Analisi dell'umorismo in italiano - Appunti
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ESTRATTO DOCUMENTO
dolore dell'uomo ma la Natura non si preoccupa nè della felicità nè dell'infelicità dell'uomo, perchè
lei non ha creato il mondo per l'uomo e dice ancora che la vita dell'universo è un ciclo di nascita e di
morte; alla fine l'islandese muore, non si capisce se sbranato da un leone o coperto da una tempesta
di sabbia. L’uomo, figlio di una Natura matrigna, destinato alla sofferenza e alla morte, non ha che
un solo modo per affermare la sua dignità: guardare in faccia serenamente la realtà e il proprio
destino, non aggrapparsi a illusioni, riconoscere la propria miseria, e in questo riconoscimento,
trovare una ragione di vita. Perciò, ogni volta che Leopardi pensa al dolore dell’uomo, alla vanità
delle illusioni e delle speranze, un senso di pietà lo commuove ed egli piange il triste destino suo e
degli altri. Ma se l’uomo è incapace di guardare in faccia la realtà e si culla in vane illusioni, il
Leopardi si sforza, anche con spietatezza e ironia, di “chiarirgli” quale sia il suo destino.
GOZZANO
Nell'ambito della crisi della cultura positivistica e nel pieno successo dei topoi dannunziani
spiccano le soluzioni tematiche ed espressive di l'esponente di maggior
Guido Gozzano,
importanza della poesia crepuscolare, che propone una risposta nuova alla modernità. La risposta di
Gozzano appare complessa e non riconducibile ad un semplice rifugio nostalgico nel passato e nelle
"buone che lo contraddistinguono Il suo
cose di pessimo gusto" ( L'Amica di Nonna Speranza ).
atteggiamento e in alcuni casi nei confronti di alcuni miti dannunziani ( la donna
ironico parodico
e l'amore fatale, il superuomo esteta...), il suo dalla concitazione urbana e dal progresso
distacco
esaltato dall'età giolittiana spiegano la sua incapacità ( inettitudine ) a cavalcare gli idoli della
modernità. Egli è sia storicamente che esistenzialmente a condividere l'esaltazione
inadatto
futurista per la vita, accesa dall'energia di macchine, voli, folle plaudenti. Inadatto è del resto
Gozzano ad adottare forme espressive indirette, intuitive ove trionfi l'analogia arrischiata e
proliferante del testo parolibero. Egli necessita di stabili riferimenti temporali e spaziali, che lo
riportano a toni descrittivi anche se demistificatori.
L'opera costituisce un interessante esempio di nella quale il pessimismo
lirica post-dannunziana,
ironico e la coscienza critica dell'autore appaiono mezzi nuovi di analisi delle convenzioni borghesi.
BERGSON
Il riso, la società e la vita nella teoria della comicità di Henri Bergson
Nelle pagine di questo suo libro, Bergson muove
Un'idea antica: il riso ha una funzione sociale.
innanzitutto da una constatazione di natura generale: se il riso è un gesto che appartiene a pieno
titolo al comportamento umano, allora deve essere lecito domandarsi qual è il fine che lo anima.
Ora, per comprendere il fine cui mira un comportamento si deve in primo luogo far luce sulle
occasioni in cui accade.
"Non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano" .Questa affermazione può
lasciarci di primo acchito perplessi: si può ridere infatti anche di un cappello o di un burattino di
legno. E tuttavia, se non ci si ferma a questa constatazione in sé ovvia, si deve riconoscere che in
questi casi il rimando a ciò che è umano gioca un ruolo prevalente e comunque ineliminabile: di un
cappello ridiamo perché vi vediamo espresso un qualche capriccio estetico dell'uomo, così come
nella marionetta l'immaginazione scorge i gesti impacciati di un uomo sgraziato. Alla massima
antica secondo la quale l'uomo È l'animale che ride si deve affiancarne dunque una moderna:
l'uomo È un animale che fa ridere.
Il riso scaturisce solo di fronte a ciò che appartiene direttamente o indirettamente all'ambito
propriamente umano; perché possa tuttavia scaturire è necessario che chi ride non si lasci
coinvolgere emotivamente dalla scena che lo diverte. Per ridere di una piccola disgrazia altrui
dobbiamo far tacere per un attimo la pietà e la simpatia, e porci come semplici spettatori o - per
esprimerci come Bergson - come intelligenze pure: "il comico esige dunque, per produrre tutto il
suo effetto, qualcosa come un'anestesia momentanea del cuore"
Il riso chiede una sorta di sospensione del legame di simpatia che ci lega a colui di cui ridiamo. E
tuttavia tutti sappiamo che il riso è un'esperienza corale: ridiamo meglio quando siamo insieme ad
altri, ed il riso È spesso il cemento che tiene unito un gruppo di persone. "Il riso, - commenta
Bergson - [...] cela sempre un pensiero nascosto di intesa, direi quasi di complicità, con altre
persone che ridono, reali o immaginarie che siano".
Non è difficile scorgere la nota che accomuna queste tre osservazioni generali: il riso sembra essere
strettamente connesso con la vita sociale dell'uomo, con il suo essere un animale sociale. Possiamo
allora - seguendo Bergson - far convergere i tre punti su cui abbiamo dinnanzi richiamato
l'attenzione in un'unica tesi:”Il "comico" nasce quando uomini riuniti in un gruppo dirigono
l'attenzione su uno di loro, facendo tacere la loro sensibilità, ed esercitando solo la loro
intelligenza". Dunque ,se il riso come comportamento umano sorge nella vita associata, allora si
può supporre che esso risponda a determinate esigenze della vita sociale.
Molti esempi di comicità possono esserle immediatamente ricondotti: una marionetta ci fa ridere
perché i suoi gesti sono rigidi e meccanici. Qui la comicità sorge dalla ripetizione dei gesti, delle
azioni, dei pensieri. "Due volti simili, ciascuno dei quali preso isolatamente non fa ridere, presi
insieme fanno ridere per la loro somiglianza" - diceva Pascal, e tutti sappiamo come un tic fisico o
intellettuale (una frase, sempre la stessa, ripetuta troppo di sovente) sia causa di ilarità. Ma un
meccanismo non è solo ripetizione: è anche staticità. Nell'immagine della macchina si cela infine
anche l'idea del movimento che non sa più aderire al presente, ma segue una regola tanto fissa
quanto sorda alle esigenze del momento. Basta dunque che questa immagine si sovrapponga alla
vita umana perché il riso si faccia avanti. Una simile sovrapposizione si ha per esempio
quando l'anima ci si mostrerà contrariata dai bisogni del corpo - da un lato la personalità morale con
la sua energia intelligentemente variata, dall'altra il corpo stupidamente monotono interrompente
sempre ogni cosa con la sua esigenza di macchina. Quanto più queste esigenze del corpo saranno
meschine ed uniformemente ripetute, tanto più l'effetto sarà vivo.
Non è dunque un caso - commenta Bergson - se i personaggi tragici debbono tenersi lontani da gesti
che tradiscano le esigenze della corporeità, mentre il commediografo potrà senz'altro ottenere il riso
del pubblico rappresentando i suoi personaggi comici in preda a un malanno o ad un fastidioso
singhiozzo che interrompe ogni loro discorso.
Proprio come la vita dello spirito può essere ostacolata nel suo realizzarsi dalle esigenze della
macchina corporea, così la forma della vita sociale può soffocarne il senso. Ciò di cui ridiamo è -
per Bergson - tutto ciò in cui l'immaginazione scorge una sorta di meccanicizzazione della vita.
Quindi tutto ciò che si presenta come maldestro, come non agile, frutto d’automatismo cieco
anzichè di vivente duttilità, suscita il riso e fonda il comico.
Il riso come castigo sociale. La comicità morale e la funzione sociale della commedia.
Il riso deve avere una funzione sociale, e sorge dalla constatazione di una sorta di contraddizione:
ciò che dovrebbe comportarsi in modo libero e vivo sembra assoggettare i suoi gesti a leggi
meccaniche, alla cieca ostinazione del meccanismo. Al riso spetta dunque il compito di sanare
questa contraddizione, richiamando quella parte della società che è colpevole di un comportamento
rigido e ostinato ad un atteggiamento più elastico, ad uno stile di vita più duttile e desto. Il riso è
quindi un castigo sociale.
“È comico - scrive Bergson - qualunque individuo che segua automaticamente il suo cammino
senza darsi pensiero di prendere contatto con gli altri. Il riso è là per correggere la sua distrazione e
per svegliarlo dal suo sogno. [...]. Tutte le piccole società che si formano sulla grande sono portate,
per un vago istinto, ad inventare una moda per correggere e per addolcire la rigidità delle abitudini
contratte altrove, e che sono da modificare. La Società propriamente detta non procede
diversamente: bisogna che ciascuno dei suoi membri stia attento a ciò che gli È intorno, si modelli
su quello che lo circonda, eviti infine di rinchiudersi nel suo carattere come in una torre di avorio.
Perciò essa fa dominare su ciascuno, se non la minaccia di una correzione, per lo meno la
prospettiva di un'umiliazione che per quanto leggera non è meno temibile. Tale si presenta la
funzione del riso. Sempre un po' umiliante per chi ne è l'oggetto, il riso è veramente una specie di
castigo sociale “.
Di questa funzione sociale del riso, la commedia è per Bergson un'espressione esemplare. Tra tutte
le forme di comicità una in particolare sembra stringere un rapporto strettissimo con la sfera
sociale:la comicità morale. Le passioni spesso si prendono gioco di noi e subordinano tutte le nostre
azioni ad un unico meccanismo. E' questo ciò che accade ai personaggi comici di molte commedie:
lo spettatore È chiamato a ridere di un uomo, i cui gesti sembrano quelli di una marionetta, mossa
da un burattinaio - la gelosia, l'avarizia, la pavidità, ecc. - che ci è ben noto e di cui sappiamo
prevedere i movimenti. Di qui la forma di tante commedie che hanno per protagonisti non già
individualità ben determinate, ma personaggi tipici, marionette dietro alle quali traspare la passione
che li domina. Ma di qui anche il fine che si prefiggono: correggere, ridendo, i costumi. Alle forme
propriamente artistiche, caratterizzate dall'assoluta assenza di finalità pratiche si deve contrapporre
dunque la commedia, che è - per Bergson - una forma artistica non autentica, proprio perché
affonda le sue radici nella vita e perché alla vita ritorna come ad un valore da salvaguardare e cui
sottomettere i propri sforzi.
Vi è tuttavia una seconda ragione che spinge Bergson a dedicare tanto spazio alle considerazioni
sulla commedia, ed è propriamente il carattere per così dire teatrale della comicità. Possiamo ridere
soltanto quando la rigidità di un carattere o di un comportamento si fa gesto e si mostra apertamente
agli occhi dell'immaginazione. Ma lo spettacolo comico implica uno spettatore che sappia per un
attimo guardare alla vita come ad una rappresentazione teatrale:
Da ciò il carattere equivoco del comico. Esso non appartiene né completamente all'arte, né
completamente alla vita. Da un lato i personaggi della vita reale non ci farebbero mai ridere se noi
non fossimo capaci di assistere alle loro vicende come ad uno spettacolo visto dall'alto di una
loggia; essi sono comici ai nostri occhi solo perché ci danno la commedia. Ma d'altra parte, anche a
teatro, il piacere di ridere non è puro, cioè esclusivamente estetico, assolutamente disinteressato. Vi
si associa sempre un pensiero occulto che la società ha per noi quando non l'abbiamo noi stessi; “vi
è sempre l'intenzione non confessata di umiliare e con ciò, è vero, di correggere, almeno
esteriormente" .
Il riso sorge così come un gesto che per strappare la vita dalla sua negazione implica una
momentanea sospensione della vita stessa: è dunque una contemplazione della vita volta a sanare i
pericoli che la mettono in forse.
Il riso e la metafisica bergsoniana.
Se il riso È un castigo sociale, allora si deve aggiungere che talvolta sembra castigare anche là dove
non ce n'è alcun bisogno.
Non solo: di un vizio morale come l'avarizia o la gelosia, noi non sempre ridiamo, poiché - osserva
in primo luogo Bergson - il riso chiede che il vizio da castigare non ci coinvolga troppo da vicino e
ci permetta di mantenere la posizione dello spettatore.
In secondo luogo, tuttavia, Bergson attira la nostra attenzione sul fatto che uno stesso vizio -
l'avarizia, per esempio - può talvolta suscitare il riso, talvolta il nostro disprezzo. Ora, la diversità
della reazione non dipende solo dalla gravità della colpa, ma soprattutto dal modo in cui questa si
palesa. E ancora una volta il cammino da seguire ci è indicato dall'esperienza letteraria. Gli eroi
tragici ci rivelano il loro carattere nelle azioni, e con azioni Bergson intende i comportamenti
volontari della soggettività. Il personaggio comico invece si rivela nei gesti, e cioè in quei
movimenti e in quei discorsi nei quali uno stato d'animo si manifesta senza scopo e senza alcuna
premeditazione. Nell'azione la persona intera è in gioco, nel gesto una parte isolata della persona si
esprime all'insaputa o (per lo meno) in disparte dell'intera personalità .Il gesto - potremmo allora
esprimerci così - è una sorta di irruzione improvvisa dell'inconscio nella vita desta, ed è proprio
questo carattere di involontarietà e di immediatezza che ci fa apparire comico anche un vizio che
detestiamo.
Ma se il comico si esprime nel gesto, anche il riso è a sua volta un gesto sociale di cui si deve
sottolineare l'immediatezza: non bisogna dunque stupirsi se
non ha tempo di osservare sempre dove tocca [... e se] talvolta castiga certi difetti come la malattia
castiga certi eccessi, colpendo gli innocenti, risparmiando i colpevoli, mirando verso un risultato
generale, senza preoccuparsi del singolo" .
Così, accanto alla tesi secondo la quale il riso sorge come prodotto di un'antica abitudine sociale,
Bergson viene sempre più chiaramente sostenendo che "il riso è semplicemente l'effetto di un
meccanismo datoci dalla natura" . Ed in questa prospettiva, il problema di un addestramento al riso
non si pone, poiché il riso ci appare come una manifestazione diretta della natura, come una difesa
immediata della vita che è la vita stessa a donarci, armandoci di una sorta di istintiva reazione alla
comicità. Se dunque Bergson non si impegna sul terreno delle considerazioni sociologiche è proprio
perché intende rispondere alla domanda sulle origini del riso sul terreno di una autentica metafisica
della vita. La lotta tra l'urgere dinamico e multiforme della vita e la resistenza cieca e sorda che la
materia le impone trova già qui, nella disamina sul comico, la sua prefigurazione. Così, non ci si
deve stupire se l'abitudine al riso è tanto antica da affondare le sue radici in un meccanismo della
natura: il riso è sì un castigo sociale, ma le sue origini non appartengono alla società, ma alla vita
stessa e debbono essere quindi viste sullo sfondo della lotta tra lo slancio vitale e l'inerzia della
materia. MOTTO DI SPIRITO COME AZIONE INNOVATIVA
Attraverso Freud e Aristotele, Schmitt e Wittgenstein,Virno traccia un sentiero che attraversa e
connette filosofia del linguaggio e della politica. Infatti quando coniamo una battuta che altera
all’improvviso l’andamento della conversazione facciamo appello infatti alle stesse risorse
cognitive ed emotive che utilizziamo per affrontare una crisi esistenziale o un rivolgimento politico.
Un percorso in cerca di strumenti adeguati non solo a comprendere le forme di vita contemporanee,
ma anche a costruire una vera e propria «logica Fra i fenomeni
del cambiamento».
linguistici, proprio il motto di spirito racchiude in sé i meccanismi più raffinati della creatività e
dell'innovazione. Il riferimento costante è il saggio di Freud sul Witz, l’interpretazione dell’arguzia
però è rigorosamente non-freudiana. Infatti si propone come alternativa al witz freudiano
riprendendo gli spunti più interessanti della sua opera e rielaborandoli dal proprio punto di vista.
Il motto di spirito,sostiene Freud,richiede la presenza della terza persona,ovvero di un pubblico che
verifichi la riuscita del motto. Quindi il motto diventa,oltre a un’azione linguistica,un’azione
pubblica.
Il motto di spirito fa affiorare delle caratteristiche comportamentali dell'animale umano che non
dipendono dalla condizione storica e normativa in cui si è evoluto. Regredire a questo insieme di
comportamenti prepara il terreno dell'azione innovativa.
Virno ricostruisce, attraverso parole-chiave ricavate dall’”Etica” di Aristotele, le caratteristiche di
tale azione. L'animale linguistico è un essere in agguato, teso a cogliere il “kairòs”, l'occasione
propizia per fare la sua mossa e rendere comprensibile e sensato il motto. È un essere che coltiva la
“phronesis”, intesa non come saggezza o prudenza,ma come capacità o virtù dell'individuo di
attivare strategie adeguate di conservazione e innovazione applicando la giusta norma a una
situazione contingente. Un essere che,utilizzando un “orthos discorso corretto, pur
logos”,un
partendo da “éndoxa”condivisi, cioè da opinioni e credenze diffuse (gli usi linguistici di
Wittgenstein), le mette continuamente in discussione, contribuendo così a trasformare la
grammatica della propria forma di vita.
Il motto ha luogo nello scarto ineliminabile tra una regola e la sua applicazione,che corrisponde alla
stessa distinzione tra piano semiotico(segno)e piano semantico(discorso).
Una regola infatti, sia essa giuridica, linguistica o ludica, si può applicare in molti modi diversi. La
regola non può suggerire le modalità concrete della propria applicazione. Nelle “Ricerche
filosofiche” Wittgenstein mette in luce queste conclusioni in ambito linguistico e le loro ricadute sul
piano filosofico. Ogni individuo possiede delle convinzioni generali sul mondo,sull'ambiente in cui
vive, sulla propria esistenza. Convinzioni né vere né false, perché non sono oggetto di conoscenza,
bensì ereditate dal contesto in cui si sono formate. Esse rappresentano, per così dire, le norme
generali o le «regole grammaticali» di quella particolare forma di vita. Quindi sono il substrato del
sapere. A queste regole si affiancano le vicende ordinarie della vita individuale, i fatti empirici, le
decisioni prese in situazioni determinate, i giudizi formulati sullo sfondo e sulla scorta della
grammatica a nostra disposizione.
Fra quelle regole e questi fatti esiste sempre un divario entro cui si attualizza l'azione
individuale,l'applicazione concreta delle regole generali.
Ora, sostiene Virno, il motto di spirito si può definire come una specifica applicazione della regola
che mette in risalto quel divario. Le regole stesse, infatti, sono state a loro volta proposizioni e fatti
empirici, che l'uso ha progressivamente irrigidito e `congelato' in forme grammaticali. Ma nuovi
fatti e nuove proposizioni possono mettere in crisi quelle strutture,
scongelando le vecchie regole per formarne di nuove. Oltre Wittgenstein, quindi, Virno invita a
illuminare questa `zona grigia' che sussiste fra regola e applicazione, attraversata da proposizioni
semifluide o semirigide. Questo è infatti il terreno privilegiato dell'azione innovativa, vero e proprio
«stato di eccezione» su cui tracciare inediti diagrammi di trasformazione.
Freud inoltre suddivide i motti in base alle risorse fonetiche,semantiche e logiche individuando
“motti e “motti I primi rappresentano il corpo materiale di un enunciato,e
verbali” concettuali”.
sono dunque il significante ;quelli concettuali sono l’insieme dei contenuti semantici e
rappresentano il significato. Tuttavia lo stesso Freud si rende conto che si tratta di una distinzione
labile e precaria poiché molti motti si collocano da entrambe le parti. Dunque Virno individua la
loro forma logica nelle “fallacie argomentative”.
Nell’opera di Aristotele “Confutazioni sofistiche” vi è una suddivisione dei ragionamenti
paralinguistici in quelli basati sull’espressione(motti verbali) e quelli indipendenti
dall’espressione(motti concettuali).
Virno,invece,supera questa distinzione e li suddivide in paralogismi che combinano in modo
diverso i dati di partenza,quindi in questo modo un enunciato contiene due significati contradditori
e in fallacie che deviano il discorso introducendo elementi molteplici. Nella tassonomia di Freud si
parla di “impiego e di “spostamento
molteplice dello stesso materiale” dell’accento psichico”
considerati da Virno i due principali generi di motto e le risorse logiche dell'azione innovativa.
Questo aiuta a cogliere le forme più specificamente politiche dell'azione innovativa, che Virno
definisce come «innovazione imprenditoriale» ed «esodo». La prima non ha niente a che vedere con
l'imprenditorialità tipica del modo di produzione capitalistico, ma indica la capacità tipica
dell'animale linguistico che si attiva solo in certe condizioni, per rompere equilibri esistenti,
giocando sulla polisemia degli elementi a disposizione. L'esodo corrisponde invece a un
cambiamento di discorso improvviso e inaspettato,un'attività che consiste nel porre problemi nuovi
e immaginare soluzioni inedite che sfuggano alla grammatica sociale e politica esistente.
Le parole del motto di spirito, conclude Virno, sono sempre troppo poche. La dinamica del motto è
come una carta geografica appoggiata sul terreno che intende descrivere. Immagine imperfetta della
totalità ma anche sua parte circoscritta, con l'ambivalenza dei propri simboli e diagrammi, talvolta
utili talvolta ingannevoli, perché riduttivi. Ma per cambiare rotta, potremmo dire, non occorre una
carta del nostro futuro. Le mappe dell'azione innovativa sono già a nostra disposizione.
Il motto di spirito,scrive in sintesi Virno, «è il microcosmo nel quale si danno nitidamente a vedere
quei mutamenti di direzione argomentativa e quegli spostamenti di significato che, nel macrocosmo
della prassi umana, provocano la variazione di una forma di vita».
IL MOTTO DI SPIRITO E LA SUA RELAZIONE CON L’INCOSCIO
Il riso (o il sorriso) che scatta con il comico, mostra in atto un fenomeno energetico, i cui aspetti
1.
quantitativi sono in primo piano ed evidenti per tutti. Per Freud nel riso si scarica una tensione ed è
spesa un'energia che nella serietà corrente della vita deve essere altrimenti impegnata. E' questa
dissipazione improvvisa, che il riesce a promuovere, ad essere piacevole.
Witz
Freud è quasi ossessionato in quest'opera da una sorta di contabilità psichica che il il comico e
Witz,
l'umorismo attivano e presuppongono. Il valore dei motti di spirito, delle barzellette e della
comicità, in genere, è per Freud di tipo economico: infatti con questo metodo la nostra psiche riesce
a liberare energie, altrimenti bloccate nell'inconscio, e contemporaneamente raggiunge un preciso
obiettivo: la liberazione di desideri sessuali o aggressivi al fine di raggiungere il piacere.
Il motto di spirito riesce a «stornare» investimenti impegnati comunemente
nel lavoro logico
o nei processi di astrazione
o nell'impiego richiesto dall'aderenza al reale, dal rapporto con la realtà - nelle
o limitazioni e inibizioni imposte dalla censura, cosciente o inconscia.
Dunque la funzione del riso consiste in parte nell' «alleggerire momentaneamente le pressioni
utilitarie». Ma la concezione freudiana sembra estendere notevolmente l'area rispetto alla quale il
riso rappresenta un disimpegno.
Qualsiasi cosa si voglia pensare oggi di quest'impostazione economica ed «energetica», si manifesta
in essa l'esigenza di non disgiungere la componente psicofisiologica e edonica del riso dagli altri
importanti fattori (morfologici, linguistici, circostanziali) che caratterizzano il ma di cogliere
Witz,
la necessaria connessione tra le strategie psicosociali, linguistiche, retoriche del comico e il
fenomeno di dissipazione piacevole che si scarica nel riso attraverso il corpo, la motilità e la voce.
La metapsicologia del e del comico cercano di rendere pensabile questa connessione,
Witz
l'articolazione tra le forze in gioco e il senso specifico che qui si manifesta. In questa prospettiva
Freud stesso sintetizza conclusivamente la sua analisi così:
Il piacere dell'arguzia (Witz) deriva dal il piacere della comicità
dispendio inibitorio risparmiato,
dal (o d'investimento) risparmiato e il piacere dell'umorismo dal
dispendio rappresentativo
dispendio emotivo risparmiato.
Nella formulazione del motto di spirito e della comicità Freud trova gli stessi meccanismi
2.
operanti nel sogno: la condensazione, come quella, divenuta celebre, di «familionari», il gioco di
parole che creato da Heine; le sostituzioni, i travestimenti, le trasposizioni, lo smascheramento, la
caricatura, la contraffazione, eccetera.
Ma sarebbe sbagliato identificare semplicisticamente comicità e sogno, perché sono assai diversi sia
i regimi di coscienza implicati (nel sogno si dorme, nel motto di spirito si è ben svegli); sia la
funzione comunicativa, che il sogno non possiede altrettanto esplicitamente rispetto al e infine
Witz;
il carattere pluripersonale del motto di spirito, che comporta come minimo il coinvolgimento di due
o tre persone.
Una volta compiuta la distinzione tra sogno e motto di spirito, la si deve subito attenuare, perché
anche il motto è senz'altro una via di accesso all'inconscio, nel quale si tuffa istantaneamente per
subito riemergere. Quindi l'affinità col sogno è evidente.
Freud assegna un ruolo complementare alla seconda e alla terza persona nel compimento del motto
in azione.
E' tuttavia innegabile che il motto «viene», zampilla involontariamente nella mente di chi lo crea,
che ne può ridere anche fra sé e sé - . Esso si genera nel gioco tra preconscio e inconscio di chi lo
produce, con un automatismo che può essere talvolta socialmente imbarazzante e trascurare le
convenienze o le alleanze con una parte, se non con tutto l'uditorio, che pure è implicato nella sua
produzione.
Ciò che è comico per qualcuno, può non esserlo per tutti, e per le più varie ragioni. Talvolta il
comico si sviluppa a spese e a danno di qualcuno. Lo sviluppo del motto e del comico richiedono
«concordanza» psichica o almeno una disponibilità per tale concordanza. Il produce
Witz
affratellamento tra gli uomini, ratificando un «patto di complicità tra emittente e destinatario» del
che riguarda il non detto, il non dicibile in quanto appartenente all'inconscio linguistico; ma al
Witz,
tempo stesso presuppone in grande misura l'intesa che rinforza.
Un terzo punto riguarda l'implicazione regressiva e infantile del motto di spirito e del riso. Il riso
3.
si ricollega all'età nella quale «non conoscevamo il comico, non eravamo capaci di motteggiare e
non avevamo bisogno dell'umorismo per sentirci felici di vivere». E' all'infanzia beata che ci si deve
rivolgere per comprendere il riso. E in un duplice senso.
Intanto la vita psichica del piccolo bambino richiede ancora un impegno energetico modesto, anche
grazie al soccorso protettivo dell'adulto. Ciò rende il bambino disponibile a ridere, ma anche a
piangere, per un nonnulla.
E poi il ricorso all'ipotesi che il riso abbia come suo precursore il sorriso del lattante sazio e
soddisfatto dopo la poppata al petto materno. Nella nota che dedica a ciò, il problema posto da
Freud riguarda «la spiegazione fisiologica del riso», il quesito, tipicamente darwiniano, «di sapere
donde derivino o come si possano interpretare le azioni muscolari proprie del riso». Siamo ancora
lontani dai successivi sviluppi di quest'idea.
Il saggio freudiano sull'Umorismo, del 1927 prospetta l'umorismo nel teatro mentale del gioco
4.
tra Io, super-Io ed Es. L'umorismo riesce ad attuare il ripudio di una realtà avversa e l'affermazione
vittoriosa del principio di piacere, ottenendo in questo l'accordo del Super-io, la sua complicità o la
temporanea sospensione della sua severità. In questo modo l'umorismo si inserisce «nella grande
schiera dei metodi costruiti dalla psiche umana per sottrarsi alla costrizione della sofferenza, una
schiera che comincia con la nevrosi, culmina nella follia, e nella quale sono compresi
l'intossicazione, lo sprofondamento in se stessi, l'estasi». Tuttavia, come l'arte, l'umorismo
manifesta questo suo potere analgesico «senza uscire dal terreno della salute psichica».
Nell'umorismo Freud coglie un che di un'affermazione dell'invulnerabilità
grandioso e nobilitante,
dell'Io contro l'avversità e i traumi del mondo esterno.
EFFETTI BENEFICI DEL RISO
Tra tutti gli esseri viventi, solo l'uomo ha il dono del sorriso. Infatti ridere è un'attività tipicamente
umana legata, sembra, a fattori organici. E' l'uomo e non l'animale, a essere dotato del muscolo
risorio del Santorini, situato lateralmente alle labbra, che quando si contrae fa ritrarre la bocca. Il
risorio e il grande zigomatico provocano, fisicamente la risata.
Ridere é un'espressione innata. Tutti abbiamo la facoltà di ridere, indifferentemente a quale cultura
apparteniamo o in quale parte del mondo viviamo. Il primo sorriso compare sul volto di un bambino
entro le prime sei settimane di vita, ed é, con il pianto, uno dei pochi mezzi che ha per comunicare.
E' per questo che, anche alla luce del Pensiero Positivo e dei suoi insegnamenti, nell'ambito delle
nuove terapie alternative alla medicina tradizionale è nata la "Comicoterapia", un metodo di
guarigione che trova le sue basi nella (dal greco "gelos", che vuol dire "riso"), ma
Gelotologia
anche nella medicina psicosomatica e nell'immunologia neuro-psichica.
Gli effetti psicologici e biologici del riso sono tutti positivi.
Ridere infatti è un esercizio muscolare e respiratorio, che permette un fenomeno di
• purificazione e liberazione delle vie respiratorie superiori.
Ridere inoltre possiede una funzione depurativa dell'organismo per espulsione dell'anidride
• carbonica, e permette un miglioramento delle funzioni intestinali ed epatiche.
Ridere combatte la stitichezza perché provoca una tale ginnastica addominale che rimesta in
• profondità l'apparato digestivo. Sullo stato generale di salute, ridere combatte la debolezza
fisica e mentale: la sua azione infatti causa una riduzione degli effetti nocivi dello stress.
Ridere calma il dolore, in quanto distrae l'attenzione da esso (calma temporanea) e quando
• lo stesso dolore riappare non ha più la stessa intensità.
Ridere è un primo passo verso uno stato di ottimismo che contribuisce a donare gioia di
• vivere, e quindi ha delle proprietà antidepressive.
Nel c’è una zona specifica a trasmettere il segnale: si tratta di particolari strutture, il
CERVELLO
limbo e l'ippocampo in cui si trovano i circuiti legati alle emozioni. Oltre a questi circuiti, si
attivano i nuclei grigi della base encefalica e il corpo striato, ma è il talamo che sovrintende alla
risata come centro sensoriale, mentre il corpo striato induce le reazioni motorie. Gli stimoli del riso
e del pianto hanno origini simili e i segnali di inizio di una fragorosa risata, così come di un pianto
dirotto, partono da una stessa zona cerebrale. La teoria che il riso faccia bene alla salute, in quanto
sembra che riduca certi inibitori delle difese immunitarie, è avallata da dai risultati di numerose
ricerche, che rafforzano la convinzione dell'esistenza di importanti interazioni fra la mente e il
sistema immunitario.
Il riso fa aumentare la produzione di quegli ormoni, quali l'adrenalina e la dopamina,
ORMONI:
che hanno il compito di liberare le nostre morfine naturali: endorfine, encefaline e simili.
Le provocano una diminuzione del dolore e della tensione, permettendo il
ENDORFINE
raggiungimento di uno stato di relax e tranquillità.
Le sembrano esaltare il sistema immunitario, aiutando a meglio combattere le
ENCEFALINE
malattie. quando si ride parte della muscolatura, soprattutto a livello del torace e degli
MUSCOLATURA:
arti superiori, alternativamente si contrae e si rilassa e innesca una ginnastica addominale che
migliora le funzioni del fegato e dell'intestino.Solo col riso muoviamo alcuni muscoli del corpo e
soprattutto del viso. Quando il cervello invia il messaggio "ridi", ben quindici muscoli del viso
vengono attivati dal segnale. La risata si riflette dall'espressione facciale ai muscoli del torace e
dell'addome (le spalle e il torace si sollevano aritmicamente) sino agli sfinteri.
il primo beneficio provocato da una risata lo riceve la respirazione, che grazie
RESPIRAZIONE:
ad essa diviene più profonda. L'aria nei polmoni viene rinnovata attraverso fasi di espirazione e
inspirazione tre volte più efficace che in stato di riposo. Le alterazioni del ritmo respiratorio
vengono intervengono sull'ossigenazione del sangue.
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti Analisi dell'umorismo in italianoin cui vengono trattati i seguenti temi: Pirandello e La poetica dell’umorismo, Svevo e la tipologoia dell'"inetto", Le "operette morali" di Leopardi, Gozzano e la poesia crepuscolare, Il riso, la società e la vita nella teoria della comicità di Henri Bergson, Effetti benefici del Riso.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MrStout di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di analisi dell'umorismo in italiano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Scienze Storiche Prof.
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