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IL BUON SELVAGGIO

Esisteva anche un’altra visione dei nativi: una visione positiva, un modello per gli occidentali, il mito del buon selvaggio. I primi ad

individuarlo furono, nel XVI secolo, alcuni missionari cattolici, i Gesuiti, che trovarono nelle condizioni di vita degli indiani

d’America molti punti di contatto con il messaggio del cristianesimo delle origini.

I selvaggi americani erano, secondo Jean Jacques Rousseau, la testimonianza vivente di un’originaria condizione di natura, fatta di

semplicità, schiettezza, bontà, ignara della violenza, della menzogna e dell’inganno; un originario stato di natura che lo sviluppo della

civiltà avrebbe distrutto. Da questa concezione, Rousseau faceva derivare una pedagogia tesa a preservare nei bambini tutti gli

elementi di somiglianza con il buon selvaggio.

I COLONIZZATI

La storia della colonizzazione è stata diversa da paese a paese per durata e per vicende specifiche. Però, dovunque si è trattato di un

rapporto di potere, dominazione e sottomissione finalizzata al trasferimento di ricchezze dalle colonie alla madrepatria.

L’azione colonizzatrice ha provocato molti cambiamenti; l’economia, tecnologia, tipo di residenza, strutture di parentela, le forme

della vita religiosa, i sistemi di esercizio dell’autorità e del comando, la scomparsa di molte lingue native.

Oggi queste culture si chiamano Postcoloniali. Questo perché sono ex imperi coloniali e perché, pur se sono uscite dal dominio

coloniale, ne portano i segni e i frutti (molti negativi). Il colonizzato interiorizza la visione di sé che gli rimanda il colonizzatore e si

giudica selvaggio, incivile, inferiore.

Questa forma raffinata di esercizio del potere è presente in qualsiasi forma di dominio/sottomissione. Col tempo, addirittura, i

dominati ubbidiranno spontaneamente, perché è giusto, così ciò che è frutto di coercizione apparirà come scelta volontaria.

Antonio Gramsci, filosofo e politico marxista italiano detenuto in carcere dal regime fascista a causa delle sue idee politiche, ha

chiamato questo rapporto di Egemonia. - è una caratteristica dell’esercizio del potere che si fonda sulla manipolazione delle idee,

sulla censura delle informazioni, sull’indottrinamento e sul lavaggio dei cervelli.

Poi hanno cominciato a configurarsi i movimenti indigeni di libertà e di salvezza: alcuni, come quello in India ispirato da Gandhi,

non violenti; altri invece, hanno prodotto rivolte, ribellioni e vere e proprie guerre insurrezionali.

I MOVIMENTI DI POPOLAZIONI

Nel corso dell’età moderna a costruire le mappe delle differenze e diversità hanno contribuito anche i movimenti di popolazione.

Sono stati di vario tipo ed entità. Molte persone si sono trasferite dalle madrepatrie nei paesi colonizzati dando vita a popolazioni

bianche locali. Grandi spostamenti ci son stati anche dalle campagne dei paesi coloniali verso le loro città.

Altri flussi sono stati attivati per riempire i vuoti di mano d’opera causati dallo sterminio dei nativi. La tratta dei negri reintrodusse

la schiavitù, che in Europa era già sparita nell’Alto Medioevo. I nativi americani, pur trattati come schiavi, non erano mai stati

giuridicamente definiti tali. In Inghilterra la tratta fu abolita nel 1807 e nel 1833 fu abolita la schiavitù nelle colonie; la tratta tuttavia

continuò con il trasporto clandestino di neri direttamente dall’Africa negli Stati Uniti, dove la schiavitù fu abolita solo nel 1865, dopo

la Guerra di Secessione fra gli Stati del nord e il presidente degli Usa Abraham Lincoln, abolizionisti, e gli Stati del sud, schiavisti.

In Africa la schiavitù esisteva già. Spesso gli Africani del Guinea catturavano gli Africani dell’interno e li vendevano ai bianchi. La

condizione di schiavo si acquisiva in due modi: cattura durante operazioni belliche; incapacità di pagare i debiti.

Nonostante la tratta degli schiavi, gli Stati Uniti d’America nella seconda metà del XIX secolo soffrivano ancora di scarsità di mano

d’opera. Si attivarono così, negli ultimi decenni del XIX secolo, i grandi flussi migratori diretti dall’Europa verso le Americhe. La

prima e la seconda Guerra Mondiale interruppero i flussi (dopo la prima guerra mondiale gli Usa chiusero le frontiere), ma ripresero

diretti verso il Sud America e verso l’Australia. Anche dopo la seconda guerra mondiale sono continuati i flussi dall’Europa verso

l’Australia, il Canada e l’America latina; dall’Italia, Spagna, Grecia, Jugoslavia, Turchia, verso la Germania, la Svizzera e la Francia.

Con la fine dell’impero britannico e la sua trasformazione in Commonwealth, anche dalle ex-colonie britanniche si sono trasferiti in

Gran Bretagna indiani, pakistani, sri-lankesi, antillani e africani.

Verso la metà del XX secolo, gli imperi coloniali si sono disgregati e prende il via la Globalizzazione; paesi ex-colonizzatori ed ex-

colonizzati si mescolano e le diversità e differenze configuratesi in passato si uniscono ai nuovi cambiamenti economici, tecnologici

e politici, che incidono fortemente sulle dinamiche culturali.

I CONTATTI CULTURALI TRA POPOLI DIVERSI E LA TEORIA DELL’ACCULTURAZIONE

Negli anni 30 del XX secolo il contatto culturale tra popoli diversi è stato individuato come uno dei temi centrali dell’Antropologia.

Nel 1936 s’inizia a parlare di acculturazione. In realtà la prima volta che se ne parla fu a fine 800, quando John Powell parlò di

acculturazione degli indiani per promuovere il loro incivilimento ed evitare la loro estinzione. Ma ci fu un fallimento colossale di

Powell e dei suoi colleghi; l’istruzione dei giovani andò incontro alla resistenza degli adulti perché escludeva la conservazione

dell’identità pellerossa. Era una sorta di deindianizzazione. Aveva capito molto di più il loro nemico, il Generale Custer, della

Smithsonian Institution; “l’accostamento dell’uomo rosso alla civiltà bianca significa la sua morte spirituale”.

Gli antropologi inglesi, che preferiscono l’espressione culture-contact, e quelli francesi, che usano più volentieri rencontre,

rimproverano al termine acculturazione una sorta di implicito etnocentrismo (cioè un avvicinamento a senso unico). A questa idea

sono legati pure i termini cultura datrice (quella che accultura) e cultura recettrice (che viene acculturata). Se la cultura recettrice

accetta l’acculturazione si parla di acculturazione progressiva (assimilazione), altrimenti si parla di aggiustamenti reattivi, che

producono acculturazioni parziali.

L’acculturazione avviene nella storia ed è condizionata da essa. Se una delle due società è più forte (militarmente o politicamente),

questo rapporto di forza condizionerà il processo di acculturazione. Poi il gruppo più forte trasmette, della propria cultura, solo le

parti che gli sono utili per determinare la situazione che vogliono; se lo squilibrio tra i due gruppi in contatto è molto forte il

patrimonio culturale del più debole viene distrutto. Le situazioni più drammatiche si risolvono con l’etnocidio e il genocidio. Ci sono

anche gruppi deboli che non si disgregano e non si lasciano assimilare. In questi casi si cerca di rafforzare i propri caratteri culturali,

li si assolutizza come unica forma accettabile di morale e di verità, dando vita a quelle forme di resistenza culturale chiamate

nativismi, primordialismi, integralismi, revivalismi. In questi casi si verificano anche forme di “invenzione della tradizione” che

danno forza e unità a coloro che resistono all’acculturazione.

Vi sono poi i casi in cui il gruppo debole cerca di selezionare ciò che gli viene imposto e quello che accetta lo rielabora per renderlo

compatibile con il proprio patrimonio culturale e con le proprie condizioni di vita. Inoltre, elabora tratti, elementi, contenuti del

proprio patrimonio culturale al fine di convertirli in qualcosa che possa essere ancora utilizzato e magari proposto e, n po’ imposto, al

gruppo più forte: danza, musica, culti religiosi. Il gruppo più forte viene in qualche modo acculturato da quello più debole.

Con l’acculturazione, nella maggioranza dei casi, si producono forme culturali nuove. Si parla di sincretismi culturali, soprattutto

nei casi di culti religiosi nati dall’incontro/scontro tra religioni locali, native, tradizionali e le grandi religioni; si parla di culture

ibride o meticce, per indicare il risultato di processi di contatto e scambio di lunga durata che hanno investito tutti gli aspetti della

vita sociale modificandoli; si parla di società multiculturali quando, all’interno di una nazione convivono culture diverse; infine, si

parla di culture diasporiche o viaggianti nel caso di quei gruppi che partono da un unico paese e che, anche se sparsi nel mondo,

mantengono tra loro rapporti e somiglianze culturali.

APPROFONDIMENTO SU JOHN POWELL: figlio di un pastore metodista di Mount Morris, ricevette da George Crookham, un

agricoltore di successo, la passione per l’archeologia indiana dei mound. Divenne un geologo e, dopo aver perso un braccio nella

Guerra di Secessione (1861-1865) ed essersi congedato, fu nominato istruttore di geologia presso l’università dell’Illinois. Il suo

interesse primario era lo studio delle lingue amerindiane. Era uno dei pochi a volere un approccio diverso con gli indiani, a partire

dagli Sioux, “piccole vipere” (anche se loro chiamavano se stessi Lakota, amici, alleati). Powell voleva le riserve, intese come

territori liberi, autogestiti dalle rispettive tribù e sufficienti a garantire il loro fabbisogno alimentare e materiale. Powell aveva preso

esempio dal Tenente Caspar Collins, che nutriva un vivo interesse per la vita ed i costumi dei popoli della prateria. L’indiano non era

un nemico, un barbaro. Questo lo spinse ad avventurarsi in territorio Lakota per incontrare il guerriero Cavallo Pazzo, Sioux Oglala.

Rimase un anno con loro. Durante la battaglia del Ponte sul Platte tra sioux e Cheyenne e la guarnigione di Fort Caspar, Cavallo

Pazzo riconobbe l’amico e diede l’ordine di lasciarlo tornare sano e salvo con i suoi uomini al forte, tirandosi addosso l’ira degli

Cheyenne. Ma un accidentale colpo di fucile fece imbizzarrire il cavallo di Collins che iniziò a correre verso gli Cheyenne e uno di

questi lo colpì alla testa con una freccia.

IL CONCETTO DI CULTURA: per molto tempo era riferito al patrimonio di conoscenze possedute da persone dotate di

un’istruzione. Era una cosa riferita all’élite.

Poi Tylor, considerato uno dei fondatori della moderna antropologia scientifica, disse che la cultura è quell’insieme di conoscenze,

arte, morale, diritto, costume e tutte le capacità e abitudini che l’uomo acquisisce come membro della società. Per Tylor la cultura è,

ino

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
15 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Elisa.Remedia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi "Carlo Bo" di Urbino o del prof Susca Emanuela.