vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ARTISTI IN VIAGGIO
Molti artisti negli anni ’30 sentirono la necessità di allontanarsi dall’Italia e di rifugiarsi all’estero per
brevi o lunghi soggiorni, per cercare di inserirsi in un mercato più dinamico e di entrare in contatto
con realtà avanzate e sperimentali rispetto alla situazione nazionale.
Parigi rappresentò in quegli anni un centro molto attrattivo per gli artisti, in quanto offriva condizioni
adatte allo sviluppo di carriere artistiche, come ad esempio un fervido commercio dell’arte.
La Parigi dell’immediato dopoguerra è una metropoli cosmopolita aperta e tollerante, carica di
entusiasmi e vivacizzata dall’attivismo di galleristi e mercanti, collezionisti e artisti, dalla presenza
di musei e dall’organizzazione di mostre, che la rendono attraente per chiunque si occupi o
interessi di arte. Ciò spiega l’arrivo in città di una moltitudine di artisti provenienti dal resto
d’Europa e dagli Stati Uniti alla ricerca di successo o, più semplicemente, per aggiornare il proprio
linguaggio in quella che continua a essere la capitale mondiale dell’arte e il centro più vivace delle
ricerche d’avanguardia. Gli artisti si trasferirono da Montmartre al quartiere ancora anonimo ma più
moderno di Montparnasse, sede dell’école des Beaus-Arts e di numerose accademie. Qui in tempi
diversi risiedono Modigliani, Brancusi, Chagall, Diego rivera ecc.
Nella capitale francese si forma anche un gruppo di artisti, gli italiens de paris, che furono
fortemente influenzati e ispirati dal clima poetico e intellettuale. Il gruppo, prima conosciuto come “il
gruppo dei sette” venne fondato a Parigi durante gli anni Venti e comprendeva gli artisti: Massimo
Campigli (la cui pittura riesce a svilupparsi nell’ambiente parigino, ma non era riuscita in quello
italiano e fascista), Paresce, Tozzi, de Pisis, Severini, De Chirico e Savinio.
Un altro artista presente in quegli anni a Parigi è Gabriele Mucchi, che era giunto in Francia dopo
un prolifico soggiorno a Berlino.
Anche Berlino accoglie infatti artisti italiani: tra essi lo scultore Ernesto De Fiori, inviso ai fascisti e
poi anche ai nazisti, e proprio in Germania diventò più famoso che in Italia.
Come per de Fiori, la posizione degli artisti italiani oltre confine appare spesso ambigua e
complicata dalle non sempre chiare opinioni politiche, con il sospetto di antifascismo sempre in
agguato. Nella seconda metà degli anni Venti alcuni italiani a Parigi, come de Pisis e de Chirico,
subiscono una campagna denigratoria che li espone all’accusa di fuoriuscitismo. Tuttavia, alla fine
del decennio è il regime stesso a usare in senso propagandistico l’arte degli italiani all’estero.
Alcuni italiani escono anche dal continente, come De Pero che fa un viaggio negli Stati Uniti, a
New York. In mostra è esposta una sua tempera, facente parte di una serie di disegni preparatori
per le scene teatrali di un balletto, che mostrano i grattacieli e la metropolitana, che mostrano
quanto la caotica città americana abbia esercitato del fascino sull’artista.
Vi sono poi esposti artisti stranieri che lavorarono in Italia per rivisitarne tradizioni e modelli: la
scultrice tedesca Wiegmann, che contamina l’arcaismo italiano con un espressionismo
goticizzante; Halliday, della British school of Rome, rielabora da attardato preraffaellita
reminiscenze primitive e quattrocentesche, mentre Cheyssial, aggiorna il classico tema del
paesaggio romano.
ARTE PUBBLICA
In età moderna, l’esigenza di un’arte pubblica e monumentale ha origini assai precoci: già nella
seconda metà dell’Ottocento artisti come Courbet e Manet avevano manifestato l’interesse per
un’arte che si istallasse nelle stazioni, nelle scuole e negli edifici dello stato, che comunicasse a
tutta la popolazione, con linguaggio accessibile e diretto, i grandi temi del progresso e
dell’emancipazione sociale.
In Italia il regime fascista, ben consapevole dell’efficacia e del potere suggestivo delle immagini per
una strategia mirante a organizzare e a consolidare il consenso, incoraggia la realizzazione di
imprese artistiche e decorative nei numerosissimi edifici pubblici e costruiti nel corso del
Ventennio: scuole, università, stazioni, uffici amministrativi, tribunali ecc.
La definizione teorica della questione è offerta da Sironi nel Manifesto della pittura murale (1933),
in cui auspica non solo il superamento della pittura da cavalletto, giudicata intimista e borghese,
ma anche il recupero di una funzione sociale ed educativa dell’arte, capace di integrarsi in modo
paritetico con l’architettura. L’artista deve quindi servire un’idea morale e subordinare la propria
individualità all’opera collettiva.
Prima di Sironi anche Severini era stato uno dei primi a criticare il carattere individualista del
quadro da cavalletto.
La questione continua negli anni a essere al centro dell’attenzione, infatti nel 1933 alla V Triennale
di Milano si tiene la prima grande manifestazione di pittura murale pubblica, in dichiarata polemica
contro il passatismo borghese della pittura da cavalletto. Le sale della Triennale furono riempite da
dipinti e mosaici di Severini (la cui opera è l’unica ancora esistente), Sironi, Carrà, Cagli, Funi, De
Chirico.
Nel 1931-40 più o meno la stessa èquipe di artisti è impegnata nella decorazione del nuovo
Palazzo di Giustizia di Milano, progettato da Marcello Piacentini.
La pratica del muralismo si diffonde, con esiti alquanto difformi, in tutta Italia, dalle grandi città ai
centri periferici, contribuendo al radicamento di uno stile fascista caratterizzato da una retorica
monumentale e marcatamente populista.
In mostra è esposto un grande disegno chiaroscurato su carta da spolvero realizzato da Carlo
Carrà per l’affresco del Giudizio Universale (1939) nel Palazzo di Giustizia. Questi cartoni non
furono tuttavia utilizzati per lo spolvero. L’affresco mostra un impianto volutamente semplice in
quanto era destinato alla visione da parte del grande pubblico.
In mostra è anche presente un cartone preparatorio raffigurante “il mito di Fetonte” realizzato da
Achille Funi per il ciclo di affreschi per la sala della consulta del palazzo comunale di Ferrara. Funi
fu tra i protagonisti del dibattito sulla rinascita della grande decorazione, egli ribadì l’importanza
della pittura murale e dell’esempio dei classici. Di fatti gli affreschi di Ferrara rievocano i fasti
rinascimentali dell’officina ferrarese fondendo poesia, religione, mito e storia in un unico
programma iconografico “il mito di Ferrara”.
Un altro artista che guarda alla pittura greca e romana è Gino Severini. In mostra sono presenti i
bozzetti preparatori per i due cicli di mosaici che realizzò a Roma nel Foro italico. La bicromia e la
scansione figurale dei mosaici riecheggia quella delle pavimentazioni romane e più in generale con
la conoscenza da parte dell’artista della cultura greca e romana.
CONTRASTI
Questa sezione di dipinti mostra come gli anni ’30 furono caratterizzati da tensioni tra ideali e
tendenze artistiche divergenti. Ad esempio vi erano i sostenitori di un’arte pura che criticavano
quell’arte ispirata dalla realtà, dai fatti e dal popolo, chi voleva un rinnovamento in senso
modernistico dell’arte e chi invece rimase più legato alla tradizione, i sostenitori della pittura murale
contro quelli della pittura a cavalletto ecc. Vi erano stati poi episodi di forte tensione come la
mostra monacese di “arte degenerata” (entartete Kunst) del 1937: manifestazione contro l’arte
moderna o contro forme d'arte che riflettevano valori o estetiche contrarie alle concezioni naziste,
di eccezionale efficacia propagandistica. Alla mostra seguì l’eliminazione delle opere
espressioniste e astrattiste dai musei pubblici. Nella stessa Monaco le viene contrapposta la prima
Grande esposizione di arte tedesca, altrettanto politicizzata ma con segno opposto. Inaugurata da
Hitler, presenta dipinti e sculture che nell’intenzione degli organizzatori rappresentano la vera
bellezza e celebrano il popolo tedesco. Erano opere che si proponevano di conservare i valori
creduti tipici della razza ariana e della sua tradizione culturale. La mostra celebrava la nuova e
pura arte nazionale, contrapposta agli orrori dell’”arte degenerata” delle avanguardie
espressioniste e cubiste.
Pezzo forte della mostra era “i quattro elementi” di Adolf Ziegler, in cui i nudi presenti danno
forma agli ideali raziali del nazismo, rappresentando quattro nudi che sono esemplari della pura
razzia ariana.
Proposti invece allo scherno del pubblico nella mostra di “arte degenerata” del 37 sono le opere di
George Grosz e Otto Dix.
L’opera in mostra, “dopo l’interrogatorio”, mostra la tendenza di Grosz a rappresentare nei suoi
dipinti da dura realtà del proprio tempo. Mentre le sue opere in Germania vengono distrutte,
l’artista, rifugiatosi negli Stati Uniti, realizza questo acquarello che rappresenta una scena del
crimini e nel quale viene messa in scena una condizione umana segnata dall’alterazione del
ragionevole, da una follia che cresce nutrendosi di mostruosità quotidiane. L’acquarello di Dix
mostra quanto le crudezza della rappresentazione del corpo femminile dell’opera, anticlassica e
antigraziosa, fossero agli antipodi del classicismo artefatto e di maniera della pittura promossa dal
regime nazista.
Anche in Italia opere dalle tendenze artistiche più moderne vennero aspramente criticate. Ad
esempio “il caos” di Birolli venne presa ad esempio di arte degenerata, soprattutto per il suo
carattere espressionista, e per la sua lettura complessa ed enigmatica. Anche “Veduta di Roma” di
Cagli venne criticata perché giudicata da molti troppo espressionista, poco celebrativa e
irrispettosa della romanità. Anche le opere scultoree di Fontana, dal carattere astratto. A essere
messa in discussione è la stessa possibilità di definire scultura l’opera.
Anche in Italia vi era una dialettica tra divergenti tendenze artistiche e a cavallo del 1940 questa si
manifesta nella rivalità tra i Premi Cremona (1939-41) e i Premi Bergamo (1939-42). Il primo è
sintonizzato sull’onda delle mostre hitleriane ed era patrocinato dal regime fascista, mentre il
secondo è più attento alla qualità della pittura e funziona perciò da palestra per tanti giovani pittori
aperti alle suggestioni d’Oltralpe e destinati al rinnovamento artistico dell’Italia liberata. Il premio
Bergamo costituisce così, in ambito nazionale, uno dei rari spazi aperti all’autonomia espressiva.
Opere p