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Capitolo 3. Identità, autorappresentazione, narratività. .......................................................... 2
Capitolo 5. Non con le sole parole. Rivestire “l’orale”. Ruth Finnigan ................................ 3
Capitolo 6. Relazioni interetniche, colonialismo e modernità. Maurizio Gnerre. ............... 4
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Capitolo 2. Confini invisibili: l’interdizione linguistica
nell’Italia contemporanea
Sabina Canobbio
L’interdizione linguistica è una delle più convincenti dimostrazioni del legame che esiste tra lingua e
cultura; è un confine non materiale ma comunque molto presente e infatti le strategie per aggirarlo
possono modificare il lessico o le regole d’uso di una lingua. Infatti l’interdizione linguistica può
provocare:
- Marginalizzazione o scomparsa di alcune parole = le parole che vengono colpite dal fenomeno
dell’interdizione svaniscono dal vocabolario.
- Ingresso di nuove parole o ampliarsi del loro significato = per aggirare l’interdizione di una parola
vengono create nuove parole o vengono utilizzate parole già esistenti con un altro significato.
→ Semantica dell’eufemismo di Nora Galli de’ Paratesi: mentre sembrano sempre più tollerate le
disfemie relative alla sfera sessuale, nella società moderna è nata un’ossessione per il politically correct,
parole che però non nascono dal nostro pensiero, ma sono fabbricate artificialmente, con l’intento
ipocrita di nascondere le ingiustizie dietro a parole consolatorie. Questo uso allontana sempre di più
il pensare delle persone dalla società. Il politically correct viene spesso usato per mitigare o nascondere
fatti di guerra o di violenza, torture, morte, patologie mentali… spesso, per distrarre l’ascoltatore da
ciò che viene effettivamente detto, si usa un sovraccarico di linguaggio teorico e tecnico, e si
legittimano le informazioni con l’autorevolezza degli “esperti”. In Italia l’inglese è una delle più
efficaci forme di eufemizzazione; inoltre, parlando di malattie, si cerca di raffreddare la carica emotiva
utilizzando degli acronimi (come aids). Tuttavia l’uso di tali parole nate dal politically correct non
modificano la realtà dei fatti ai quali si riferiscono.
In generale in Italia il fenomeno dell’interdizione sembra colpire i seguenti aspetti: la vecchiaia (meglio
anziano di vecchio), la grassezza (si usano termini come taglie comode o extrasize), la ricchezza e la povertà
(si maschera la povertà con parole come indigenza, bisogno, difficoltà) e molte parole connesse al mondo
del lavoro (i tagli del personale vengono detti ristrutturazione, piano di alleggerimento, ridimensionamento…)
Capitolo 3. Identità, autorappresentazione, narratività.
Augusto Carli.
Il Border Discourse è un progetto di Ulrike Hanna Meinhof, che studia come nelle comunità di confine
gli uomini si autorappresentano e si raccontano, sia collocandosi all’interno del proprio gruppo
rafforzandone l’identità sia confrontandosi con la comunità “altra”. La ricerca fu effettuata intervistando
famiglie in cui c’era un anziano, un giovane e uno della generazione di mezzo. Dalla ricerca emerge la
percezione del valore e della funzione della propria lingua, fondamentale nella costruzione dell’identità.
Infatti in base ai rapporti sociali del potere alcune lingue sono considerate prestigiose, altre deprezzate;
nel dopoguerra, per esempio, le lingue a occidente della cortina di ferro erano di maggior prestigio rispetto
a quelle a oriente, in particolare il tedesco e l’italiano. C’erano due diversi scenari:
- Le pressioni linguistiche su entrambi i fronti avevano imposto il monolinguismo. Il confine
politico tende quindi a coincidere con quello linguistico e la lingua diventa una forte marca
identitaria. 2
- Il confine linguistico in certi casi non coincide con quello politico e alcuni gruppi linguistici
minoritari si trovano dislocati all’interno del gruppo linguistico maggioritario (per es. la comunità
slovena a Gorizia). Queste comunità sono esposte a erosione linguistica (language attrition) o a
mutamento linguistico-identitario (language-identity shift).
Altro concetto importante è quello di lingua nazionale, che nasce nei sec. XVIII-XIX, soprattutto in quei
paesi dove c’era uno squilibrio linguistico e dunque l’affermazione di una lingua era anche affermazione
di un’identità. Inoltre si pensava che la lingua formasse i caratteri delle persone, perciò una lingua diversa
esprimeva anche una diversa mentalità. Si considerava e si considera ancora inestimabile il valore della
lingua madre, soprattutto nelle comunità minoritarie, che pensano che la propria lingua, essendo antica,
abbia per secoli plasmato l’identità del loro popolo e quindi deve essere trasmessa alle nuove generazioni.
Spesso le lingue “altre” vengono definite con termini sfumati e contorti che aggiungono o tolgono
visibilità a un gruppo etnico.
Gregory Baltenson parla di scismogenesi = processo di costruzione identitaria che si percepisce come
diversa e divergente da un’altra; spesso i giudizi (anche linguistici) sull’altro sono deformati, frutto di
stereotipi e convenzioni tramandati da generazioni. Le lingue prestigiose giudicano inutili e brutte quelle
minori; la generazione anziana tende poi a credere in una mitica “età dell’oro”, dove le lingue avevano
pari dignità, ma poi, per ragioni storico-politiche, l’una è diventata prestigiosa e l’altra minore. Ciò non è
vero, sembra più una raffinata giustificazione dell’ignoranza della lingua dell’altro, che sembrerebbe
dipendere appunto da condizioni storico-sociali e non da una responsabilità personale.
Capitolo 5. Non con le sole parole. Rivestire “l’orale”.
Ruth Finnigan
Goody e Watt, con il loro progetto Literacy in Traditional Societies, studiano l’orale e lo considerano
importante tanto quanto lo scritto. Il loro studio si colloca nel periodo in cui Parry e Lord scoprivano le
formule orali nella poesia eroica jugoslava e McLuhan e Ong esaltavano l’espressione orale in
contrapposizione allo scritto. Inoltre Goody studia il mito dei Bagre in Africa occidentale; prima ritiene
che si tratti di una recitazione mitica tramandata attraverso le varie generazioni; in seguito si accorge che
ci sono moltissime varianti anche quando lo recita lo stesso uomo. Goody quindi si concentra sulla natura
variabile dell’espressione orale, e la studia per contrasto attraverso la scrittura, delineando perciò delle
differenze di organizzazione tra le società con scrittura e le società senza scrittura. Le società con o senza
scrittura hanno quindi le seguenti caratteristiche:
→ Società con scrittura:
- Capacità di cumulare conoscenze;
- Capacità di esaminare criticamente le formulazioni scritte;
- Capacità di affrontare la logica formale;
- Capacità di agevolare la burocrazia;
- Tendenze universalistiche.
→ Società senza scrittura:
- Rapporti de visu, faccia a faccia
- Scarsa accumulazione di conoscenze dovuta alla mancanza di mezzi esterni
- Più flessibilità e adattabilità al cambiamento dal momento che non esiste un modello “fisso” a cui
fare riferimento 3