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Capitolo 7 IL GIOCO, L'ARTE, IL MITO E IL RITO
Gioco, arte, mito e riti sono quattro elementi dell’esperienza umana nei quali l’interscambio tra apertura e creatività
secondo regole e vincoli mette le persone in condizione di dar luogo a fenomeni poderosi e commoventi.
7.1 Il Gioco Perché giocare?
L’apertura è definita come abilità di parlare e di pensare a proposito della stessa cosa in modo diverso e di cose diverse
nello stesso modo. Si può espandere il carattere aperto fino a comprendervi il comportamento, ovvero il saper fare la
stessa cosa in maniera diversa o cose diverse nello stesso modo. Tutti i mammiferi giocano e gli uomini lo fanno più di
tutti e per tutta la vita.
Il GIOCO allena tutti gli animali (compresi gli esseri umani) in attività necessarie alla sopravvivenza fisica. Esso offre
l’esercizio di cui hanno bisogno per attrezzare il corpo contro i rigori dell’età adulta. Alcuni studiosi hanno proposto
l’idea che il gioco possa avere importanza ai fini dello sviluppo delle abilità cognitive e motorie che impegnano il
cervello. Favorisce lo sviluppo di altre parti del cervello, l’apprendimento e spiega lo sviluppo della versatilità
comportamentale. Sembra inoltre essere collegato anche alla riparazione del danno evolutivo causato da ferite o da
traumi. Fagen propone un’ulteriore funzione del gioco: la comunicazione del messaggio “va tutto bene”. Il muovere
dalla realtà quotidiana a quella del gioco esige una trasformazione radicale di prospettiva. Questa svolta richiede un
livello di comunicazione detto metacomunicazione, ossia comunicazione riguardo alla comunicazione, che fornisce
informazioni a proposito della relazione tra coloro che comunicano. Nel gioco si verificano due tipi di
metacomunicazione; il primo è detto inquadramento, un limite cognitivo che contraddistingue certi comportamenti
come gioco o vita ordinaria. Il secondo comporta la riflessività, il gioco offre l’opportunità di pensare le dimensioni
sociali e culturali del mondo nel quale ci si trova: può comunicare su ciò che può essere anziché su ciò che dovrebbe
essere o che è.
(Lo sport giocato è un gioco che comporta un'attività fisica disciplinata da regole.La competizione sportiva simula
quella reale, poichè i suoi effetti sono limitati all'ambito sportivo se non si è professionisti, e avviene nel rispetto di
regole condivise - entrambi gli aspetti sono importanti nel sistema occidentale, dove la competizione disegna il
migliore, e per questo deve avvenire rispettando le regole - Lo sport visto è una scusa per comunicare e per fare
gruppo. Lever sostiene che lo sport di massa è un meccanismo per promuovere unità politiche e patriottismo, in Brasile
ogni città ha una squadra ma nei mondiali si è tutti brasiliani porclamando la "brasilianità". Inserito nell'odine sociale
dominante, lo sport diventa un rituale che recepisce e promuove i valori culturali della società che lo pratica; es: il
cricket importato nelle isole Trobriandesi cambia le sue regole e diventa un sostituto della guerra in cui vince sempre la
squadra di casa. L'istituzionalizzazione dello sport è recente (ha luogo nello stato nazionale) e consente la coesione del
pubblico).
7.2 L'Arte L’antropologo Alland definisce l’ARTE come “gioco con una forma che produce una qualche trasformazione-
rappresentazione esteticamente valida”. Si può pensare alla forma riferendosi allo stile e ai mezzi. Lo stile è uno
schema (distintiva configurazione di elementi) che all’interno di una data cultura si riconosce appropriato a un dato
mezzo. I mezzi utilizzati per creare ed eseguire l’arte sono riconosciuti e caratterizzati culturalmente.
Esteticamente valido significa che il creatore dell’opera d’arte ( e possibilmente il suo pubblico) sperimenta una
reazione positiva o negativa.
Per trasformazione-rappresentazione si intende il processo nel quale l’esperienza viene trasformata mentre la si
rappresenta simbolicamente in un medium diverso. La suddivisione in arte e non-arte non ha carattere universale.
Affinché un oggetto si trasformi in opera d’arte, sostiene Errington, deve possedere un valore esibitivo, cioè qualcuno
dev’essere disposto ad esibirlo. Come il gioco, l’arte offre ai suoi creatori e ai partecipanti realtà alternative,
separazione dei mezzi dai fini, possibilità di commentare e di trasformare il mondo di ogni giorno. Il problema
dell’autenticità: Bigenho ne distingue tre diverse forme, esperienziale, storico-culturale e unica.
L’autenticità esperienziale è connessa con un’esperienza condivisa con altri.
L’autenticità storico-culturale si riferisce a come un’opera viene rappresentata: rivendica il collegamento con l’origine
di quel tipo di arte, nel passato storico o in quello mitico.
L’autenticità unica si riferisce alla produzione personale, innovativa e nuova del singolo artista.
7.3 Il Mito La maggior parte delle società trova modo di persuadere i propri membri che una certa versione è unica,
punto e basta. La maniera più antica di riuscire in questa impresa è sfruttare il MITO. I miti sono storie la cui verità
sembra autoevidente perché integrano ottimamente l’esperienza personale con un più vasto insieme di assunti
concernenti il modo in cui devono operare la società e il mondo in generale. Di frequente i narratori ufficiali di miti
sono i gruppi che governano la società: gli anziani, i leader politici, gli specialisti della religione. Di solito il tenore dei
miti riguarda gli eventi del passato o quelli del futuro. Se li si considera alla lettera, dicono alla gente da dove viene e
dove va e, pertanto, come dovrebbe vivere in questo momento.
L’ortodossia è la “dottrina corretta”; la proibizione di deviare dai testi mitici approvati.
Il gioco offre una considerazione illimitata delle prospettive referenziali alternative a proposito della realtà. L’arte
permette di considerare prospettive alternative, ma subisce l’imposizione di certe limitazioni che ne restringono la
forma e il contenuto. Il mito mira a restringere radicalmente le prospettive referenziali possibili e promuove spesso
un’unica prospettiva ortodossa che si presume come valida per tutti. Arte, mito e rito sono spesso strettamente
associati.
7.4 Il Rito Il RITO è una pratica sociale ripetitiva composta da una sequenza di attività simboliche in forma di danza,
canto, discorso, gesti o manipolazione di oggetti, che è separata dalle routine sociali quotidiane, aderisce ad uno
schema rituale culturalmente definito e si collega strettamente con uno specifico insieme di idee spesso codificate in
un mito. Ad esempio la celebrazione delle feste di compleanno è un rituale che non si ricorda di aver appreso ma la cui
autorità deriva dalla tradizione.
Ogni rito vede succedersi secondo un preciso ordine atti, pronunciamenti ed eventi; vale a dire che ha un testo (una
sceneggiatura). Poiché il rito è azione, si deve prestare attenzione a come lo si compie: la messa in scena non si può
separare dalla sceneggiatura; testo e rappresentazione si plasmano a vicenda.
Il rito di passaggio è un rito che ha il compito di marcare il passaggio e la trasformazione di un individuo da una
posizione sociale ad un’altra.
Tutti questi riti hanno inizio con un periodo di separazione, un periodo di transizione e uno di riaggregazione. Gennep
si concentrò in particolar modo sul periodo di transizione, detto periodo liminale. La liminalità è lo stato di transizione
ambiguo facente parte di un rito di passaggio, nel quale la persona o le persone che subiscono il rito si trovano fuori
della loro posizione sociale ordinaria. Le persone che si trovano nella condizione liminale tendono a dar vita l’una
verso l’altra ad un intenso cameratismo, nel quale le loro distinzioni non liminali scompaiono o divengono irrilevanti.
Turner chiama communitas questa modalità di relazione sociale, ovvero una comunità non strutturata o
minimamente strutturata di individui uguali frequentemente riscontrabile nei riti di passaggio. L’ortoprassi è la
“pratica corretta”; la proibizione di deviare dalle forme approvate di comportamento rituale.
Capitolo 8 LA VISIONE DEL MONDO
8.1 Una visione del mondo in funzione i membri di una data società condividono una serie di assunzioni su come va
il mondo e, nell’interpretare le esperienze quotidiane alla luce di quelle assunzioni, danno un senso alla loro vita e la
loro vita offre un senso agli altri componenti della società.
L’immagine esauriente della realtà che scaturisce da questo processo è quella che chiamiamo visione del mondo, più
versioni della quale possono coesistere anche nella medesima società.
8.2 Metafore chiave Una visione del mondo è un quadro compiuto della realtà che si può considerare come il
tentativo di rispondere a questo interrogativo: che genere di mondo dev’essere perché le mie esperienze siano quelle
che sono?
Spesso visioni inconsuete riescono più comprensibili se siamo capaci di cogliere le
metafore chiave che le sottendono.
La ricerca comparativa lascia intuire che sono tre le importanti immagini di ordine e di stabilità che hanno fornito le
metafore chiave della visione del mondo.
Le metafore sociali applicano alla visione del mondo il modello dell’ordine sociale.
Le metafore organiche applicano la configurazione dell’organismo al mondo delle strutture e delle istituzioni sociali.
Una metafora organica del ventesimo secolo è il funzionalismo, prospettiva scientifica che assimila la società a un
organismo vivente i cui vari sistemi hanno compiti specifici; i funzionalisti individuano sottosistemi sociali nei quali si
può suddividere la società e i compiti che ciascuno di essi dovrebbe svolgere, e descrivono una società sana come
quella i cui sottosistemi operano in armonia.
Le metafore tecnologiche applicano alla visione del mondo, come predicati metaforici, gli oggetti prodotti dagli
uomini. La forma più familiare di visione del mondo per molte persone è la religione.
Questa è l’insieme di idee e di pratiche che postulano una realtà trascendente quella immediatamente accessibile ai
sensi. Nelle singole società questo può significare credenza negli spiriti e negli dei o convinzione che gli antenati
continuino ad agire nel mondo dei vivi. In altri casi si può assumere che esistano potenze cosmiche impersonali.
8.3 La Religione La religione comporta sia azioni sia credenze, l’antropologo Wallace ne propone un elenco:
1.preghiera, modo abituale di rivolgersi alle forze