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CLONE e TERRA NOSTRA ESPERANCA.
2.7.1.2 Terra Nostra Esperanca
Terra Nostra parla degli emigranti italiani in Brasile dopo l’abolizione della schiavitù nel 1888. I temi trattati
a proposito degli italiani rispecchiano sotto molti punti di vista la realtà capoverdiana: l’emigrazione, la
nostalgia per la terra d’origine, il Brasile come terra promessa, gli amori difficili. Gli eroi di questa serie
sono gli italiani emigranti che partono per lavorare nelle piantagioni. Per Ernestina e le sue amiche,
l’identificazione con gli italiani emigranti è semplice poiché anche per loro il Brasile rappresenta la Terra
Promessa. L’emigrazione è strutturale alla società capoverdiana ed è difficile trovare qualcuno a Ponta do
Sol che non abbia qualche parente emigrato. Il modo in cui gli italiani sono rappresentati: poveri, semplici e
sempre pieni di nostalgia per la propria terra d’origine, permette l’identificazione con loro. La telenovela
crea un’immagine nuova rispetto allo stereotipo dell’italiano a Capo Verde: il contatto con italiani ricchi,
investitori, turisti vestiti all’ultima moda, è lontana dall’immagine che Terra Nostra Esperanca dà
dell’italiano. E’ interessante notare come Ernestina abbia cambiato atteggiamento nei miei confronti grazie a
questa telenovela: prima pensava che io fossi ricca ma tirchia, perché secondo lei tutti gli italiani erano
ricchi; dopo aver visto Terra Nostra Esperanca ha capito che anche gli italiani sono poveri. Tuttavia,
l’identificazione maggiore avviene proprio con le italiane protagoniste della telenovela che conquistano
proprio con la loro semplicità, contro l’artificiosità delle brasiliane. E la semplicità delle donne di Santo
Antao è una cosa risaputa: esse sono sempre rappresentate come donne semplici e tradizionali.
C’è di più: in Terra Nostra Esperanca le aspettative delle donne di Ponta do Sol su cosa bisogna fare per
sentirsi davvero donna non vengono frustrate; al contrario, ciò che esse fanno per riuscire a tenersi un uomo,
nella finzione mediatica risulta invece un comportamento vincente. Ciò in cui le donne di Ponta do Sol
falliscono, cioè, riuscire a tenersi un uomo tramite un figlio, è invece la vittoria di una delle protagoniste
della telenovela. La protagonista ha avuto una relazione con un compaesano prima che lui emigrasse per il
Brasile, dalla quale è nato un figlio, ma l’uomo non ne è al corrente. Lei parte con il bambino per il Brasile
per riconquistare il suo fidanzato, che nel frattempo nella nuova terra si è sposato e, proprio grazie al figlio,
dopo varie peripezie, riesce nella sua impresa. Inoltre, il tradimento degli uomini viene giudicato
negativamente e uno de protagonisti, quello sposato in Brasile, ma che poi si rimetterà con la ex fidanzata
che ha avuto da lui il bambino, vive in modo problematico la situazione. Si ricompone, dunque, nella
telenovela, l’identità che nella realtà capoverdiana non si realizza a causa delle contraddizioni tra elementi
richiesti per essere una vera donna e l’impossibilità di realizzarli. In Terra Nostra, invece, la donna è artefice
del suo destino.
2.7.2 La relazione con le straniere (turiste occasionali, turiste cicliche e residenti)
Anche il contatto con gli stranieri e l’immagine che questi hanno delle donne influisce sulla percezione che
esse hanno della propria identità. A Ponta do Sol ci sono vari tipi di stranieri: turisti occasionali, che vengono
per pochi giorni e non hanno intenzione di tornare; i turisti ciclici, che tornano a Ponta do Sol una o 2 volte
l’anno e quelli stabili, che decidono di viverci per periodi variabili. Ovviamente, le donne ne vengono
influenzate in modo diverso: il contatto con gli stranieri è giudicato più o meno negativamente a seconda
delle diverse tipologie: quanto più essi sono visti come esterni, tanto più il rapporto con loro viene
considerato “contaminante”. Quando invece lo straniero comincia a “far parte del paesaggio”, la relazione
con lui viene vista in modo più tranquillo. Quando avviene il passaggio da turista a straniero residente, il
contatto è possibile senza che la donna capoverdiana sia tacciata di tradimento. In breve, è solo quando lo
straniero si avvicina alla cultura locale, accettando le regole e i codici di comportamento della comunità, che
l’interscambio con lui non viene più visto come negativo. Ernestina agisce come intermediaria tra i turisti e i
compaesani ed è la prima ad entrare in contatto con gli stranieri; infatti, Ernestina e suo marito sono stati gli
intermediari di tutti gli stranieri stanziali a Ponta do Sol. L’identità delle donne di Ponta do Sol è influenzata
dalle turiste e dalle straniere che vi risiedono in quanto queste hanno modi di agire e di essere donna che si
contrappongono ai loro: sono donne che viaggiano non come emigranti ma come turiste, che possono partire
quando vogliono, avendo il privilegio di muoversi liberamente; ancora, sono donne spesso indipendenti
economicamente, a volte sono donne emancipate che viaggiano da sole. Spesso poi, le donne straniere sono
corteggiate dagli uomini locali e ciò fa nascere una certa conflittualità verso le turiste; inoltre, a loro sono
permesse cose che le donne di Ponta do Sol non possono fare. Le straniere giudicano la condizione delle
donne di Ponta do Sol, mettendola un’po’ in crisi, in quanto le considerano vittime, scarsamente emancipate,
sottomesse all’uomo, non indipendenti. Ma le donne straniere residenti sono viste anche come amiche, adatte
alle confidenze più intime in quanto, da un lato sono parte della comunità e quindi in grado di capire,
dall’altro, essendo sempre esterne, non attuano critica sociale nella comunità, né si dedicano ai pettegolezzi.
3.2 Viaggiare al femminile
Oggi viaggiare è un privilegio di pochi e la mobilità può avere significati diversi, mostrando, per esempio,
una differenza di classe tra chi si può muovere e chi è costretto all’immobilità. La popolazione che rimane a
Capo Verde desidera emigrare, ma non può realizzare questo desiderio. Le donne sono sempre state associate
alla casa e gli uomini al viaggiare. In tale ambito, è interessante vedere in quale modo il “risiedere” delle
donne si articoli, politicamente e culturalmente, con il “viaggiare” degli uomini. Il genere, dunque, influisce
sia sull’aspirazione che sulla capacità di emigrare. Fino all’indipendenza, l’emigrazione capoverdiana è stata
maschile. L’arcipelago di Capo Verde era visto come un insieme di isole di donne che restavano a casa e
uomini che viaggiavano: prima uomini venduti come schiavi, poi mandati a lavorare come intermediari nelle
altre colonie, infine, uomini che come marinai si imbarcavano sulle navi tornando saltuariamente a casa. Le
donne, con l’unica eccezione dell’emigrazione per Sao Tomè, sono rimaste le custodi della casa, della
famiglia e delle tradizioni di Capo Verde, avendo scarse possibilità di lavoro nel settore pubblico, nel piccolo
commercio e nell’agricoltura. Ultimamente, però, le cose sono cambiate e oggi sono soprattutto le donne a
emigrare come viaggiatrici e operatrici transnazionali. Ma è pur vero che il viaggiare assume spesso una
connotazione di classe: le donne della campagna, quelle più povere e senza parenti emigrati all’estero,
sembrano relegate alla località; mentre le donne che hanno avuto l’opportunità di emigrare o viaggiare, si
muovono agevolmente in contesti transnazionali.
3.3. Emigrazione: modello maschile e modello femminile
Capo Verde ha sperimentato un’emigrazione estensiva, ma negli ultimi anni c’è stato un forte declino
dell’emigrazione e un incremento demografico nelle isole. La femminilizzazione dell’emigrazione oggi è
ascrivibile a 2 fattori: al passaggio dall’emigrazione connessa alla ricerca di lavoro, a quella per il
ricongiungimento familiare; ma anche alla crescita della richiesta di lavoro femminile nei paesi di
immigrazione. Le destinazioni più frequenti per le donne sono: Spagna, Italia e Portogallo, dove
recentemente c’è stata una forte domanda di lavoro domestico. L’emigrazione femminile, oltre a essere un
fenomeno nuovo per la società capoverdiana, ha assunto aspetti diversi dall’emigrazione maschile
precedente, divenendo un’emigrazione di tipo stanziale. Mentre l’emigrazione degli uomini è ciclica e
temporanea, quella delle donne diventa definitiva. Le donne, una volta arrivate nel luogo d’immigrazione,
formano la propria famiglia e si stabiliscono definitivamente. Dai vari racconti, emerge che molti uomini di
Santo Antao erano veri e propri “nomadi del mare”, che non mettevano radici in nessun altro paese, magari
lasciavano anche altre famiglie qua e là, ma poi tornavano sempre alla terra d’origine. La donna, nel periodo
in cui era solo l’uomo a emigrare, doveva rimanere a casa e comportarsi in modo rispettabile. Un aspetto
importante è che con l’emigrazione femminile, il modello della matrifocalità si rinforza. Da una parte, infatti,
le madri migranti acquistano, con l’evento migratorio e le rimesse che mandano ai familiari, maggior potere
economico e decisionale nei confronti della famiglia lontana, confermandosi come vere e proprie
capofamiglia a distanza; nel caso della famiglia di Nita, la zia, emigrata prima in Italia e poi in Olanda, era
considerata capo-famiglia in quanto la casa dove la famiglia risiedeva è stata ristrutturata e ammobiliata
grazie alle sue rimesse. Questo le dava l’autorità di comandare, creando a volte scompensi negli equilibri
familiari.
3.4 Le donne emigranti: il processo migratorio come desiderio e realizzazione del desiderio
Per le donne che partono, la “Terra promessa” diviene terra della disillusione, dove ci si deve adattare a un
nuovo stile di vita, a differenti orari lavorativi, a un diverso tipo di socialità e affrontare tante difficoltà.
Molte donne sono partite con l’idea di lavorare e mettere da parte i soldi per poi tornare, ma altre, come nel
caso di Nita, affermano che non potrebbero mai tornare a vivere a Capo Verde. In alcuni casi, però, si parte
per poi tornare poco dopo, come per Fatima, che torna perché sente nostalgia del marito, della famiglia, della
casa, del mare. Al suo ritorno, apre una pensione a gestione familiare, mette su famiglia, compra casa e oggi
la sua attività turistica è una delle migliori e più redditizie dell’isola. I racconti di queste donne mettono in
discussione lo stereotipo della donna capoverdiana che emigra spinta solo dalla povertà, che lascia la sua
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