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NAD+ NADH
La reazione è spostata verso destra quando:
• Il pH è alcalino
• L’acetaldeide viene ulteriormente trasformata
Aldeide deidrogenasi
Acetaldeide ac. Acetico l’equilibrio è spostato verso destra
NAD+ NADH
Per ogni etanolo consumato si formano 2 NADH
Caratteristiche:
• Si utilizzano due enzimi
• Si misura l’assorbanza a 340nm
• Le moli di etanolo sono la metà delle moli di NADH che si formano
Un composto che viene facilmente quantificato è il NAD ridotto o ossidato.
• Assorbono a 340nm
Determinazione di un singolo composto con reazioni accoppiate, la seconda reazione serve per la formazione
della specie rilevabile
Dosaggio del glucosio
Esochinasi G6Pdh
Glucosio glucosio 6P 6P gluconato
ATP ADP NAD+ NADH
Decorso temporale della reazione
Le moli di NADH sono uguali alle moli di glucosio presenti.
Determinazione di più composti presenti in un’unica miscela iniziale
Dosaggio glucosio e fruttosio
Glucosio glucosio-6-P 6-P-gluconato
Fruttosio fruttosio-6-P
Esochinasi e G6Pdh permettono di dosare il glucosio presente. La successiva aggiunta
dell’isomerasi permette di dosare anche il fruttosio. Gli enzimi vengono aggiunti in
opportuna sequenza per potere dosare più composti.
Con un solo saggio posso produrre due zuccheri. (nel caso di un succo è possibile sapere
se c’è più glucosio o più fruttosio).
Saccarosio
Il saccarosio viene dosato come glucosio (che si forma dall’idrolisi del saccarosio stesso). Questo dosaggio richiede di
sapere quanto glucosio libero era inizialmente presente nel prodotto.
L’invertasi non può lavorare in contemporanea agli altri enzimi perché richiede un pH acido.
NOTA: Nello schema presentato le moli di saccarosio sono uguali alle moli di
glucosio in quanto non è presente l’enzima fosfofrutto isomerasi (che
conververte il fruttosio 6P in glucosio 6P).
NOTA: le moli di saccarosio sono la metà delle moli di glucosio in quanto è presente l’enzima fosfofrutto isomerasi
(che conververte il fruttosio 6P in glucosio 6P)
Stabilizzazione alle interfacce: permette di far coesistere due fasi.
Caratteristiche generali
Fase dispersa Fase continua Definizione Esempio
solido Liquida sol Latte
liquido Liquida Emulsione Panna, maionese
gas liquida schiuma Meringa, impasti
• Sol: è rappresentato da una fase continua liquida all’interno del quale vi è dispersa una fase solida.
Un esempio sono le caseine nel latte (proteine in cui all’interno della fase continua sono disperse).
• Emulsione: si ha una fase idrofilica e una fase idrofobica; la fase idrofilica è la fase continua liquida al cui interno
vi è la fase idrofobica sempre liquida rappresentata da lipidi.
Un esempio è la maionese o la panna o tutte le salse.
• Schiuma: vi sono due fasi, una fase idrofilica liquida e una fase idrofobica rappresentata da una fase gassosa.
Un esempio è la meringa e tutti gli impasti (da forno).
Nella formazione e nella stabilizzazione di questi sistemi le proteine hanno un ruolo importante.
Schiuma
Essa viene generata per azione meccanica, ovvero viene inglobata all’interno della struttura idrofilica formata in
ambiente acquoso l’aria.
Meringa: si prende l’albume e attraverso l’azione meccanica si forma una struttura al cui interno viene inglobata
dell’aria perché denaturo le proteine presenti nell’albume (80% è acqua e 20% rappresentato da ovoalbumina). Si
forma quindi per scambio di residui di solfuro una struttura proteica che trattiene l’aria. Quindi le proteine hanno la
funzione di stabilizzare la struttura dove le parti idrofiliche saranno verso l’acqua mentre le parti idrofobiche saranno
esposte verso il gas inglobato.
Impasti (panificazione, dolci): le proteine che sono presenti nei cereali (gluteline e gliadine) sono ricche in ponti
disolfuro; per azione meccanica e aggiunta dell’acqua si forma una fase continua idrofilica costituita da proteine che
sviluppano il glutine (complesso proteico, ovvero una rete stabilizzata da interazioni idrofobiche e interazioni
disolfuro tra le diverse proteine, tra le gliadine e gluteline). Questa rete proteica che costituisce una fase continua
idrofilica, nel momento della lievitazione, si ha la produzione di gas, il quale viene trattenuto grazie alla struttura
che si forma. Questa rete ha le proteine organizzate come prima: parte idrofilica verso la parte continua ovvero
l’acqua e le parti idrofobiche verso la fase gassosa.
Questo sistema è instabile, non può durare sempre; la cottura serve a stabilizzare questo sistema.
Struttura di una schiuma e determinanti sulla sua stabilità
Attorno all’aria, all’anidride carbonica vi è la fase continua, la quale è costituita
dall’acqua e dalle proteine. Si forma quindi un reticolo proteico rappresentato da
proteine solubilizzate nella fase acquosa (ovoalbumina), le quali vengono denaturate.
Le proteine sono all’interfaccia, ovvero la parte idrofilica è esposta verso l’ambiente
acquoso e la parte idrofobica verso l’aria. Si deve avere una distribuzione bilanciata di
zone idrofiliche e zone idrofobiche.
Le due fasi devono formare un sistema continuo, ovvero una schiuma.
Una schiuma è stabilizzata:
1. Fuoriuscita del gas: la permeabilità del gas, ovvero ad un certo punto esce
2. Scorrimento dell’acqua verso i punti nodali: una schiuma è formata da tante bolle e attorno vi è la lamella, la
quale si lega ad altre lamelle e punti di contatto tra l diverse bolle d’aria sono i punti nodali. Muovendosi lungo
i punti nodali vi è destabilizzazione della struttura e collasso della schiuma
3. Evaporazione dell’acqua dalle lamelle
Per rallentare questi 3 effetti, si può intervenire sulla riduzione dello scorrimento dell’acqua
verso i punti nodali.
È possibile far sì che l’acqua venga rallentata aggiungendo dei viscosizzanti che rendono il
sistema più viscoso trattenendo l’acqua (l’agente più semplice è lo zucchero: ad esempio nel
vino). Gli alveoli della schiuma che si formano saranno più piccoli, più viscosi e permeeranno
nel tempo. Sia l’albume che il glutine sono sistemi viscosi.
Quindi le proteine per stabilizzare una schiuma devono avere una composizione bilanciata,
devono essere viscose dopo che sono state denaturate e devono essere solubili nella fase
continua.
Emulsione: viene determinata sempre per azione meccanica.
Maionese: viene preparata con tuorlo sempre per azione meccanica e a questo sistema viene aggiunto dell’olio.
Vi sono lipoproteine presenti nel tuorlo che sono caratterizzate da zone idrofobiche all’interno e zone idrofiliche
esposte verso l’ambiente.
L’azione meccanica denatura parzialmente le proteine presenti, ovvero le zone idrofobiche sono esposte verso
l’ambiente però aggiungo in contemporanea la fase liquida idrofobica (olio) quindi le zone idrofobiche esposte
inglobano, ovvero si associano con l’olio e in questo modo stabilizzano la fase idrofobica. Si forma quindi
un’emulsione, caratterizzata da una fase idrofilica e da zone idrofobiche che man mano vengono esposte che
associano le gocce d’olio.
Due aspetti importanti:
1. La denaturazione deve essere controllata, ovvero la maionese prevede un’azione meccanica costante e sempre
uguale.
2. La fase idrofobica viene aggiunta lentamente in modo da inglobare i lipidi.
Vi sono tanti prodotti in cui vengono fatte delle microemulsioni per veicolare in maniera uniforme dei composti
idrofobici (grassi, oli, acidi grassi, aromi).
Le emulsioni sono alla base della produzione di prodotti alleggeriti, in cui i grassi non sono aggredibili perché sono
circondati da proteine.
Burro: è una micella inversa perché il principale componente sono i grassi e la percentuale di acqua presente è minore
(30%).
Se una proteina viene aggiunta rapidamente ad un ambiente idrofobico, può succedere che la denaturazione della
proteina è tale per cui ha un effetto opposto rispetto all’emulsione.
Esempio: olio d’oliva
Quando viene spremuta l’oliva, esce l’olio che è presente già come un’emulsione. A questi panelli (residuo della
spremitura) viene aggiunto un solvente idrofobico che denatura le proteine in modo tale che questa emulsione
(trattenimento di olio) non sia più possibile quindi si formano due fasi disperse, ovvero l’olio si separa dalla fase
acquosa e vi è una fase in mezzo solida (morchia) che contiene tutto il resto del panello, ovvero proteine e frazioni
polisaccaridiche.
Le proteine per stabilizzare questi sistemi (emulsione e schiuma) devono avere delle zone idrofobiche e zone
idrofiliche bilanciate.
Nel caso della schiuma le proteine devono essere solubili all’interno della fase continua.
Nel caso dell’emulsione, le proteine possono anche essere non perfettamente solubili all’interno della fase continua.
L’importante è che per azione meccanica, queste proteine espongano le zone idrofobiche.
È possibile utilizzare nanoparticelle per stabilizzare le emulsioni per tempi più lunghi. Questi composti che si formano
(nanoemulsioni) possono entrare in maniera uniforme in piccole quantità.
Per vedere se la struttura di una proteina all’interno di una matrice è nativa o denaturata vi sono diversi metodi.
Il primo metodo è la fluorescenza.
La fluorescenza è una tecnica spettroscopica che sfrutta la capacità di alcune specie chimiche
di riemettere in un salto quantico discreto e ampio l’energia assorbita sottoforma di radiazione
luminosa.
Non tutta l’energia assorbita viene ri-emessa (resa quantica), e la lunghezza d’onda di emissione
è per forza superiore (minor frequenza) rispetto a quella di eccitazione.
La fluorescenza è un processo di decadimento radiativo per cui una molecola assorbe radiazioni
e le emette con una frequenza più bassa di quella iniziale.
Parametri caratterizazno uno spettro di fluorescenza:
• intensità di fluorescenza
• lunghezza d’onda massimo di emissione
Fluorimetro: è lo strumento utilizzato per misurare la fluorescenza. Esso è
caratterizzato da una lampada che è in grado di eccitare il campione (monocromatore
di eccitazione), ovvero una fessura che sceglie la lunghezza d’onda con la quale
mandare la luce al campione. La luce arriva al campione e se nel campione è presente
un composto fluorescente, questa emissione viene catturata da un rivelatore
(fotomoltiplicatore) e le caratteristiche di fluorescenza vengono infine analizzate da
un computer.
Questa è la fluorescenza