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La produzione di massa e il taylorismo
In effetti gli USA entrarono per primi in una nuova era, caratterizzata dalla produzione di massa e dal consumo di massa. La produzione di massa richiede un grande incremento della produttività: ogni singolo lavoratore produce una quantità di prodotto maggiore rispetto al passato, ragion per cui il prezzo di vendita cala e il consumo di massa ne è il risultato.
Cominciamo dalla produzione e dal modo in cui un ingegnere, Frederick Taylor, immaginò di perfezionarla. A suo avviso, bisognava:
- analizzare scientificamente i singoli gesti di cui era composta l'attività di un lavoratore,
- fare in modo che ogni lavoratore fosse indotto a modificarli uno per uno, fino a trovare il giusto modo di eseguirli.
Il taylorismo aveva un che di utopico. Una concreta soluzione venne proposta negli anni 1913/1914, negli impianti per la produzione delle automobili del grande industriale Henry Ford, nella città di Detroit. Qui venne realizzato un nuovo tipo di...
impianto intero. Inoltre, il lavoro diventava estremamente ripetitivo e monotono, poiché ogni operaio si occupava solo di un'operazione specifica e ripeteva la stessa azione per tutto il turno. Questa forma di organizzazione del lavoro, sebbene efficiente dal punto di vista della produzione di massa, ha suscitato molte critiche per la sua deumanizzazione e alienazione degli operai. Infatti, il lavoro sulla catena di montaggio richiedeva una riduzione delle competenze e delle responsabilità degli operai, che diventavano semplici esecutori di compiti ripetitivi. Nonostante ciò, la catena di montaggio ha rappresentato una svolta nella storia dell'industria, permettendo di aumentare la produttività e ridurre i costi di produzione. Questo sistema è stato ampiamente adottato nel settore automobilistico e ha contribuito alla diffusione delle automobili come bene di consumo di massa. In conclusione, la catena di montaggio è stata un'innovazione rivoluzionaria nell'organizzazione del lavoro, ma ha anche sollevato importanti questioni etiche e sociali legate alla condizione degli operai.gigantesco organismo collettivo, basato su un perfetto coordinamento. Ford si spinse anche oltre, ritenendo che l'azienda dovesse controllare anche la vita privata del lavoratore, in modo da tutelarsi da ogni genere di disordine. Gli studiosi parlano di una "città fordista". Potremmo citare altri esempi simili, come ad esempio in Italia, a Torino, la Fiat. Questa nuova realtà non rappresenta solo un nuovo modo di produrre, ma anche una grande metafora dei rischi, che la modernità del novecento porterà con sé. Essa privilegia lo spirito gerarchico e la subordinazione delle esigenze individuali a quelle collettive, dell'elemento umano alla macchina e "l'alienazione". Le immagini più note sono quelle fornite dal film "Tempi moderni" di Charlie Chaplin. "Incatenato alla produzione in quanto operaio, l'individuo è stato liberato dal bisogno in quanto consumatore". Ford pensava infatti.ai lavoratori, come ai migliori consumatori della merce, che producevano. Per incoraggiarli al consumo, perciò concesse ai suoi lavoratori salari più elevati, addirittura raddoppiandoli nel 1914, inoltre promosse la riduzione degli orari di lavoro. La sua fu una nuova forma di paternalismo, inteso a procurare al nuovo capitalismo, oltre ai profitti, anche il consenso delle masse. Nel 1924, la metà di tutte le automobili circolanti al mondo erano Ford. Era un'auto robusta e versatile, adatta sia per andare al lavoro, che per fare una gita o trasportare merci. Tennero testa alla Ford altri due giganti: General Motors e Chrysler. L'espansione nel mercato dell'auto implicò quella dei pneumatici e del petrolio e la costruzione di strade e autostrade. Telefoni e radio divennero di uso comune come frigoriferi, aspirapolveri, lavatrici e altri elettrodomestici. Il mercato immobiliare andò incontro a uno straordinario boom. Chi momentaneamente non aveva i mezzi per comprare una casa, poteva sempre affittarla.disponeva di contante si sentì incoraggiato a comprare a rate.
Il valore della borsa salì alle stelle.
I presidenti Harding, Coolidge e Hoorver, che si alternarono alla guida del governo federale furono tutti repubblicani.
Le autorità monetarie ridussero i tassi di interesse.
Il boom sembrava dovesse continuare all'infinito.
La grande crisi
L'economista statunitense Charles Kindleberger ha sostenuto che, negli anni 20, c'era una evidente relazione tra sovrainvestimento e sottoconsumo: ovvero, la distribuzione della ricchezza impediva ai ceti popolari di accedere alla maggiore quantità di beni disponibili, se non attraverso un incremento anorme degli acquisti a debito.
Un esempio fu il caso del mercato dei prodotti agricoli, che, tra il 1925 e il 1929, era entrato in una fase di diminuzione eccessiva dei prezzi, per eccesso dell'offerta e debolezza della domanda.
L'economia statunitense cominciava a lanciare segnali di allarme già nel
1928. In grande difficoltà erano proprio il settore agricolo, dove ci furono fallimenti ed espropri, e quello delle banche di provincia, inclini al credito facile. Aumentarono anche le difficoltà per il settore immobiliare. Fu così che l'anno seguente, il 1929, Wall Street, sede del mercato finanziario più importante d'America, venne alla ribalta mondiale perché, il 29 ottobre, ricordato con l'espressione "martedì nero", il mercato azionario crollò. Le azioni di una società rappresentano tante piccole quote del patrimonio della società stessa; le variazioni del loro valore dipendono dal buon o dal cattivo andamento economico dell'impresa. In pratica: il signor Smith acquista azioni, perché convinto che, comprando a 5, potrà poi rivendere a 8 al signor Brown, che a sua volta sarà convinto di poter rivendere a 10 e così via. In questo senso la speculazione è regolata,
Non solo da freddi ragionamenti economici, ma anche da un'euforia collettiva. Però contagioso può essere anche il pessimismo e, se si radicalizzasse, potrebbe prendere vita un'onda di panico collettivo. Di conseguenza i valori crollerebbero. Qualcosa del genere accadde a Wall Street tra l'inizio del 1928 e il settembre del 1929. I titoli su quel mercato si erano quasi raddoppiati in due anni, ma il rialzo si trasformò in ribasso; il tentativo di trasformare in denaro contante i titoli, provocò un'onda di vendite di azioni e un brusco calo dei valori, che si trasformò in un vero e proprio crollo. L'indice Dow Jones, l'indice azionario più importante della borsa di New York, tornò al punto di partenza, ma gli intrecci tra l'economia dei titoli azionari e l'economia reale delle imprese e del lavoro, erano tali da rendere difficile, per gli investitori, capire se e quando vendere o acquistare. La discesa non si fermò.
Le imprese ridussero la produzione e i salari, licenziarono e fallirono. 13 milioni di persone rimasero d'un tratto disoccupate. I debitori non riuscivano a pagare, i creditori non riuscivano a esigere i loro crediti.
L'ondata investì anche l'Europa, a incominciare dalla Germania. Anche qui ci furono fallimenti a catena di imprese e disoccupazione di massa.
Alcuni storici definiscono questo fenomeno "la grande depressione", altri invece "la grande crisi".
Ci sono due elementi di somiglianza tra queste due situazioni:
- Calarono i prezzi delle merci e i salari, quindi si ebbe la deflazione
- I governi aumentarono i dazi sulle merci straniere in entrata, ovvero fecero protezionismo e il valore del commercio internazionale si ridusse di quasi 2/3.
Accentuava il dato la polemica lanciata dal movimento comunista internazionale, che proponeva il sistema sovietico, come una concreta credibile alternativa ai fallimenti del nemico.
capitalista. L'economista britannico Keynes, con la sua tesi, sosteneva che: "Non è detto che il mercato sia destinato a riprendersi da sé, quando le cose si mettono male. Al contrario, può mettersi in moto una spirale depressiva, cioè un meccanismo, per cui tutti i fattori della produzione si influenzano negativamente l'uno l'altro. La spirale depressiva ha carattere deflazionistico, ovvero prezzi e salari, investimenti e consumi, vanno verso ulteriori ribassi, scoraggiando nuovi investimenti." Keynes consigliava di promuovere politiche monetarie espansive, puntando su una moderata inflazione e sull'incremento delle spese pubbliche. La dinamicità del settore pubblico avrebbe influenzato quello privato e l'andamento ascendente dei prezzi avrebbe sollecitato maggiori aspettative di profitto, generando ulteriori assunzioni. Siamo in presenza del cosiddetto "moltiplicatore Keynesiano". Esso prevedeva che i fattoriDellaproduzione si influenzassero a vicenda nella fase della ripresa. L'economista afferma che i governi debbano fare un uso strategico degli strumenti di cui dispongono per diminuire le oscillazioni dell'economia e viceversa stimolandola nelle fasi di recessione.
Il deal newFranklin Roosvelt apparteneva ad una famiglia, che già aveva dato al paese un presidente Theodor Roosvelt. Però Franklin era un esponente del partito democratico. Pensò, ad un certo a punto, di ritirarsi dalla vita politica per problemi di salute, ma poi decise di continuare. Il pubblico lo considerava un uomo di grande carattere e lo elesse governatore dello Stato di New York nel 1928.
I repubblicani, tutti liberisti convinti, si aspettavano che fosse il mercato a risolvere le cose per loro. I democratici candidarono Roosvelt, proprio perché proponeva un "New Deal" e fu per questo, che vinse con un largo margine.
Nel suo discorso di insediamento, il 4 Marzo 1933, si
riferì alla crisi come a un emergenza bellica. Mise in guardia da due opposti rischi: il folle ottimismo e la paura. Il New Deal si concretizzò in una serie di provvedimenti anche eterogenei, ma basati sull'esplicito intervento statale. Tra i tanti programmi dei lavori pubblici, il più famoso riguardò il riassetto territoriale di un gigantesco comprensorio, comprendente parti di diversi stati del Sud. Fu affidato alla "Tennesee Valley Authority" (TVA), una società di proprietà federale degli Stati Uniti. Aveva il compito di gestire la navigazione, di controllare le piene e di costruire sul fiume grandi dighe, per la produzione di energia elettrica. In generale doveva favorire lo sviluppo economico nella Valle del Tennesee, una regione gravemente colpita dalla depressione. Il controllo federale sulle attività degli istituti di credito fu rafforzato e affidato alla "Federal Riserve", una sorta di banca centrale. Una"National Recovery Administration" fu chiamata a promuovere accordi tra gli imprenditori, per tenere sotto controllo la concorrenza e stabilire salari minimi.