenze con specifici pattern di metilazione che sono tipicamente virali e che le cellule
epiteliali riconoscono e in risposta a questo riconoscimento producono interferone beta;
IFN è prodotto dai linfociti T che riconoscono l'antigene in modo specifico sulle cellule che
lo presentano (APC) con il loro recettore TCR, si attivano (espansione clonale) e producono
attivamente anche interferone gamma. Questo è molto importante perchè va a coadiuvare una
serie di altre attivazioni cellulari ad esempio degli stessi macrofagi che potenziano la risposta
immunitaria inizialmente innata e successivamente la risposta immunitaria adattativa (cellulo-
mediata e umorale).
Diciamo che gli interferoni hanno attività indiretta perchè una volta che il virus prende rapporto con
una cellula A ad esempio, che è sensibile e permissiva, e quindi soltanto dopo che quella cellula è
infettata e al suo interno viene liberato il nucleocapside o il genoma, solo a quel punto questa
risponde con la produzione di interferoni. Questi interferoni per poter funzionare devono legare il
loro recettore sulla superficie cellulare (la loro presenza nel citoplasma non significa nulla),
devono essere secreti, sono molecole che vengono secrete dalle cellule che li producono, e una
volta secreti si legheranno sui recettori della stessa cellula che li ha prodotti o delle cellule vicine .
Generalmente non sono in grado di avere un effetto benefico sulla cellula che li ha prodotti (che
ormai ha già dato luogo a una replicazione virale) ma fanno in modo che le cellule vicine (prima
ancora che un nuovo virus le possa infettarle), in risposta al legame dell'interferone con il suo
recettore, abbia già prodotto alcuni effettori (come ad esempio oligoadelinatosintetasi o
proteinochinasi) che hanno un attività specifica nella degradazione di RNA virale e nel blocco
della traduzione di trascritti virali. Quindi questa produzione significa che le cellule saranno di
fatto non più permissive diventando resistenti al virus per un periodo di tempo che dipende da
quanto tempo restano in giro gli interferoni. Questa resistenza funzionale della cellula al virus per
via degli effettori indotti dal legame tra interferone e recettore durerà fin tanto che ci sarà
interferone presente sebbene hanno un emivita molto bassa. Fin tanto che ci sarà nei dintorni di una
cellula infettata da un virus, l'interferone verrà prodotto e le cellule intorno saranno protette o
parzialmente protette.
Per le infezioni virali si hanno pochi farmaci, i farmaci utilizzati per il controllo di questi sono per
lo più farmaci sintomatici, ossia farmaci che permettono di controllare i sintomi non farmaci anti
virali quindi con un effetto diretto sul virus che ha determinato l'infezione. Prima della pandemia
dell'HIV gli unici farmaci presenti erano quelli per le terapie delle infezioni erpetiche come le
encefaliti erpetiche a decorso acuto, ma che vengono utilizzati anche per la cura dell'Herpes
simplex. Infatti si possono vedere l'Aciclovir o farmaci analoghi che sono degli analoghi aciclici
delle basi azotate e che di fatto vanno a intercalarsi preferibilmente nella fase di polimerizzazione
degli acidi nucleici virali in modo preferenziale rispetto ai nostri acidi nucleici per cui hanno una
buona efficacia nel bloccare la replicazione virale nei virus ad attiva replicazione ma non hanno
efficacia nei virus latenti o a progressione lenta. Dopo la corsa al trattamento dell'AIDS sono stati
sviluppati farmaci come AZT che è un inibitore della trascrittasi inversa quindi è un esempio di
farmaco che possa interferire con il meccanismi replicativi basati a loro volta su funzioni che non
sono presenti nelle nostre cellule, un farmaco specifico per quel microrganismo che lasci inalterata
la biochimica cellulare. Purtoppo dopo pochi anni il virus ha accumulato una serie di mutazioni che
hanno reso il gene in grado di produrre una trascrittasi inversa resistente all'AZT, per questo sono
sviluppate anche altre strategie, quella che ha maggiore successo oggi è legata ad un altra funzione
tipicamente virale che non è presente in tutti i sistemi di replicazione virale ma lo è sicuramente per
i retrovirus ed è legata al fatto di produrre un unico RNA policistronico, un'unica poliproteina
che da parte di proteasi codificate dal virus dovrà essere tagliata in modo tale da avere le singole
proteine funzionali per il virus. Utilizzare degli inibitori delle proteasi significa quindi impedire
alle poliproteine di essere tagliate e quindi impedire al virus la sua replicazione. La cosa
interessante degli inibitori delle proteasi virali è che esistono diverse classi di molecole in grado
di bloccare queste proteasi, somministrarle in cocktail significa rendere molto più complicato per
il virus sviluppare resistenza perchè dovrebbe sviluppare resistenza contemporaneamente a più
molecole differenti, ed è questa la chiave del successo di questa strategia.
Si parla di AIDS quando un soggetto, che è sieropositivo, ha ormai sviluppato un grado di
immunodepressione tale per cui si inizia ad avere lesioni cutanee e/o tumorali, ora grazie alla
terapia basata essenzialmente su inibitori delle proteasi virali per arrivare allo stadio di AIDS passa
molto più tempo rispetto a prima. Più recentemente sono stati sviluppati in Sardegna degli antivirali
che sono antivirali in modo indiretto e impediscono che le cellule target infettate dal virus siano in
grado di replicare e mantenere il virus stesso. Nel caso dei virustatici questi farmaci bloccano la
iperattivazione linfocitaria da parte del virus HIV e quindi determinano delle condizioni cellulari a
causa delle quali il virus rallenta fortemente la sua replicazione (quindi ha un attività indiretta più
sul sistema immunitario che sul virus stesso).
MICETI
I miceti sono organismi unicellulari, quindi sono microrganismi, che rispetto alle cellule
batteriche, sono cellule eucariote. I miceti in particolare possiedono una parete rigida che prende
il nome di tunica, generano strutture filamentose e producono spore che sono importanti per la
loro replicazione. Sono dei saprofiti, ossia sono dei chemioeterotrofi in grado di utilizzare come
fonte energetica diverse molecole a base di carbonio presenti nell'ambiente sotto forma di materia
organica morta che viene decomposta grazie anche all'attività dei miceti. Esistono centinaia di
migliaia di specie di miceti, circa 300 sono patogene o possono essere patogene per l'uomo perchè
è molto frequente che questi possono essere presenti nell'ambiente ma possono diventar patogeni in
alcune condizioni per l'uomo, in alcuni casi sono francamente patogeni perchè producono delle
micotossine estremamente pericolose per l'uomo e in altri casi possono essere degli opportunisti
da miceti). L’incidenza
causando di micosi (infezione delle micosi è in costante aumento e si
associa a:
AIDS
condizioni di immunosoppressione
patologie croniche
terapie invasive e protesi
I miceti sono costituiti da un corpo cellulare che prende il nome di tallo che può essere di tipo
diverso, infatti in base alla sua forma e la sua struttura si distinguono le ife (corpo cellulare
allungato), oppure blastocellule (corpo cellulare più rotondeggiante). Le ife sono quelle tipiche dei
funghi o muffe, mentre le blastocellule sono tipiche dei lieviti. Nel caso dei funghi o muffe le ife
vengono definite ife settate o ife non settate, il più delle volte sono settate ossia pur essendo
unicellulari si possono organizzare in colonie. Ciascuna cellula se staccata dalla struttura generale si
replica per ricostituire una struttura analoga a quella di provenienza, in alcuni casi queste stesse
cellule nella componente aerea possono svilupparsi con morfologie diverse per costruire il corpo
fruttifero. Nel corpo fruttifero alcune cellule generano spore, ossia vanno incontro a una
riproduzione sessuata con una linea germinale quindi fanno dei gameti aploidi. La riproduzione di
questi microrganismi infatti può essere alternativamente sessuata o asessuata. Possiamo staccare
una ifa dal complesso e questa sarà in grado di replicare per scissione binaria e produrre in modo
asessuato tantissime altre cellule, ma anche da parte dei corpi fruttiferi si può avere una parte
riproduttiva con gametogenesi e con produzione di una linea generale di gameti che dovrà essere in
grado di "fecondarsi" con la fusione di gameti provenienti da altri miceli e produrre quindi una
nuova cellula con la corretta aploidia della cellula eucariotica.
I lieviti hanno le blastocellule che si replicano attraverso gemmazione e da una blastocellula
possono formarsi più di una cellula, quindi sarà una replicazione del genoma dei diversi
cromosomi della cellula eucariota con produzione di cellule figlie che sono un prolungamento
della cellula madre e poi si staccano, o in altri casi rimangono associati ma sono comunque cellule
indipendenti. Nel produrre queste forme replicative, che restano adese le une alle altre, possono
dare l'aspetto al microscopio di un micelio (componente aerea delle varie ife settate) ma sono delle
pseudoife o psudomicelio.
Esistono anche miceti dimorfi, a questi appartengono ad esempio un lievito estremamente
importante dal punto di vista sanitario che è la Candida albicans che è responsabile di candidosi
orali, vaginali e talvolta sistemiche. Il micete dimorfo normalmente ha la struttura tipica dei lieviti,
ossia con la blastocellula che si replica per gemmazione o anche per scissione, oppure altre volte le
cellule si allungano e si riproducono per gemmazione ma hanno un aspetto completamente diverso.
Queste forme allungate che si vengono a formare assomigliano molto al microscopio alle ife settate,
e per questo che possono trarre in inganno ed è per questo che sono definiti miceti dimorfi, perchè
hanno sia l'aspetto tipico delle blastocellule ma anche un aspetto più simile alle ife delle muffe.
Sia i lieviti che le muffe sono chemoeterotrofi, quindi utilizzano sia un metabolismo fermentativo
che ossidativo, sono sempre aerobi o anaerobi facoltativi quindi sono in grado di sviluppare il
proprio metabolismo sia in presenza di ossigeno che in assenza di ossigeno, hanno necessità
nutritive molto scarse, crescono in terreni molto poveri (tipico di tutti i microrganismi ambientali)
perchè sono in grado di recuperare e rimetabolizzare tutti gli elementi esterni. I microrganismi
invece che sono adattati a una specie animale, come i batteri, sono in grado di replicare solo
attraverso infezioni e richiedono terreni ricchi perchè si sono specializzati per i tessuti animali ricchi
di amminoacidi e di altre sostanze.
Tutti i miceti crescono a temperatura ambiente e hanno un optimum di crescita attorno ai 30 gradi
perchè sono normalmente presenti in superfici inanimate, sono infatti definiti ambientali. I miceti si
replicano sia per riproduzione sessuale che per riproduzione asessuata, e nel caso in cui
(specialmente nei funghi) avviene una riproduzione sessuale questa avviene per fusione di gameti
che sono stati generati nella parte aerea del micelio dalle spore. A volte nei miceli le ife settate
perdono i setti e quindi di fatto si ha una situazione analoga a un sincizio, cioè cellule in continuità
l'una con l'altra, cellule che si differenziano con strutture molto particolari, cellule che introducono
nel terreno o nella corteccia dell'albero delle estroflessioni (tubo germinativo, appressorio e
austorio) che sono degli sviluppi ulteriori della superficie cellulare che permetterà più facilmente
l'assorbimento di sostanze nutritive e la secrezione di enzimi idrolitici che permettono la digestione
della materia organica circostante.
La patogenicità da parte dei miceti è dovuta sicuramente alla capsula e alla tunica che rendono
ancora più difficoltosa la fagocitosi (i fagociti sono spesso più piccoli di una ifa), un fattore di
patogenicità può essere anche la produzione di enzimi che vengono prodotti per degradare la
matrice organica circostante e quindi per derivarne il nutrimento questi enzimi sono anche in grado
di struggere le membrane cellulari, i tessuti colonizzati durante l'infezione. Ma la patogenicità dei
miceti in particolar modo è dovuta alle tossine, soprattutto sono molto importanti le intossicazioni
da funghi e da lieviti (ma soprattutto da funghi); le micotossine sono estremamente potenti. I funghi
responsabili delle onicomicosi rappresentano un esempio di colonizzazione di funghi difficile da
sradicare poichè si presenza su un tessuto poco vascolarizzato dove il sistema immunitario fatica
ad arrivare, dove una serie di traumatismi possono facilitare la rottura dello strato corneo della cute
e quindi la dove ci sono dei recessi dove è difficile pulire e dove il grado di umidità è elevato. Un
altro esempio è la colonizzazione di protesi o conseguentemente sulle superfici mucose
immediatamente adiacenti alla protesi che determinano colonizzazione da Candida, questa è tra i
primi colonizzatori di qualsiasi superficie, perchè ubiquitaria, ma in condizioni ottimali quando
sulla superficie mucosale o dentale si trovano i batteri commensali questa non ha nessuna
possibilità di adesione e colonizzazione.
La cosa più importante per quanto riguarda l'effetto patogeno dei miceti sono indubbiamente le
micotossine, cioè tossine prodotte dai miceti. Le micotossine sono metaboliti, cioè sono delle
piccole molecole prodotte durante il metabolismo da parte dei miceti che però hanno un effetto
estremamente tossico non sono proteine o e enzimi specifici come nei batteri; in genere sono
inibitori di enzimi. Il problema è che le tossine si accumulano là dove si accumulano i miceti, ossia
nelle derrate alimentari e poi le introduciamo per ingestione oppure si possono inalare le tossine
disperse nell'aria come nelle fabbriche agro-alimentari. Queste tossine possono essere
neurotossiche, nefrotossiche (creando problemi a livello renale), epatotossiche (creando problemi
al fegato), dermotossiche, enterotossiche, o possono avere un effetto diretto di tipo endocrino.
La cosa importante da ricordare è che essendo piccole molecole sono molecole a struttura
steroidea o comunque piccole molecole che non sono in grado di dar luogo a risposte immunitarie
(l'antigene non può essere considerato tale perchè troppo piccolo, è come un aptene ma senza
carrier quindi incapace di legarsi ai TCR). Per essere in grado di indurre una risposta immunitaria
l'antigene deve avere un minimo di dimensione per poter essere considerato tale. L'unica
prevenzione contro queste tossine quindi è quella di conservare correttamente le scorte
alimentari. Si ricordano tre generi importanti per quanto riguarda la produzione di tossine (tutti
funghi): Aspergillus, Penicillium e Fusarium.
L'Aspergillus produce soprattutto aflatossine che si possono trovare anche nel latte o nei cerali e
possono dar luogo a nefriti, epatiti e possono essere anche carcinogenetiche. Esistono anche
epatocarcinomi indotti da aflatossina, perchè l'intossicazione può essere acuta oppure può essere
cronica. L'ocratossina e la patulina prodotte dal Penicillium che causano nefriti ed epatiti. E un
poi un altra classe importante è quella degli zearalenoni, la loro individuazione è più recente dal
punto di vista epidemiologico, è più recente l'osservazione di bambini (in famiglie che
appartengono a categorie a rischio come gli agricoltori) che hanno disturbi nello sviluppo
ormonale perchè gli zearalenoni hanno attività estrogenica, sono simili agli ormoni estrogeni e
possono dare ipofertilità e alterazioni importanti dello sviluppo sessuale. In altri casi si hanno
dermatiti, emorragie e disturbi nervosi (psicosi) prodotte dal Fusarium.
PROTOZOI
I protozoi come i miceti sono microrganismi, organismi unicellulari e sono cellule eucariotiche
che a differenza dei miceti non hanno una parete rigida e per certi versi sono più simili alle cellule
animali. I protozoi possono riprodursi in maniera asessuata o sessuata e in alcuni casi fanno
spore o oociti, queste sono evidentemente delle forme cellulari determinate da condizioni
specifiche dell'ambiente in cui i protozoi si trovano e che danno maggiore resistenza alla cellula in
condizioni di stress o di carenza di nutrienti. Utilizzano, per spostarsi nell'ambiente, modalità molto
diverse tra di loro, infatti tra le caratteristiche per distinguere i 4 gruppi principali (flagellati ,
sporozoi , ciliati e amebe) ci sono essenzialmente la morfologia e la modalità di movimento
nell'ambiente. I protozoi sono importanti anche dal punto di vista clinico sanitario a causa dei
cambiamenti demografici della popolazione mondiale: popolazione più longeva, immunodeficienze
acquisite, importante flusso migratorio dove alcuni protozoi patogeni sono endemici.
Un esempio di protozoo è il Trichomonas vaginalis che apparatine alla classe dei flagellati,
quando Trichomonas vaginalis colonizza la flora microbica vaginale la sua presenza può essere
del tutto silente, può non dar luogo ad alcun tipo di sintomalogia. In altri casi in condizioni di
dismicrobismo vaginale, la maggiore presenza del Trichomonas a scapito della flora
microbica e il minore trofismo dell'epitelio vaginale legato al dismicrobismo stesso può portare
a traumatismi e può causare danni gravi. Come tutte le malattie trasmesse sessualmente, è più
presente in certe categorie come ad esempio quelle dedite alla prostituzione. Il Trichomonas
vaginalis è importante, sopratutto in zone dove è endemica anche l'infezione dell'HIV, perchè
contribuisce a determinare quel scarso trofismo epiteliale, e maggiore facilità di micro lesioni
dei tessuti che facilitano il trasporto del virus dell'HIV direttamente attraverso la mucosa.
Quindi facilitano la trasmissione stessa di altre patologie ben più gravi di origine virale, c'è una
fortissima associazione tra presenza di Trichomonas e infezione da HIV nelle popolazioni
femminili africane. Un altro microrganismo importante è la Giardia Lamblia che si localizza a
livello intestinale ed è associata spesso a enteriti croniche con scarsa diarrea legata a
condizioni di malassorbimento causato da questo microrganismo.
Un secondo gruppo sono le amebe che possono strisciare con movimenti ameboidi. Le cellule
non avendo piedi per potersi muovere a volte spostano aree della cellula grazie al citoscheletro e
le usano come "piedi" alcune di queste sono cellule presenti nel nostro corpo, come le cellule
del sistema immunitario, come i leucociti e i macrofagi, che si muovono con lo stesso sistema
sfruttato dalle amebe. Gli pseudopodi in particolare vengono utilizzati per il passaggio dal letto
vascolare in un capillare al tessuto circostante, visto che questi pseudopodi si infilano tra le
giunzioni delle cellule endoteliali, si muovono per diapedesi quindi. Dentro la cellula il sistema
citoscheletrico depolimerizza e polimerizza continuamente per far spostare pian piano l'ameba,
inoltre possono fare cisti a differenza dei flagellati. Tipico delle amebe è il fatto di vivere
nell'ambiente in forma libera, le troveremo in ambienti ad alto contenuto di acqua, e sono dei
predatori di batteri. Tra questi predatori di batteri rientra anche la Acanthamoeba castellanii
che fagocita i batteri come qualsiasi ameba degradandoli e uccidendoli; certi batteri hanno
imparato a resistere dentro le amebe come la Legionella, la legionellosi è una patologia
infettiva, una polmonite dovuta al batterio che arriva ai polmoni direttamente dentro le amebe.
Un'altra categoria sono gli sporozoi che possiedono delle strutture più complicate, tra questi
bisogna ricordare il plasmodium falciparum che è l'agente eziologico della malaria. Si tratta
di un protozoo che viene veicolato attraverso artropodi-vettori, le zanzare. Quando il
soggetto viene punto da una zanzara, che nel suo stomaco possiede il plasmodium falciparum,
oltre a succhiare il sangue sputa un pò di materiale dal suo stesso stomaco tra cui il plasmodio.
Il plasmodio a questo punto sviluppa un ciclo piuttosto complesso, in particolare tramite torrente
circolatorio va a livello epatico dove c'è un evoluzione ulteriore delle forme cellulari di questi
plasmodi. Quindi si ha una replicazione del microrganismo che va ad annidarsi nei globuli rossi
riducendo la loro funzione, tenderà quindi a formare dei microtrombi, una minore elasticità e
quindi capacità di passare attraverso ai capillari o una sua eccessiva distruzione a livello della
milza. Tutto questo comporta quindi patologie diverse a seconda che la colonizzazione da parte
del plasmodio causi oppure no una importante presenza di plasmodio a livello cerebrale come
nella malaria cerebrale. Nel complesso indebolisce fortemente il soggetto a causa
dell'infestazione dei globuli rossi e di tutti i tessuti dove i globuli rossi vengono portati
(anemia). Quindi gli sporozoi sono microrganismi molto importanti e vengono chiamati anche
apicomplexa perchè hanno una struttura di altissima ingegneria di microtubuli, il
complesso apicale, che causano letteralmente un sfondamento delle pareti cellulari delle
cellule che devono essere infettate, si muovono con attività contrattile di scivolamento dei
microtubuli l'uno sull’altro e permette l'insediamento in una cellula parassitata da parte del
protozoo, non hanno grandi esigenze di muoversi perchè sono sempre intracellulari a differenza
degli altri tipi protozoi.
I ciliati sono facilmente distinguibili dagli altri a microscopia ottica perchè hanno un aspetto
ovoidale, ma soprattutto hanno la caratteristica di essere ricoperti da cilia del tutto simili a
quelle dell'epitelio ciliato respiratorio. Queste cilia sono un elemento strutturale importante che
permettono di riconoscere ma soprattutto sono importanti per il movimento, infatti i ciliati si
muovono grazie a un movimento che viene definito metacronico che è un movimento in cui le
cilia iniziano a muoversi da un anello iniziale e come un effetto domino si muovono con un
sincronismo. I ciliati hanno una polarità, nel senso che hanno ad un polo della cellula un area
da cui vengono eliminate le componenti molecolari e macromolecolari che non sono
utilizzate dalla cellula, mentre dall'altra parte si trova il citostoma (bocca della cellula) che
serve per inglobale all'interno della cellula componenti batteriche e frammenti cellulari che
vengono poi digerite attraverso il sistema di fusione dei lisosomi coi fagosomi. Possono fare
cisti e possiedono due nuclei: uno, il micronucleo, utilizzato per funzione genetica, cioè un
nucleo tipicamente diploide che si dividerà per ottenere due cellule a loro volta diploidi, mentre
l'altro nucleo contiene gli stessi i geni del micronucleo ed è un nucleo poliploide (ha un
numero superiore a 2 di cromosomi) e ha funzione trofica ovvero questo genoma viene
utilizzato per tutte le attività di tipo trascrizionale che portano alla produzione di proteine e
garantisce il metabolismo della cellula.
Normalmente i protozoi non si sono evoluti sviluppando meccanismo di patogenicità per animali,
piante o insetti, ma sono prevalentemente microrganismi in grado di vivere di vita libera. Sono
piuttosto irrilevanti le loro capacità di produzione enzimatica per la degradazione di materiale
organico per l'utilizzo ai fini nutritivi, solo occasionalmente si possono comportare da patogeni.
Quando un protozoo supera la barriera epiteliale ci si deve aspettare un'infiammazione, ci dobbiamo
aspettare che le cellule macrofagiche e quelle dendritiche cerchino di uccidere con la fagocitosi il
protozoo e di degradare le sue componenti in modo da presentare gli antigeni al sistema
immunitario. Ma la fagocitosi di questi microrganismi è molto complicata, infatti queste cellule
sono in grado di dare origine a una risposta sierologica con la presenza di anticorpi che però non
sono altamente protettivi da soli, ma è necessario avere anche una risposta cellulo-mediata per
poter uccidere questi microrganismi. Quindi i protozoi non hanno grandi fattori di virulenza. Nel
caso della Giardia lamblia (un flagellato), replicando, riveste la superficie dell'intestino, questo
comporta una difficoltà degli enterociti nell'intestino nell'assorbire acqua e nutrienti e quindi si
genera una condizione di malassorbimento, ossia una quantità d'acqua superiore raggiungerà il
colon che non riuscendo ad assorbirla tutta causerà diarrea. Oltre a questo c'è una condizione di
patologia dell'individuo parassitato che, nonostante una dieta ben equilibrata, non riesce ad
assorbire bene i nutrienti (condizione di malassorbimento con diarree croniche). Quello che accade
a livello intestinale può accadere anche a livello di altri distretti, come negli alveoli polmonari dove
un protozoo come Pneumocystis carinii và a rivestire gli alveoli stessi non permettendo lo scambio
di ossigeno, determinando ipossia che può portare anche alla morte. Anche nel caso del
Plasmodium falciparum l'effetto è meccanico, in questo caso il plasmodium è intracellulare e non
riveste degli epiteli ma è dentro i globuli rossi che diventano delle strutture molto più rigide di
quanto siano normalmente e vanno a ostruire i capillari. I protozoi inoltre producono enzimi litici e
possono dare luogo a una necrosi dei tessuti, una parte dei sintomi dipende dalla risposta
immunitaria anticorpale che spesso può essere schiftata verso la presenza di IgE e eosinofili
tanto che il quadro sierologico della formula leucocitaria spesso può essere confusa con una forma
di allergia un pò come succede con le infestazioni da parassiti.
TECNICHE DI GENETICA BATTERICA
I batteri sono in grado di trasferire da una cellula all'altra l'informazione genetica attraverso
trasformazione, coniugazione, trasduzione e anche conversione lisogenica, si tratta di tecniche di
genetica batterica molto utili nella trasformazione dei batteri insieme alle tecniche di biologia
molecolare. Dopo il trasferimento laterale dell'informazione genetica deve naturalmente avvenire
integrazione nel genoma del batterio perchè si abbia un ricombinante e questo può avvenire per
ricombinazione sito-specifica o omologa. La differenza importante tra questi meccanismi naturali
del trasferimento laterale dell'informazione genica è la dimensione del DNA che si può trasferire,
quindi si utilizzeranno tecniche diverse a seconda del tipo di DNA che si vuole analizzare. I batteri
trasferimento laterale dell’informazione
per adattarsi utilizzano il genetica e sono in grado di
modificare drasticamente l'aspetto genomico per adattarsi rapidamente a un nuovo ambiente e
per fare questo usano spesso l'informazione genetica di chi è già presente in questo ambiente, quindi
riescono ad acquisire informazione genetiche da chi è già adattato e da chi ha già quell'informazione
genetica per sopravvivere con successo in una determinata condizione.
La trasformazione:
Il DNA che viene acquisito dalla cellula trasformata è il così detto DNA nudo ossia un frammento
al di sotto di 10mila bp, derivato da una cellula morta. Ossia se si vuole fare una trasformazione in
laboratorio si deve partire dal DNA purificato, il DNA sarà poi introdotto nella cellula batterica,
e in essa eventualmente ricombinerà. In natura, per far si che questa trasformazione avvenga, i
frammenti devono essere sufficientemente lunghi ossia tra le 700 bp e 10000 bp (non meno di 500
perchè se no non può ricombinare, RecA non funziona se la sequenza di omologia non è abbastanza
lunga). In laboratorio noi trasformiamo essenzialmente cellule con DNA circolare perchè una
volta inseriti in una cellula ospite saranno in grado di replicare e mantenersi in essa, soprattutto se il
plasmide codifica per una resistenza antibiotica e noi manteniamo costante la presenza di
quell’antibiotico in modo da mantenere il plasmide all'interno della cellula (senza antibiotico-
resistenza la cellula non può replicare). Si possono trasferire anche frammenti lineari che
dovranno poi ricombinarsi per potersi replicare; non potendosi replicare autonomamente, come il
DNA circolare, se noi trasformiamo delle cellule con frammenti lineari, questi devono per forza
integrarsi nel genoma della cellula o per ricombinazione omologa RecA dipendente o per
ricombinazione sito-specifica (se il frammento lineare è un trasposone o possiede delle sequenze a
inserzione) o attraverso recombineering (ricombinazione omologa dei fagi). In natura perchè ci sia
trasformazione i batteri devono essere competenti, i batteri regolano la propria competenza, cioè
regolano la loro capacità di acquisire del DNA esogeno e questa competenza a volte è
costantemente assente, oppure può essere presente ma soltanto in alcune fasi della replicazione delle
cellule batteriche come in condizioni di stress dove la cellula riduce le sue "difese" all'ingresso di
DNA esogeno perchè potrebbero portare geni che portino il batterio a uscire da quella condizione di
stress. In laboratorio si utilizzano batteri che generalmente non sono mai competenti e vengono
indotte queste competenze, quindi la prima cosa che bisogna fare in laboratorio è rendere le cellule
batteriche competenti in modo che possano acquisire del DNA che è stato purificato in precedenza.
Si ipotizzi ora il caso in cui si debba trasferire un DNA circolare (un plasmide) che ha una sua
origine di replicazione e che una volta trasferito per trasformazione potrà replicare autonomamente
nella nuova cellula, quello che ci interessa è che questo DNA una volta trasferito nella cellula da
trasformare sia mantenuto stabilmente e per fare ciò dobbiamo avere sempre un sistema di
selezione. Per sapere quante cellule sono realmente trasformate dopo aver fatto il trasferimento
bisogna in qualche modo selezionare i ricombinanti eliminando quelle che non hanno ricevuto il
DNA o quelle in cui il DNA non si è integrato, l'unico modo per fare ciò è selezionare per
caratteri portati da quel DNA. Quindi in una trasformazione a prescindere da ciò che noi vogliamo
trasferire, quale che sia la funzione di interesse, quel DNA deve contemporaneamente trasferire un
antibiotico resistenza, cioè deve trasferire una funzione che si può rapidamente selezionare. Lo
schema di base è quello di preparare i batteri, renderli competenti (quindi in grado di accettare il
DNA esogeno), purificare del DNA esogeno ad esempio dei plasmidi che conterranno un marcatore
ad esempio il gene CAT, ossia un acetiltransferasi che blocca l'attività del Cloramfenicolo (un
antibiotico) e ne annulla l'effetto sui batteri che integrano il plasmide.
La trasformazione si può fare attraverso due modalità: la trasformazione chimica (o propriamente
detta) e l'elettrotrasformazione più comunemente detta elettroporazione. La differenza sta nella
modalità con la quale vengono preparate le cellule per diventare competenti e la modalità per il
trasferimento del DNA all'interno della cellula .
TRASFORMAZIONE CHIMICA: abbiamo un ceppo batterico che si vuole trasformare e abbiamo
il DNA già purificato che dobbiamo far passare dentro il batterio per trasformarlo. Per rendere i
batteri competenti, prelevo la mia colonia e semino in un brodo non selettivo, lascio crescere O/N in
agitazione a 37° quindi i batteri avranno raggiunto la fase stazionaria infatti il brodo sarà piuttosto
torbido, questo primo passaggio mi permette di ottenere tanti batteri. Devo diluire la brodocultura
(1:100) quindi ne prelevo una aliquota e la rilancio in una fiasca (di modo che lo scambio di
ossigeno sia massimale per far crescere più velocemente i batteri) in abbondante terreno fresco e li
faccio crescere in agitazione fino alla fase medio-logaritmica. A questo punto si prende l'intera
fiasca e la si mette in ghiaccio e acqua per far abbassare la temperatura il più rapidamente possibile,
porto così la coltura a 4° C che immediatamente blocca la replicazione. Una volta raffreddati
prelevo un' aliquota e la metto in un tubicino eppendorf, centrifugo sempre a 4° C in modo che i
batteri sedimentino andando a formare il pellet (centrifugando acceleriamo la sedimentazione dei
batteri). Elimino il sopranatante che sarà completamente limpido e prelevo il pellet al quale si
aggiunge una soluzione tampone di magnesio-cloruro (o calcio-cloruro) ghiacciata dimezzando il
volume della brodocoltura e rimetto subito in ghiaccio; la soluzione contiene cationi bivalenti che
servono ad aumentare la permeabilità di membrana. Dopo qualche minuto in ghiaccio "lavo" i
batteri ovvero centrifugo e risospendo il pellet più volte, generalmente tre volte, con concentrazioni
scalari di soluzione tampone per eliminare le tracce della brodocoltura e concentrare il più possibile
i batteri che a questo punto sono diventati competenti. A questo punto posso aggiungere il mio
DNA di interesse e li lascio insieme in ghiaccio per circa mezzora dopo di che tratto i miei batteri
facendoli passare velocemente dal ghiaccio a un bagnetto termostatato cioè passano velocemente da
circa -4° a 42° C, questo porta a una risposta allo stress da parte dei batteri che producono le
cosiddette heat-shock proteins quindi abbiamo l'induzione di una serie di fenomeni trascrizionali
che in qualche modo facilitano l'acquisizione del DNA esogeno; questo trattamento non deve
proseguire per più di 40 secondi perchè oltre inizia a uccidere i batteri. A questo punto tutti i batteri
sopravvissuti saranno abbastanza sofferenti quindi bisogna immediatamente dargli del terreno
fresco e ricco di zuccheri per ricostituire l'equilibrio energetico dei batteri in modo che si
riprendano, li lascio in agitazione a 37° C per un'ora per permettere la trascrizione dei geni che gli
servono per la selezione alla quale lo sottoporrò, dovranno produrre la proteina che gli garantirà
l'antibiotico-resistenza di modo che quando li seminerò su piastra con l'antibiotico adeguato potrò
selezionare quelli che hanno acquisito il frammento di DNA esogeno e che saranno quindi in grado
di sopravvivere in presenza di quell'antibiotico.
ELETTROPORAZIONE: Si tende a utilizzare una trasformazione chimica e non
un'elettroporazione quando per ragioni varie il DNA che si deve trasferire non raggiunge livelli di
purezza molto elevati, questo perchè una condizione necessaria per l'elettroporazione è che il DNA
sia molto pulito cioè deve essere risospeso in acqua bidistillata, in assenza di qualsiasi altra
molecola, in particolare in totale assenza di sali. L'assenza di sali nel DNA che deve subire un
elettroporazione è molto importante perchè meno sali ci sono e meno conduzione di corrente ci
sarà, di conseguenza saranno minori i danni subiti dalle cellule batteriche dovuti alla conduzione
elettrica. Per ottenere delle cellule batteriche estremamente pulite e prive di sali per prima cosa
dobbiamo fare in modo che questi batteri arrivino alla fase di preparazione con tutte le loro
competenze metaboliche e biochimiche espresse nei massimi livelli quelli che si raggiungono
durante la replicazione attiva, ossia durante la fase di crescita medio-logaritmica. Pertanto prelevo i
batteri da una singola colonia e li semino in brodo non selettivo e faccio crescere per una notte per
ottenere una coltura stazionaria il giorno dopo. Il giorno dopo rilancio i batteri, cioè vengono diluiti
1 a 100 in brodo fresco ricco di nutrienti e non selettivo che serve per far crescere il batterio il più
velocemente possibile, questa brodocoltura sarà in una fiasca piuttosto grande di modo che in
agitazione a 37° C questo volume sia molto ben ossigenato. Una volta che i batteri raggiungono la
fase medio-logaritmica (fase con un'assorbanza a 600 nm di 0.3-0.4) vanno immediatamente
raffreddati in agitazione a 4° C e ponendo la fiasca in ghiaccio, a questo punto, a differenza della
trasformazione chimica, i batteri vengono lavati in acqua bidistillata ghiacciata priva di sali
riducendo ogni volta di metà il volume della sospensione batterica (diluizioni seriali) fino ad
arrivare a un quattrocentesimo del volume iniziale. Dopo questi passaggi ottengo una crema di
batteri, la carica batterico è quindi elevatissima e questo è molto importante perchè possono essere
elettroporati solo piccoli volumi per volta. I batteri dunque sono pronti per essere elettroporati,
quindi si prende una piccola aliquota (circa 40 o 50 microlitri) e la si dispone in una cuvetta con le
pareti in acciaio che tengo nel ghiaccio, queste cuvette dovranno prendere contatto poi con gli
elettrodi dell'elettroporatore; vi aggiungo il DNA esogeno, e si fa modo che i batteri prendano
contatto con il DNA. Successivamente si inserisce la cuvetta nel macchinario già impostato in
precedenza che per una frazione di un millisecondo farà passare la corrente elettrica negli elettrodi,
la corrente elettrica da una depolarizzazione alla membrana batterica che facilita il passaggio del
DNA dentro la cellula batterica. L'elettroporazione è un sistema molto più efficiente della
trasformazione chimica, ossia la gran parte dei batteri riceverà al suo interno il DNA, ma allo stesso
tempo è anche molto distruttiva perchè la maggior parte dei batteri non sopravvive allo shock
elettrico. Subito dopo l'elettroporazione i batteri devono essere recuperati dalla cuvetta utilizzando
del terreno fresco preriscaldato a 37° C, nella cuvetta si addiziona un'aliquota di terreno, si fa il
modo di recuperare i batteri dalla parete della cuvetta e si trasferisce il tutto in un tubicino più
grande e poi si lascia in agitazione. In questo terreno viene addizionato glucosio in concentrazioni
superiori rispetto al terreno standard , più altre componenti che sono in grado di proteggere le
membrane, è un terreno modificato che si chiama SOC. In questa fase si evita che i batteri
continuino a morire e soprattutto si dà la possibilità ai batteri, non soltanto di ricostruire il
potenziale di membrana, ma anche di ricostruire tutti i profili trascrizionali inclusa la trascrizione di
quel gene che deve codificare per l'antibiotico resistente che servirà per la selezione, quindi inclusi
tutti i geni che abbiamo trasportato dentro la cellula batterica con il DNA esogeno. Dopo un'ora di
recupero, si recupera tutta la brodocolura e si divide in varie aliquote e le si seminano in piastre in
cui è presente l'antibiotico appropriato, a distanza di una notte si va a vedere se sono cresciuti dei
batteri, se sono cresciuti significa che hanno acquisito il DNA esogeno e che l'hanno trascritto, se
si trattava di frammenti lineari lo hanno integrato nel genoma, se si trattava di plasmidi hanno
replicato autonomamente nella cellula batterica. Successivamente si recuperano le singole colonie
e si seminano per isolamento e in seguito si effettua un'analisi di verifica che sia corretto l'assetto
genetico che noi volevamo ottenere.
La coniugazione:
Se si vogliono portare dentro frammenti di DNA più lunghi allora bisogna utilizzare un altro
sistema diverso da quello descritto fin ora, ossia la coniugazione, che deve avvenire in condizioni
di scarse sollecitazioni meccaniche per avere successo. La coniugazione si utilizza quindi quando
si vuole trasferire plasmidi molto grandi (ben oltre 10mila bp) che non sono trasferibili con la
trasformazione o con l'elettroporazione. Se vengono trasferiti dei plasmidi molto grandi tramite
trasformazione, il plasmide passa con bassa efficienza nella cellula ricevente, tende a ricombinare
ma per qualche motivo è fortemente instabile una volta passato per trasformazione, probabilmente
si frammenta. La coniugazione richiede un contatto tra la cellula che dona il DNA e la cellula
che lo riceve, nella coniugazione si trasferisce un plasmide coniugativo che è in grado di replicare
autonomamente ed è in grado di codificare per tutte le strutture e le proteine che costituiscono il
pilo coniugativo. Il plasmide coniugativo è anche in grado di codificare per il sistema di
replicazione particolare che si chiama cerchio rotante e che permette la contestuale replicazione
del DNA plasmidico e il passaggio di un singolo filamento della doppia elica (come nella
trasformazione) attraverso il pilo coniugativo nella cellula ricevente. Una volta trasferito questo
plasmide si ricircolarizza e viene fatto lo strand complementare in modo da ricostruirsi come
DNA bicatenario circolare, questo a sua volta è in grado di far coniugare il batterio che l'ha
ricevuto; questi batteri si chiamano transconiuganti. Un transoniugante quindi è la cellula
ricevente che ha ricevuto il plasmide, quindi la differenza più importante rispetto alla
trasformazione è che nella trasformazione bisogna purificare il DNA mentre nella coniugazione no,
ma in entrambi i casi passa ssDNA. Nella coniugazione quando verrà effettuata la selezione si
devono prendere in esame alcuni fattori, se si seleziona per l'antibiotico-resistenza il cui gene è nel
plasmide coniugativo, si uccideranno soltanto le cellule riceventi che non hanno ricevuto il
plasmide coniugativo. Ma per eliminare il donatore bisogna fare in modo che il ricevente sia
resistente anche per un altro antibiotico, e che questa resistenza magari sia sul suo cromosoma,
in modo tale che il transconiugante avrà la resistenza a due antibiotici: quella preesistente sul
cromosoma e la nuova acquisita attraverso la coniugazione. Quindi se si utilizza un doppio
antibiotico nella selezione si permette la replicazione del transconiugante, si elimina il donatore che
avrà la resistenza a un solo tipo di antibiotico e naturalmente si elimina anche il ricevente che non
avrà acquisito la resistenza (perchè non ha ricevuto il plasmide dal donatore).
Vi sono tre metodi generali di coniugazione: coniugazione in terreno liquido, su filtro, o
mediante replica-plate (ossia mediante piastre che vengono replicate con la coniugazione massiva
di più cellule batteriche tra loro). E' più facile ottenere una coniugazione su filtro per batteri che
normalmente vivono in biofilm, se invece sono batteri che vivono in ambienti acquatici allora non
avranno problemi a coniugare su terreno liquido. In tutti e tre i casi, si deve selezionare o
controselezionare in modo indipendente il donatore e il ricevente, quindi entrambi devono avere un
marker antibiotico. È essenziale che il donatore abbia nel plasmide coniugativo il marker
antibiotico, mentre il ricevente (che non ha plasmide coniugativo) avrà il marker antibiotico a
livello cromosomale. Quando si ottengono dei transconiuganti, vanno selezionati in presenza di
entrambi gli antibiotici. Quindi la piastra, dove si selezioneranno i batteri, dovrà contenere un
doppio antibiotico: uno in grado di contro selezionare il donatore (cioè l'antibiotico presente solo
nel ricevente) e l'altro in grado di selezionare per la presenza del plasmide coniugativo (il
transconiugante con entrambe le antibiotico-resistenze).
CONIUGAZIONE SU TERRENO LIQUIDO: Per realizzare la coniugazione bisogna scegliere le
due colonie batteriche su piastra (donatore e ricevente) che andranno seminate su due provette in un
brodo in un piccolo volume (2ml), ogni provetta conterrà l'antibiotico corrispondente a quel batterio
quindi nella brodocoltura del donatore ci sarà l'antibiotico nel donatore per la cui resistenza sarà
contenuto un gene in un plasmide coniugativo, nell'altra brodocultura dove c'è il ricevente si avrà un
antibiotico il cui gene resistente si trova nel cromosoma della cellula ricevente; si lasciano crescere
O/N a 37° C. Il giorno dopo entrambe le brodocolture saranno torbide e i batteri avranno raggiunto
la fase stazionaria, le rilancio entrambe diluendole parecchio (1:20) in un brodo fresco privo di
antibiotico e le faccio crescere in agitazione a 37° C portando i batteri alla fase medio-logaritmica
di crescita quindi alla fase di massima fitness metabolica e biosintetica, che visivamente
corrisponderà a un leggero intorbidimento delle brodocolture. A questo punto la brodocoltura del
donatore viene tolta dall'incubatore in agitazione e viene lasciata per una mezzora in condizioni
statiche in modo che il donatore formi i pili coniugativi che stava facendo anche prima ma
venivano costantemente distrutti dall'agitazione, mentre il ricevente resta sullo shaker per quella
mezzora. Ora si mettono insieme il donatore e il ricevente, sempre senza nessuno dei due
antibiotici, esattamente in rapporto 1:1 e si lasciano coniugare in condizioni statiche a 37° C per
almeno 8 ore, e naturalmente oltre a coniugare, replicheranno. Il giorno dopo si semina un'aliquota
con una spatola sterile in un terreno di agar con entrambi gli antibiotici, le cellula che
sopravvivono sono necessariamente transconiuganti, cioè i riceventi perchè presentano entrambe
le antibiotico-resistenze.
CONIUGAZIONE SU FILTRO: La scelta di effettuare la coniugazione su brodo o su substrato
solido dipende molto da caratteristiche specifiche dei batteri, ci sono batteri che coniugano più
facilmente in ambiente liquido e altri invece che hanno necessità di concentrato solido. La
coniugazione su filtro è molto simile nelle prime fasi alla coniugazione su brodo, si selezionano
donatore e ricevente, anche in questo caso il donatore ha il plasmide coniugativo con antibiotico
resistenza mentre nel ricevente l'antibiotico resistenza è codificata da un gene sul cromosoma.
Vengono fatte crescere indipendentemente O/N in agitazione le due brodocolture, ciascuna con
l'antibiotico appropriato, in modo che il giorno dopo avranno raggiunto la fase stazionaria e potrò
rilanciarle entrambe, in realtà però tratto in maniera diversa donatore e ricevente. Rilancio il
donatore in terreno fresco privo di antibiotico e lo metto in agitazione di modo che raggiunga in
breve tempo la fase medio-logaritmica, il ricevente è necessario che continui a crescere e che
raggiunga di nuovo la fase stazionaria perchè in condizioni di stress sarà più disponibile ad
accettare DNA esogeno mediante coniugazione. Il ricevente, non avendolo rilanciato, possiede
ancora l'antibiotico nella sua brodocoltura, per cui lo centrifugo e lo risospendo in brodo fresco,
eseguo vari lavaggi per assicurarmi che non ci sia più traccia dell'antibiotico. Successivamente il
donatore e il ricevente vengono miscelati in rapporto 1:1, poi vengono centrifugati insieme per
ottenere un pellet concentrato, poi risospendo questo mix di batteri in un volume piuttosto piccolo
in modo tale che sia più facile appoggiarli tramite una goccia sul filtro che si dispone sulla piastra
(in questo caso una piastra di terreno agar senza antibiotico). Il filtro presenta dei pori perchè deve
permettere il passaggio di nutrienti dalla piastra (questo filtro è imbevuto di tutto ciò che serve ai
batteri per crescere) e sopra il filtro viene adagiata la goccia di concentrato batterico, tutto questo
sistema viene lasciato a riposo per almeno 18 ore a 37° C. I batteri si replicano e contestualmente
possono coniugare, quindi la mattina dopo il filtro che avrà il suo strato superiore ricoperto da una
patina, una crema di batteri, lo si recupera dalla piastra e lo si posiziona in un tubo con una
soluzione salina tamponata (PBS) e gli si da una vortexata in modo tale da togliere dal filtro tutti i
batteri recuperando così i batteri che saranno di tre tipologie: i batteri donatori resistenti a un
antibiotico (gene contenuto sul plasmide), i batteri riceventi resistenti all'altro antibiotico (gene
cromosomale) e infine i transconiuganti resistenti a entrambi gli antibiotici (entrambi i geni).
Successivamente si recuperano le aliquote e si seminano in una piastra che contiene entrambi gli
antibiotici, si lascia replicare per una notte e si verifica se ci siano dei transconiuganti tra i batteri
sopravvissuti.
CONIUGAZIONE MEDIANTE REPLICA-PLATE: Qualche volta si ha la necessità di trasferire
un intero cromosoma batterico in altre cellule per costruire una genoteca, ossia una collezione di
tutti i frammenti genici che nel loro insieme costituiscono un intero genoma batterico. Per poter
avere una raccolta che nell'insieme costituisca un cromosoma batterico, si effettua una digestione
del cromosoma batterico, spesso utilizzando gli enzimi di restrizione che permettono di eseguire
una digestione parziale generando dei frammenti random abbastanza ampi (di dimensioni comprese
tra i 20mila e i 50 mila), questo si ottiene facendo agire l'endonucleasi per pochi secondi per poi
portare la temperatura molto in alto in modo che non funzioni più. Una volta che ho i frammenti mi
serve identificare i diversi geni e mi serve quindi trasferirli da batterio a batterio, ma essendo
frammenti grandi devo trasferirli per coniugazione, devo quindi inserire i frammenti all'interno di
plasmidi coniugativi tramite shot-gun cloning (meccanismo molto semplice che prevede il taglio in
un solo punto dei plasmidi con lo stesso enzima di restrizione con cui ho tagliato i frammenti che
quindi per complementarietà si legheranno sui plasmidi). La genoteca non è altro che la
rappresentazione dell'intero genoma, cioè la collezione di plasmidi coniugativi identici tra loro
salvo che per l'inserto che ogni volta corrisponde a un pezzo diverso del cromosoma batterico.
Queste collezioni possono essere utilizzate o per identificare e studiare i geni contenutevi, o per
complementare mutazioni genetiche in modo da individuare il gene responsabile ad esempio di
un'attività enzimatica di interesse facendo coniugazioni seriali con i plasmidi della collezione su un
fenotipo mutante che ha perso quella caratteristica attività, il plasmidio che ricomplementerà tale
attività sarà quello contenente la sequenza genica che mi interessava conoscere. Una delle possibili
analisi è un'analisi di tipo funzionale, cioè si può identificare eventualmente in questi batteri se
sono contenute delle specifiche informazioni genetiche verificando se questi batteri hanno acquisito
dei nuovi fenotipi che necessariamente sono da ricondursi ai geni presenti sul frammento clonato.
Queste genoteche possono essere ottenute tramite esperimenti di coniugazione che chiamiamo
coniugazione mediante replica-plate. In questo caso il batterio donatore è il batterio che ospita la
genoteca, quindi saranno tutto quell'insieme di batteri che nel loro complesso costituiscono la
genoteca e hanno al loro interno un plasmide coniugativo uguale in tutti casi ma che differisce per
il frammento che è clonato al loro interno. Il batterio ricevente sarà un batterio mutante che serve
per identificare immediatamente un carattere presente e codificato dal batterio che si sta studiando,
e che sarà presente fisicamente come tratto genico in uno dei tanti frammenti della genoteca.
Il nostro primo scopo è quello di identificare, in questa genoteca, qual è il frammento di DNA che è
in grado di ricomplementare una mutazione, ossia restituire una funzione genica a un batterio che
l'ha persa, cioè un mutante. Si prenda in esempio l'ipotetico studio di analisi genetica di un batterio
a cui siamo interessati in particolare per la sua capacità di sintesi di un suo amminoacido ad
esempio il triptofano. Se siamo interessati a voler scoprire quali sono i geni che permettono la
sintesi di questo amminoacido, per prima cosa bisogna avere un mutante (quindi coltivato in
presenza di un mutagene) e si deve isolare uno specifico mutante auxotrofo per il triptofano, cioè
che non è in grado di crescere in assenza di questo amminoacido. Non sapendo quale sia stata la
mutazione e su quale gene sia avvenuta, si cerca di mappare la mutazione, cercando di capire
quali sono i geni responsabili della sintesi dell'amminoacido. In uno dei frammenti custoditi nella
genoteca si ha senza dubbio la sequenza di DNA wild type che codifica per il gene selvatico che
noi abbiamo mutagenizzato se la genoteca è stata costruita bene, sarà altamente rappresentativa,
si dà quindi per scontato che tutto il genoma sia rappresentato e ci sarà anche il gene che nel
batterio auxotrofo è alterato. Bisogna organizzare una ricomplementazione, ossia bisogna fare in
modo che ci sia almeno un caso di coniugazione tra un batterio donatore, che contiene nel plasmide
coniugativo il frammento selvatico (quello che codifica per il gene responsabile della sintesi
dell'amminoacido), e un batterio ricevente auxotrofo in modo che il transconiugante che si
originerà permetterà di trasformare il batterio da auxotrofo a prototrofo (cioè gli restituirà la
capacità di crescere in assenza di triptofano).
La genoteca di per sè diventa un sistema di donatori, ciascuno dei batteri che compongono questa
genoteca è uno dei tanti donatori della coniugazione. Noi andiamo a recuperare dal congelatore tutti
quei batteri che costituiscono la genoteca e dopo aver isolato le singole colonie si toccherà con
un'asta sterile ogni colonia facendo una croce sulla piastra, dietro la piastra vi è una griglia
numerata e a ciascuna croce corrisponde un numero identificativo della colonia e le facciamo
crescere over night. Ne mettiamo una cinquantina per piastra quindi abbiamo trasferito la collezione
di batteri in 5-6 piastre (saranno circa 200 colonie). Il batterio ricevente che è auxotrofo per
l'amminoacido viene messo a crescere in terreno liquido ricco (che contiene anche l'amminoacido)
quindi cresce tranquillamente fino alla fase stazionaria. Ciascuna delle 6 piastre dove sono presenti i
batteri donatori vengono replicate, cioè costituisco una cosiddetta master-plate cioè una piastra
madre da cui si generano piastre figlie, per fare questo viene utilizzato un cilindro di legno o di
acciaio sopra il quale viene disposto e teso del velluto nero, si poggia ogni piastra sul velluto dopo
di che si prende una piastra sterile e pulita e vi si adagia il velluto che stamperà le croci di batteri,
clonando in questo modo le piastre, conservo la master-plate perchè mi servirà più tardi.
Nuovamente le piastre appena ottenute vengono prese e utilizzate come master-plate a loro volta,
mentre nel frattempo il ricevente viene seminato, a tutta la piastra, su un altra piastra di terreno
agarizzato con terreno minimo (terreno non contenente triptofano dove il ricevente non può
crescere) e la facciamo asciugare bene. Una volta asciutta si rovescia la piastra che li contiene sullo
stampo in velluto in modo tale da mettere a contatto l'intera popolazione di riceventi con le
diverse croci dei batteri donatori, ripeto per ogni piastra. Dopo una notte questi batteri possono
coniugare ma di questi transconiugati cresceranno solo quelli che hanno acquisito la capacità di
sintetizzare autonomamente il triptofano, in questa piastra è presente anche un antibiotico resistenza
in grado di controselezionare i donatori, per cui quello che osserverò sarà un'unica croce. Siccome
questo transconiugante corrisponde a delle coordinate specifiche sulla piastra torno al donatore
originale che riconosco grazie al sistema di griglie che ho usato nelle repliche, lavoro sul donatore
che ha subito meno passaggi per fare la purificazione del plasmide, l'analisi del frammento clonato
e così via. In questo modo si mappa in modo rapido in 2-3 giorni un gene presente in un genoma
batterico poco caratterizzato, e ci permette quindi di mappare su uno specifico frammento di DNA il
locus genico che era stato mutagenizzato.
Analogamente a questo sistema si può complementare una mutazione per un gene di virulenza, ad
esempio si ha una genoteca che rappresenta interamente il genoma di un batterio patogeno e si
vuole definire dov'è localizzata la mutazione che ad esempio determina un'attenuazione della
virulenza. Se il ceppo preso in esame è un ceppo mutato attenuato, quando viene somministrato al
topo questo non muore e non manifesta alcuni tratti clinici comuni che si stanno analizzando. Il
nostro scopo è verificare se la dose letale minima di questo batterio è aumentata fortemente
oppure no, ossia se il ceppo è attenuato oppure no. Se si inocula nei topi un pool di batteri (circa
200), dopo averli fatti coniugare mediante replica-plate (facendo la classica doppia selezione:
utilizzando l'antibiotico nel ricevente e un antibiotico diverso nel donatore) ci si aspetta che uno dei
transconiuganti abbia acquisito il gene responsabile della virulenza, quel transconiugante causerà la
morte del topo, perchè è stato ricomplementato. Quando si reisolano i batteri dall'animale morto
seminandoli, si vedrà che il batterio sarà sicuramente un ricevente quindi del ceppo attenuato ma
dentro avrà un plasmide coniugativo che conterrà un frammento clonato al cui interno si troverà il
gene che lo ha ricomplementato e rivirulentato, quindi potrò lavorare su quelle 20 mila bp,
sequenziarlo e verificare che tipo di geni ci sono dentro per poi eventualmente mapparli.
La trasduzione generalizzata:
Il DNA da un donatore ad un ricevente viene veicolato da un fago che si limita ad infilare dentro il
ricevente il genoma del donatore (i virus animali invece entrano all'inerno della cellula ancora con il
capside e poi espongono il genoma una volta dentro). La trasduzione avviene da parte di virus sia
temperati che litici, la differenza tra fago temperato e non temperato è che quest'ultimo dà sempre
luogo a una lisi batterica, il fago temperato invece può alternare momenti di lisi a momenti di
lisogenia in quanto a seguito della introduzione del suo genoma nella cellula batterica può vedere il
suo genoma integrato nel genoma batterico (condizione di lisogenia). Nella maggior parte dei casi
per la trasduzione si usano fagi temperati, quindi bisogna stare attenti al fatto che questo fago non
produca soltanto lisi, ma darà anche condizioni di lisogenia. L'unica cosa che riconoscono questi
fagi nel momento in cui si formano è la molecola al loro interno che deve essere un DNA a doppia
elica, lineare, e nel caso del virus lamda di dimensioni comprese intorno alle 40 mila bp. Se queste
dimensioni sono più lunghe (o troppo piccole) i fagi non riescono a costruirsi intorno al genoma,
questa incapacità di distinguere tra il proprio genoma e qualsiasi altro frammento di DNA delle
stesse dimensioni, causa che ogni volta che abbiamo un ciclo litico da parte di un fago, per ogni
milione di particelle virali prodotte ce ne sarà una contenete genoma batterico (la progenie virale si
produce perchè il DNA lineare è entrato nel genoma fagico, cirolarizza, replica, e codifica per tutte
le proteine che devono autoassemblarsi attorno al genoma virale, e poi si lisa il batterio). Alla fine
dell'attività litica viene degradato anche il genoma batterico, quindi nella cellula si avranno
tante molecole di DNA virale che si sono prodotte, ma anche una mix di genoma batterico che è
strato degradato e tagliato in tanti pezzi di dimensioni diverse, e tra tutte questi frammenti ci
saranno anche i frammenti di DNA dalle dimensioni del genoma virale. Mentre le proteine virali
che sono state sintetizzate dal batterio si autoassemblano attorno ai genomi virali, ogni tanto (in
genere la frequenza è di 1x10^6) si autoassemblano attorno a frammenti di DNA batterico delle
stesse dimensioni. I virus litici riproducono la progenie virale introducendo il genoma in un nuovo
va’
batterio, invece una particella virale con DNA batterico ad inoculare dentro una cellula batterica
questo frammento e questo fago prende il nome di fago difettivo. Il fago difettivo è un fago
trasportatore che permette la trasduzione, quindi porta dentro la cellula batterica un frammento
lineare di DNA che se ha omologia con il genoma del batterio ricevente ricombinerà. Quando noi
utilizzeremo il nostro ricevente per trasdurlo e portare dentro la cellula batterica un frammento di
DNA, nella maggior parte dei casi, questo ricevente sarà esposto a fagi litici; quindi noi lo stesso
ricevente lo stiamo esponendo a una lisi indiscriminata da parte dei genomi wild-type e una volta
su un milione si prendono il genoma del donatore mentre gli altri riceventi, la maggior parte, invece
possono essere lisati o lisogenizzati. Quindi nel nostro esperimento dovremmo selezionare tra
trasduttanti (cioè i batteri riceventi che hanno ricevuto il genoma del donatore che si è integrato e ha
portato un carattere) i batteri lisati (che verranno lisati dal virus) e i batteri lisogenizzati (il genoma
virale và ad integrarsi nel genoma batterico), gli ultimi due naturalmente non ci interessano.
PREPARAZIONE DEL LISATO: Si ponga il caso che si voglia trasferire un locus genico, una
mutazione, di un ceppo di salmonella che ha determinato l'attenuazione di questo batterio in un
altro ceppo di salmonella, ad esempio una possibile mutazione può essere la sostituzione di un gene
di virulenza con un gene per antibiotico resistenza per creare un vaccino. Per trasferire questa
da un batterio all’altro
mutazione per prima cosa bisogna costruire un lisato, ovvero facciamo in
modo che il batterio donatore venga lisato da un virus fagico, nel caso della salmonella si usa il
fago P22 . Per fare questo si mettono a crescere batteri a partire da una colonia (donatore) e si
semina in brodo coltura in agitazione, il giorno dopo si rilanciano 500 microL di questi batteri in
fase stazionaria in 2ml di brodo P22, cioè facciamo una diluizione 1:5, questo brodo è un LB ricco
nel quale sono presenti anche dei fagi. In questo nuovo brodo i batteri si troveranno mescolati a
virus, quindi i batteri inizieranno a replicare ma allo stesso tempo vengono infettati e dunque anche
i fagi si riproducono, si costruirà il lisato batterico. Nell'arco di circa 8 ore anche i virus
diventeranno molto numerosi, quindi la carica virale nel brodo sarà elevatissima e a questo punto si
formerà una sorta di pellicola, di film costituita da parti di batteri morti. Ma ci saranno anche batteri
vivi e virus litici (per la maggior parte) tra le particelle virali però ci sarà una piccolissima porzione
di virus difettivi (1 su un milione) che trasferiranno nel batterio ricevente il loro genoma batterico.
Di questi virus difettivi, a loro volta, solo 1 su 100 conterrà il gene batterico che ci interessa (il gene
mutato di attenuazione per salmonella), questo perchè il genoma completo del batterio donatore ha
una dimensione di circa 4.200.000 quindi è grande 10 volte il frammento di DNA che è contenuto
nei fagi (circa 42000 bp) quindi virtualmente perchè io possa avere una particella virale difettiva col
frammento di interesse avendo 100 particelle virali, 1 dovrebbe portare il frammento di interesse,
avendone 100000, lo stesso frammento di interesse sarà presente un migliaio di volte. Dopo aver
lasciato crescere la nostra brodocoltura con batteri morti, batteri vivi, fagi litici e fagi difettivi,
dobbiamo recuperare i virus difettivi per poterli mescolare con il batterio ricevente, quindi
centrifughiamo e otteniamo un pellet costituito da batteri mentre i virus saranno nel sopranatante
con una piccola percentuale di batteri. Per questo si aggiunge al sopranatante (1,2 mL) del
cloroformio (150 microL) che agendo sulle membrane fosfolipidiche uccide rapidamente i batteri
mentre invece è poco attivo sul capside proteico. Si fanno 5 o 6 inversioni e si crea un'emulsione
che va ricentrifugata nuovamente per separare bene le due fasi: la fase acquosa con i virus e la fase
organica con il cloroformio e i batteri morti (è importante che non ci siano più tracce di cloroformio
se no durante la trasduzione andrebbe a uccidere i batteri riceventi).
TITOLAZIONE DEI FAGI: A questo punto abbiamo il sopranatante con solo virus che andrà
titolato, cioè si calcola il valore della carica virale ovvero le unità formanti placa, tramite la
tecnica delle gocce su prato. Per poterlo titolare si eseguono delle diluizioni seriali con 10
microlitri in 990 microL di acqua per varie volte (1:100 seguito da varie 1:10 o viceversa), si
semina a tutta piastra il batterio ricevente sensibile al fago, si usano piastre verdi dove si sono
disegnati degli spicchi con il pennarello sulla plastica e nel quale faccio degli spots (delle goccie da
10 microL) uno per ciascuna diluizione. Il giorno dopo si osserveranno delle placche di lisi, nella
sospensione meno diluita l'intero spots sarà totalmente lisato perchè ci saranno tantissime particelle
virali poi via via si arriverà a contare le plache di lisi distinte man mano che aumenta la diluizione.
Per titolare è sufficiente contare le plache formatesi in ogni goccia e, a seconda della diluizione si
calcolano le unità formanti placa con cui si espime la carica virale (moltiplico il numero di UFP per
il fattore di diluizione, in questo caso #UFP*(10^6)*10microL, ma si esprime in UFP/ml, quindi
#UFP*(10^6)*(10^2), allora #UFP*(10^8)). Le piastre verdi sono prodotte con terreno ricco simile
all'LB, addizionato con glucosio, non tamponato e sono presenti anche indicatori di pH che
fanno cambiare il colore al terreno non appena si avrà un abbassamento del pH. Quando i batteri
muoiono si avrà un colore blu scuro poiché acidificano il terreno (l'alta concentrazione di
glucosio spinge i batteri a fermentare anche in presenza di ossigeno, effetto crab-tree), quindi si
noteranno le placche di lisi che saranno blu perchè la lisi dei batteri libera acidi organici (lattato)
che acidificano e questo viene rilevato dall'indicatore di pH poiché il terreno non è tamponato.
TRASFERIMENTO DEI FRAMMENTI DI DNA: faccio un mix di batteri e virus in rapporto
1:1, fondamentale perché i batteri trasdotti non vengano lisati da virus in eccesso; ad esempio 200
microL di brodocoltura del ricevente con 1-2 microL del lisato fagico, quindi il volume è in
rapporto 100:1 perchè i virus hanno una carica 100 volte maggiore rispetto ai batteri (10^9 batteri
/ml rispetto a 10^11 virus/ml) quindi di fatto li stiamo mettendo in rapporto 1:1 (particella virale su
cellula batterica). Da un punto di vista statistico in questo modo per ciascun batterio ci sarà un solo
virus; se un batterio viene legato da un virus difettivo, eventualmente si integra e si ha la
trasduzione, ma se poi arriva un altro virus litico nel batterio trasdotto questo morirà quindi siccome
a me interessano proprio i batteri trasdotti devo ridurre al massimo la possibilità che un batterio
venga in contatto con più di un virus, per questo è così importante che siano in rapporto 1:1. Per lo
stesso motivo li tengo insieme per non più di 45 minuti perchè dopo questo lasso di tempo i virus
litici inizieranno a moltiplicarsi molto più in fretta dei batteri e quindi si perderà il rapporto 1:1;
d'altra parte non possiamo incubarli per meno di mezzora perchè si deve dare ai batteri che hanno
integrato il frammento di DNA del donatore contente il gene per l'antibiotico-resistenza, il tempo di
sintetizzare le proteine che esplicano tale funzione. Quindi si pone il mix a 37° C e faccio incubare
per mezzora durante la quale i virus faranno lisi o se si tratta di virus difettivi porteranno dentro il
frammento di genoma batterico che eventualmente ricombinerà. Dopo di che si andrà a seminare
100microL su una piastra di LB con l'antibiotico opportuno che è il marker antibiotico che noi
avevamo inserito nel donatore e che si sarà trasferito dal donatore al ricevente.
ISOLAMENTO DEI TRASDUTTANTI: Si isolano le colonie (sono sempre costituite dai
traduttanti) e le semino sempre su piastre MEBU in modo che vengano eliminati tutti i fagi che
altrimenti li liserebbero o li renderebbero lisogeni, uso questo tipo di piastra perchè se ci sono dei
virus lo scopro subito in quanto le colonie appariranno blu (lisi) e frastagliate.
COTRASDUZIONE: In realtà, con la trasduzione, non trasferiamo un solo gene ma nello stesso
frammento (di 42000 bp) cotrasduciamo più geni che sono fisicamente associati, questo viene
utilizzato per mappare i geni e quindi per capire quanto sono vicini, infatti più la frequenza di
cotrasduzione tra due geni è alta e più quei geni saranno vicini all'interno del genoma batterico.
Questo può essere sfruttato anche per selezionare i trasduttanti perchè se io metto immediatamente a
monte o a valle del mio gene di interesse, un gene per l'antibiotico-resistenza, quando poi vado a
selezionare la colonia che è diventata antibiotico resistente, so che nel 99% dei casi quella colonia
conterrà anche il mio gene di interesse perchè l'avrà cotrasdotto; mi permette inoltre di scoprire qual
è la sequenza dei geni, cioè come sono disposti all'interno del genoma batterico.
Si prenda in esempio come i fattori genetici possono essere cotrasdotti durante la trasduzione; nel
caso specifico la trasduzione ci serve per trasferire mutazioni nella Salmonella enterica, tramite un
frammento di DNA lungo circa 45mila bp, che si trova sul genoma di Salmonella e contiene i geni
di virulenza: l'isola di patogenicità 1 che è molto importante per i sistemi di secrezione di tipo terzo
che permettono al batterio di colonizzare l'intestino. Si immagini di avere un mutante, il donatore,
nel quale è stato parzialmente eliminato il gene sip B, perché interrotto da una cassetta genica
codificante per la resistenza al cloramfenicolo (antibiotico batteriostatico), mentre il ricevente è un
batterio resistente per la kanamicina (antibiotico battericida) perchè contiene una cassetta di
kanamicina che è stata inserita a livello del gene invH che è molto importante per l'invasione delle
cellule epiteliali. La distanza tra invH e sipB è intorno alle 20000 bp questo vuol dire che l'intero
frammento può essere contenuto in una particella fagica difettiva, potremmo usare il P22 che porta
frammenti di DNA intorno alle 44mila bp. Immaginiamo di aver fatto crescere nel donatore
cloramfenicolo resistente i fagi P22, di tutti i fagi ottenuti, uno su un milione conterrà frammenti
originati dal donatore, mentre i restanti fagi (la maggior parte) saranno virus litici. Non tutti i
frammenti random che si possono racchiudere nelle particelle difettive conterranno, relativamente a
questa porzione di DNA del donatore, il gene invH wild-type che è quello che ci interessa trasferire
nel ricevente. Se il fago difettivo, in modo del tutto random, racchiude un frammento di 44mila bp
che contiene sia il gene sipB mutato con la cassetta di cloramfenicolo che il gene invH selvatico,
questo una volta introdotto dal fago dentro il batterio per ricombinazione omologa può integrarsi nel
genoma del ricevente. Dopo la ricombinazione si avrà che il gene invH, che era mutato nel
ricevente, viene sostituito dal gene selvatico intatto proveniente dal frammento del donatore,
mentre in gene sipB, che era selvatico e intatto nel ricevente, viene sostituito dal locus mutato che
era presente nel donatore, abbiamo cotrasdotto due geni. Dopo la trasduzione si seminano i batteri
in presenza di cloramfenicolo e verranno selezionati quelli che hanno acquisito la mutazione sipB
con la cloramfenicolo-resistenza ma che per cotrasduzione hanno perso la kanamicino-resistenza
acquisendo il gene invH selvatico, il gene che guida nella selezione è sempre qualcosa che può
essere selezionato in piastra (cloramfenicolo-resistenza).
Per capire dopo un evento di questo tipo, se invH e sipB sono vicini tra loro nel genoma, una volta
ottenute le colonie cloramfenicolo-resistenti, le si analizza per capire se hanno mantenuto o meno
la kanamicino-resistenza. Se il batterio ricevente mantiene in tutte le colonie la kanamicino-
resistenza significa che invH e sipB sono distanti tra loro più di 44mila bp, non ci sarà la possibilità
di cotrasdurre i due geni; se invece nel 100% delle colonie che sono diventate cloramfenicolo-
resistenti sono diventate allo stesso tempo kanamicino-sensibili, cioè hanno perso la resistenza alla
kanamicina, allora i due loci sono estremamente vicini e la cotrasduzione avverrà sempre; questo ci
può servire per fare una mappatura genica.
La conversione lisogenica (traduzione specializzata):
A volte per trasferire il DNA si usano batteri lisogeni, ovvero batteri che sono stati infettati da un
virus temperato (alternanza di ciclo litico e ciclo lisogeno) il cui genoma è stato integrato nel
genoma batterico. Una proprietà dei batteri lisogeni è che diventano immuni allo stesso virus o a
virus simili, una volta che un virus ha integrato il proprio genoma nel batterio, questo diventa
immune ad altri virus esogeni perchè la parete batterica viene modificata dal genoma virale. Quindi
un lisogeno è resistente alla lisi da parte di altri virus, può lisare solo se il virus temperato induce
ciclo litico riattivandosi ma non pò lisare per l'ingresso di altri virus esogeni.
COSTRUZIONE DI UN BATTERIO LISOGENO: Un batterio lisogeno si costruisce ponendo nella
cellula batterica un tratto di DNA batterico sostituendolo all'interno del genoma fagico; il
frammento batterico che inseriamo deve avere la stessa lunghezza del frammento di genoma fagico
che eliminiamo, che saranno per lo più geni accessori non indispensabili al virus. Quindi si ottiene
un genoma fagico ricombinante, lo si introduce nella cellula batterica e si fa in modo che si produca
una progenie fagica in modo che ci siano più virus rispetto ai batteri e che continuamente facciano
lisare più batteri possibile, quindi mi aspetto che i pochi batteri che sopravviveranno non sarà
perchè non sono venuti a contatto coi virus ma invece è probabile che siano diventati lisogeni,
ovvero resistenti ai virus. Si preleva dunque un'aliquota della brodocoltura, la si diluisce e la si
semina a tutta piasta in modo da ottenere dopo incubazione circa una quarantina di colonie separate.
IDENTIFICAZIONE DEI BATTERI LISOGENI: Per verificare quali colonie si sono sviluppate a
partire da batteri lisogeni, faccio il test della lisogenia, quindi con un'ansa sterile depongo una
strisciata di sospensione virale sulla piastra MEBU, si fa asciugare e successivamente semino
sempre con un'ansa ma in senso perpendicolare le colonie batteriche che voglio saggiare e formo
delle croci (tecnica cross stripes). Il giorno dopo se il batterio è resistente al virus e quindi è
lisogeno, si avrà una crescita costante lungo tutta la strisciata di virus (in entrambe le metà della
piastra), mentre se è sensibile, oltre la metà della piastra si avrà una crescita stentata di colorazione
bluastra poiché si avranno batteri lisati che acidificano il terreno.
La ricombinazione sito-specifica:
In natura la ricombinazione sito-specifica avviene grazie a ricombinazioni di sequenze brevi che
vengono riconosciute grazie enzimi come trasposasi, invertasi e integrasi, quindi gli utilizzatori di
ricombinazione sito-specifica sono sicuramente gli elementi trasponibili ma anche i fagi. I fagi
temperati infatti possono dare luogo a un ciclo lisogeno, il DNA si integra per ricombinazione dei
siti specifici riconosciuti dall'enzima integrasi: attP e attB, presenti rispettivamente sul fago e sul
batterio, che formeranno attL e attR che a loro volta verranno nuovamente ricombinate quando il
profago tornerà ad essere genoma fagico libero per azione dell'enzima excisionasi che ha
specificificità per i siti attL e attR.
RICOMPLEMENTAZIONE DI UNA DELEZIONE GENICA: In genetica batterica sfruttiamo
questo meccanismo per associare mutazioni (create da noi) a dei fenotipi e successivamente per
ricomplementare queste funzioni quindi se si pensa che un certo gene sia responsabile di un
fenotipo di interesse in un primo momento lo eliminiamo per dimostrare che senza di esso si perde
il fenotipo di interesse, successivamente lo ricomplementiamo cioè lo reintegriamo nel genoma
batterico ad esempio portando il gene intatto dentro il batterio grazie a un plasmide. Tuttavia
questo sistema è stato soppiantato perché oltre a essere costoso c'è sempre il pericolo di una non
stabilità del plasmide all'interno della cellula batterico e soprattutto il numero di copie del plasmide
sarà superiore al numero di copie del cromosoma quindi la cellula non permetterà la
ricomplementazione perchè la regolazione dell'espressione genica sarà meno permissiva rispetto ai
cromosomi che sono in poche copie. Si può decidere, per sopperire a questo problema, di integrare
il gene di interesse nel cromosoma utilizzando i plasmidi suicidi o plasmidi a replicazione
condizionata che si replicano ad opera di una proteina replicasi che è stata mutata per venire
denaturata a temperature relativamente basse (40° C), perciò si parla di replicazione
condizionata perchè il plasmide replica solo a temperature basse mentre se la temperatura si alza il
batterio continuerà a replicare mentre il plasmide andrà incontro a segregazione fino a scomparire.
Il plasmide porta al suo interno oltre al gene di interesse anche un gene per l'antibiotico-
resistenza, i batteri acquisiscono questa resistenza a 30° C perchè il plasmide replica, ma portando
la temperatura a 40° C il plasmide smette di replicare quindi l'antibiotico-resistenza non funziona
più, così si selezionano i pochi batteri che hanno integrato il frammento genico perchè saranno gli
unici batteri ad avere la resistenza a quello specifico antibiotico anche se il plasmide non replica. In
questo modo abbiamo il gene che è in grado di ricomplementare in singola copia, quindi più
stabile e perciò sarà impossibile perderlo e la sua regolazione sarà più controllata.
Possiamo ottenere ricombinazioni sito specifiche in tempi più rapidi e quindi a minor costi grazie a
plasmidi ibridi tra plasmide e fago, che hanno: un'origine di replicazione temperatura sensibile
(come un plasmide suicida), un'antibiotico-resistenza, un gene di interesse e un sito attP col gene
l’ibrido si “coltiva” all’interno del batterio
per l'integrasi. Una volta costruito lo a 30° C in
presenza dell'antibiotico quindi lo utilizziamo come plasmide, una volta purificato il DNA del
plasmide lo possiamo usare per la traformazione, una volta dentro il batterio si avrà un'integrazione
l’integrasi
come nel caso di un fago che diventa profago; quindi si permette che di ricombinare in
modo sito-specifico l'attP del plasmide con l'attB batterio, questo da una garanzia di equilibrio.
Vi sono anche sistemi che permettono di inserire in questi vettori ibridi già pronti un frammento di
DNA tramite PCR. Mediante PCR otteniamo un frammento di DNA lineare che corrisponde al
gene per il quale vogliamo fare la ricomplementazione, ma amplificandolo se ne modificano le
estremità aggiungendo delle corte sequenze riconosciute (att) riconosciute da un enzima che
ricombina in modo specifico queste sequenze nel vettore. Abbiamo perciò un vettore lineare (non è
un plasmide, non replica) che mixato col prodotto della PCR, in presenza di enzima specifico, viene
ricombinato nei siti att, quello che otteniamo è un plasmide che si può poi usare per trasformare il
batterio. La PCR è un amplificazione ciclica di un frammento di DNA, per amplificare un
frammento di DNA stampo dobbiamo avere una polimerasi (Taq) che lo amplifichi, per avere
l'amplificazione di un pezzo specifico di DNA vi è la necessità di avere dei primer tramite i quali
verranno riconosciute le sequenze che devo amplificare, questi si appaiano a monte e a valle del
templato. Si porta la temperatura a 95° C per far si che il DNA denaturi, la doppia elica si separi e
successivamente si abbassa la temperatura a 60° C, la così detta temperatura di annealing, in
corrispondenza della quale si appaiano i primer da 20 nucleotidi, uno in posizione foreward e uno in
l’appaiamento
posizione reverse. Una volta avvenuto si torna a 72 gradi (fase di allungamento) e la
polimerasi inizierà a lavorare e in pochi secondi si avranno già delle copie del frammento,
contemporaneamente dall'altro primer un'altra DNA polimerasi replicherà l'altra forca. Poi si torna a
95° C e si ripete questo ciclo 20-30 volte e otterremo miliardi di copie di DNA amplificato.
Possiamo inserire anche delle code nei primers (al 5') che non vanno ad appaiarsi al DNA
inizialmente (al 3' invece devono necessariamente essere appaiati i primer quindi non posso mettere
queste code) ma che poi una volta replicate conferiscono nuove sequenze per la ricombinazione sito
specifica (att) al mio frammento. La PCR permette di amplificare qualsiasi frammento di DNA di
cui bisogna conoscere per lo meno le estremità, in più se poi voglio poterlo integrare devo
aggiungere altri 20 nt che mi servono per far ricombinare il frammento. Le sequenze att all'inizio e
alla fine del mio amplificato mi permetteranno di ricombinare il mio frammento con il plasmide
lineare grazie un enzima che svolge ricombinazione sito specifica, successivamente si avrà la
trasformazione in una cellula batterica perchè il plasmide utilizzato ha un'origine di replicazione
batterica quindi può replicare solo nei batteri. In questo modo si sviluppano dei sistemi sia di
clonaggio che di sub-clonaggio, quest'ultima tecnica consiste nel trasferimento di un frammento già
clonato in un altro microrganismo, un lievito ad esempio. Si può fare utilizzando un altro plasmide
lineare che ha un'origine di replicazione eucariotica più un'antibiotico-resistenza specifica per i
lieviti, si purifica il plasmide batterico lo si mette insieme a quello di lievito si lascia che l'enzima
faccia ricombinazione sito-specifica, si crea così un plasmide circolare con origine di replicazione
di lievito e il mio frammento, per selezionare solo i lieviti col gene sub-clonato utilizzerò
l'antibiotico specifico per i lieviti.
RICOMBINAZIONE SITO-SPECIFICA MEDIATA SEQUENZE DI INSERZIONE E
TRASPOSONI: Le sequenze di inserzione si chiamano IS seguite da un numero, sono relativamente
corte e sono composte da sequenze invertite ripetute e al loro interno vi è un gene che codifica
per la trasposasi. Nei trasposoni abbiamo due SI con due geni per la trasposasi e tra queste due
sequenze vi sono diverse antibiotico-resistenze, questi si chiamo TN seguiti da un numero. Questi
sono utili nelle tecniche di mutazione genetica perché a differenza dei fagi, questi sistemi sono
assolutamente random, le loro trasposasi ricombinano DNA in maniera piuttosto casuale, a questo
punto un trasposone si può inserire all'interno di un gene e può dividerlo in due inattivandolo o si
può inserire vicino a un gene alterandone i livelli di regolazione dell'espressione genica
(aumentandoli o diminuendoli) o eseguendo delezioni (knock-out). La ricombinazione sito-specifica
è estremamente rara perchè la trascrizione della proteina trasposasi è bassissima, infatti presi 10
batteri solo uno ha una molecola di trasposasi. Noi però vogliamo ottenere una collezione di
mutanti, quindi vogliamo porre almeno un trasposone in ciascuna cellula batterica ricevente, che si
integrerà ciascuno in un punto differente del genoma; possiamo farlo o per trasduzione con fagi
difettivi o per coniugazione inserendo il trasposone in un plasmide coniugativo (si sfruttano quindi
le modalità di trasferimento laterale dell'informazione genica per veicolare i trasposoni). I
trasposoni non svolgono solo la funzione di trasposizione, ma sono anche ingegnerizzati per
diventare gene-reporter cioè non soltanto si inseriscono all'interno di un gene inattivandolo, ma ci
danno subito informazioni su questo gene per esempio in merito ai livelli della sua espressione
genica o ad esempio alla localizzazione cellulare della proteina codificata.
Dobbiamo fare quindi una trasduzione o una coniugazione dunque avremo bisogno in entrambi i
casi dei batteri donatori e dei batteri riceventi, il primo esempio è la mutazione con il trasposone
ingegnerizzato MudJ che va inserito all'interno di un fago. Il donatore è costruito in modo tale
da consentire, alla fine della trasduzione, la selezione dei mutanti, è stato costruito inserendo il
dell’operone per l’istidina
MudJ all’interno del batterio, quindi il batterio diventa auxotrofo per
istidina cioè non è più in grado di crescere senza istidina. Inoltre insieme a MudJ è stato inserito un
altro trasposone detto MudaA, ed entrambi sono vicini in modo tale che il fago che lisa i donatori
possa incapsidare per errore un frammento che li contenga entrambi (in realtà MudA è più lungo
quindi ne verrà incapsidato solo il frammanto iniziale che guarda caso è quello che ci interessa),
quindi i due trasposoni possono essere parzialmente cotrasdotti. Ossia è possibile che durante la lisi
del donatore, da parte di un fago, frammenti di 44 mila bp possano contenere parte dei geni di un
trasposone e parte dei geni dell'altro infatti i due trasposoni sono a distanza tale che non è possibile
contenerli entrambi e contrasdurli completamente, ma i segmenti che contengono il Mud J possono
arrivare a contenere fino a un massimo di frammento del Mud A che comprenda interamente il gene
che codifica per la trasposasi. MudJ, oltre il gene per la kanamicino-resistenza, contiene il gene lacZ
che codifica per l'enzima beta-galattosidasi (operone lac) che è un nostro gene-reporter in grado di
far diventare un substrato cromogeno blu, quindi molto utile per la selezione dei mutanti, questo
trasposone però non può trasporre autonomamente perchè non ha il gene per la trasposasi che
troviamo però in MudA; la cotrasduzione interesserà dunque il trasposone MudJ più la porzione di
MudA codificante per l'enzima trasposasi. Se si fa crescere il fago P22 nei batteri donatori, si avrà
un lisato fagico in cui una volta su 1 milione si avrà una particella virale con un frammento random
del genoma batterico, di questi fagi difettivi, solo uno su 100 avrà al suo interno il frammento di
nostro interesse che comprende interamente il MudJ più il gene per la trasposasi di MudA.
Mescolando tale fago, che porta il frammento MudJ con il gene per la trasposasi, col batterio
all’interno del batterio,
ricevente, il fago riversa il suo DNA e questo DNA può essere degradato ad
esempio, ma in una certa percentuale dei casi fa in tempo a far trascrivere la sua trasposasi al
batterio, che poi legandosi sui siti di ricombinazione in MudJ, lo ricombina (la trasposasi) in modo
random sito-specifico in un sito qualsiasi del cromosoma. Successivamente questi batteri vengono
seminati su piastra con kanamicina in modo tale da selezionare i batteri che hanno integrato il
trasposone che conferiva kanamicino-resistenza, mentre tutto il resto viene degradato, naturalmente
otterrò diverse colonie ognuna delle quali conterrà il trasposone il posizione diversa, ho costruito
cioè una collezione di mutanti. Nella piastra inoltre non vi è istidina perché vogliamo contro
selezionare tutti quei batteri che hanno integrato il trasposone per un evento di ricombinazione
omologa, dovuto all'omologia del mio frammento ingegnerizzato nel donatore con l'operone istidina
presente nel ricevente, quei batteri avranno subito il knock-out dell'operone istidina e saranno
dunque diventati auxotrofi per l'istidina. Abbiamo quindi una collezione di mutanti che ci serve per
individuare un fenotipo di interesse. Poniamo il caso che il frammento si inserisca tra due geni,
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dvd992 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Microbiologia generale e applicata e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Sassari - Uniss o del prof Uzzau Sergio.
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