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Diffondere la religione cristiana e in cambio prendere tutto l'oro divenne un ragionamento
meccanico. Ma la domanda che sorge spontanea è: se gli Indiani non fossero stati d'accordo?
La risposta la diede Colombo, e non in parole ma bensì con le azioni, infatti decise allora di
sottomettere tutta la popolazione sia militarmente che politicamente, scavalcando ogni forma di
governo che vigeva negli indigeni, procurando ovviamente molto malcontento.
Resi prigionieri e privi di ogni qualsiasi volontà Colombo volle portare con sé almeno una dozzina
di indigeni tra uomini e donne (da precisare come ribadì più volte lui che le donne servivano solo
per avere un “campione completo”), con un intento più da naturalista che collezionava
piante,animali, uccelli e Indiani.
Se all'Ammiraglio le donne interessavano solo da un punto di vista scientifico, non era affatto così
per gli altri, che avendo avuto in dono da Colombo stesso le schiave donne, le utilizzavano
purtroppo come mezzo di piacere.
Questa concezione “dell'Altro”, ovvero non percepibile in quanto persona e quindi rifiutando di
considerarlo come noi, con gli stessi diritti, con una sua volontà, porta alla convinzione che
sicuramente è diverso, anormale. 9
“Colombo ha scoperto l'America, non gli americani.”
3. Hernàn Cortès e gli spagnoli: da emissari divini a ditruttori di popoli
L'incontro che avvenne tra Vecchio e Nuovo Mondo non fu uno dei più pacifici, infatti è possibile
riassumere questo avvenimento con una parola: Conquista.
Una delle più tragiche conquiste che avvenne nel continente Americano, fu quella compiuta in
Messico da parte degli spagnoli guidati da Cortès, che penetrò all'interno dell'Impero Azteco,
inizialmente con promesse e in seguito con minacce di guerra, infatti quando arrivò a Città del
8 F. Colombo, Le historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, a cura di Rinaldo Caddeo, 2 voll., Iei, Milano
1958, cit. da Tzvetan Todorov, La Conquista dell'America. Il Problema dell'«altro», Einaudi, Torino 1984, pag. 53.
9 Tzvetan Todorov, La Conquista dell'America. Il Problema dell'«altro», Einaudi, Torino 1984, pag. 60.
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Messico decise di far prigioniero l'Imperatore Moctezuma (questo il nome in uso comune, ma il
nome corretto era Motecuhzoma), senza alcuna esitazione.
Cortès fu inviato in questa spedizione dal Governatore di Cuba, ma dopo la partenza delle navi,
quest'ultimo cambiò idea e cercò di far ritornare le navi indietro, ma non ci riuscì. Una volta nella
capitale dell'Impero Azteco, Cortès seppe che sulla costa erano sbarcati altri uomini spagnoli inviati
dal Governatore in una nuova spedizione, questa volta diretta contro di lui.
Quindi decise di lasciare un manipolo di uomini nella capitale e si diresse con il resto dei soldati
verso i suoi compatrioti che, anche se numerosi, vennero sconfitti facilmente, tanto che Cortès
riuscì anche a far prigioniero il capo di questi e i sopravvissuti, per aver salva la vita, si unirono alla
sua causa.
Al ritorno in capitale scoprì che un suo uomo (Alvarado) aveva massacrato senza motivo un gruppo
di nobili aztechi in una festa religiosa (l’evento tristemente famoso chiamato “Massacro del Templo
Mayor”), ed era scoppiata la rivolta, anche contro il volere dell’Imperatore. Mentre infuriava la
battaglia, Moctezuma morì (le cause sono tuttora incerte, non ci sono prove se ad ucciderlo furono
gli spagnoli o i suoi stessi sudditi, infuriati per la sua troppa accondiscendenza verso gli invasori), e
vista l'insistenza degli attacchi messicani Cortès decise di abbandonare la città di notte, ma furono
scoperti e subirono una sonora sconfitta: la famosa Noche triste.
Ritirati fuori la capitale gli spagnoli riunificarono le forze e partirono, dopo qualche tempo,
all'assedio della città, che durò pochi mesi fino a che cadde nelle loro mani.
Le ragioni di questa vittoria furono molteplici: la prima, come detto, fu l'ambiguità
dell'atteggiamento di Moctezuma, che non oppose nessuna resistenza, si lasciò arrestare anche se
circondato da tanti suoi sudditi, ma si preoccupò solo di evitare spargimenti di sangue.
Ma una domanda comunque sorge spontanea: perché gli indigeni non si accorsero prima delle mire
espansionistiche di Cortés, ma soprattutto perché non riuscirono resistere di piú?
La risposta é semplice: gli indiani non si accorsero subito delle ambizioni colonizzatrici perché in
realtá erano giá conquistati dagli aztechi, infatti in alcune parti del Messico Cortés fu visto come un
liberatore, il male minore da scegliere per potersi liberare dal giogo dei tiranni aztechi.
Ma piú di tutto fu la superioritá delle armi spagnole che giocarono un ruolo fondamentale (cosí
come i brigantini in mare e i cavalli a terra) nella conquista, poiché oltre al danno che causavano,
incutevano una paura ancestrale negli indiani che dalla loro avevano solo un metallo non lavorato,
delle frecce che nulla potevano a confronto con gli archibugi e cannoni spagnoli, per di più un dato
da non dimenticare fu l´inconsapevole inaugurazione della prima guerra battereologica, infatti
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portarono dalla Spagna il vaiolo che decimó gli indiani, forse in numero maggiore rispetto alle armi.
Infatti è la civiltà del metallo contro la civiltà della pietra, anche se c’è da dire che gli indios dopo lo
spavento e la meraviglia iniziale si adeguarono egregiamente e adottarono uno stile di
combattimento efficace (ad esempio non avanzarono più in linea retta una volta saputo la traiettoria
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lineare degli archibugi) contro le armi degli europei.
C’è da ricordare comunque la particolare concezione che gli indiani avevano della guerra, la quale
rivestiva per lo più un aspetto rituale: lo scopo di combattere non era quello di uccidere nel campo
di battaglia il proprio avversario, ma bensì catturarlo per poi sacrificarlo agli Dei. Proprio questo fu
il motivo per il quale gli indios si lasciarono sfuggire molte vittorie in battaglia, proprio perchè
volevano catturare gli spagnoli anzichè ucciderli. Il metodo di combattimento di quest’ultimi infatti
rappresentava uno scandalo assolutamente incomprensibile, visto che gli indios terminavano la
maggior parte delle guerre con un trattato che sanciva un tributo che i vinti dovevano pagare ai
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vincitori e in cambio potevano tenersi i propri usi e cotumi.
Sicuramente un altro fattore determinante fu la comunicazione, che per gli indiani si traduceva in
leggere i segni e per Cortés invece in semplice informazione,comprensione.
Nella comunicazione sicuramente gli indigeni erano piú portati, o semmai piú interessati, infatti i
primi interpreti non furono mai spagnoli, ma sempre gente del posto che erano molto bravi ad
imparare una nuova lingua.
Ovviamente proprio per il fatto di questa velocitá d’apprendimento che gli spagnoli dubitarono di
questi, tanto da chiedersi se le frasi tradotte fossero vere oppure menzogne vista l’appartenenza
dell’interprete.
Dapprima fu un certo Jeronimo de Aguilar, naufrago spagnolo catturato dai maya, che proprio per la
sua prigionia riusciva a parlare fluentemente la loro lingua, ma questa era molto diversa dalla lingua
azteca. Il secondo personaggio fondamentale fu una donna, una certa Donna Marina (questo il nome
cristiano, anche se in molti scritti viene chiamata “la Malinche”), che data in dono agli spagnoli
parlava fluentemente la lingua nahuatl degli aztechi, ma siccome fu venduta come schiava ai maya
sapeva padroneggiare molto bene anche quest’altra lingua.
Vi é dunque una lunga catena di lingue: Cortés faceva una domanda in spagnolo, che veniva
ascoltata e tradotta in lingua maya da Aguilar, che a sua volta veniva ascoltata e tradotta in lingua
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azteca da Donna Marina.
Cortés era talmente attento all’interpretazione che gli indiani davano di lui e dei suoi soldati che
10 Nathan Wachtel, La visione dei vinti. Gli indios del Perù di fronte alla conquista spagnola, Einaudi, Torino 1977,
pag. 35.
11 Ivi, pag. 36.
12 Tzvetan Todorov, La Conquista dell'America. Il Problema dell'«altro», Einaudi, Torino 1984, pag. 122.
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cercó compulsivamente di controllarne i gesti, ossessionato dai giudizi infatti, fino ad arrivare a far
impiccare un suo uomo che aveva rubato due galline. Era incomprensibile per Cortés che si rubasse
ad un popolo alleato, infatti il motivo di questi gesti fu quello di controllare le informazioni ricevute
dagli indiani, di accattivare le loro simpatie, fingere insomma di non essere qualcuno che in realtá
erano: conquistatori bramosi di oro e potere.
Paradossalmente a quanto si pensi però, gli spagnoli furono estasiati dalla cultura azteca. Quasi
meravigliati, ammirarono alcuni aspetti della loro cultura, soprattutto gli oggetti artigianali, o le
maniere “civili” che questi avevano a tavola (come avere un piccolo braciere sotto i piatti per non
far raffreddare il cibo), o addirittura ammriavano come gli indigeni avevano un senso del pudore
pari al loro (ad esempio vi erano gabinetti liberi per le strade, ma questi erano riparati da muri fatti
di canne o di paglia per rispettare la privacy).
A differenza di Colombo, che reputò gli indigeni alla stregua di oggetti (li “raccoglieva” assieme a
piante ed animali come un vero naturalista), per Cortés invece sono quasi diventati dei soggeti,
certo non tali da essere paragonati agli spagnoli, ma semplicemente dei soggetti che attiravano la
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sua curiosità pochè i soli ruoli che potevano avere erano quelli di artigiani e intrattenitori.
4. Evangelizzazione e acculturazione
Gli elementi d’acculturazione ebbero una portata più o meno vasta a seconda dei campi in cui si
manifestarono. L’alimentazione fu variata con l’aggiunta di legumi e frutta europea, ma non cambiò
la dieta tradizionale.
La vita materiale potè trasformarsi ma le strutture mentali comunque persistevano: era più facile
indossare un cappello europeo che impararne la lingua, così come ad esempio il battesimo non
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comportava l’abolizione delle proprie vecchie culture religiose.
Gli indigeni continuarono a parlare la lingua autoctona, ma numerosi indios iniziavano ad imparare
lo spagnolo come mostravano alcuni documenti dove si potevano vedere firme chiaramente
leggibili e fatte di loro pugno; alcuni indios iniziarono anche a diventare degli scrivani, altri
aiutavano i redattori come interpreti svolgendo un ottimo lavoro.
Per questo si decise di fondare una scuola a Huancayo, dove i figli dei curaca e degl