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Accertamento analitico-induttivo e contabilità in nero
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 8184 del 22 marzo 2019 ha rappresentato che è "fermo indirizzo di questa Corte - recentemente espresso in materia di accertamento delle imposte dirette, ma riferibile anche alla rettifica delle dichiarazioni IVA - per il quale: "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la "contabilità in nero", costituita da appunti personali e da informazioni dell'imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perché nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e s.s., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato.economico dell'attività svolta, spettando poi al contribuente l'onere di fornire adeguata prova contraria" (Cass. 30/10/2018, n. 27622)".
In particolare, nel caso oggetto di disamina, la suprema Corte ha rilevato che "la CTC, discostandosi da questa regola di diritto, ha negato contralegem che l'omessa fatturazione delle cessioni di merce (carni lavorate fresche e conservate), da parte della contribuente, potesse desumersi dalla "contabilità parallela" (integrativa di quella ufficiale) riprodotta nel brogliaccio reperito", ritenendo erroneamente "che tale elemento indiziario dovesse essere supportato da ulteriori riscontri, della cui allegazione e dimostrazione era onerata l'Amministrazione finanziaria".
Al riguardo, si osserva che l'articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, prevede che "Per i redditi d'impresa delle persone fisiche l'ufficio procede alla rettifica: ...d)
dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'articolo 32. 2. il caso in cui "l'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti". Tale disposizione risulta "composta" da due diverse previsioni: 1. il caso in cui "l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'articolo 32". 2. il caso in cui "l'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti".dall’ispezionedelle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32” del citato Dpr 600/19732. quello per il quale “L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate” risulta “desumibile sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”e risulta altresì applicabile anche nel caso risultino verificate le fattispecie disciplinate dall’articolo 62-sexies del Dl 331/1993 e, in particolare, quando siano rilevate “gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e
determinazione contribuiscono anche la gravità, la precisione e la concordanza delle presunzioni stesse. Nel contesto dell'attività svolta, le condizioni sono stabilite dalla specifica attività e dagli studi di settore elaborati in conformità all'articolo 62-bis del decreto legge. Il tema delle presunzioni è trattato nell'ambito civile dall'articolo 2727 del codice, il quale definisce la presunzione come "la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato". L'articolo successivo, il 2729, disciplina l'utilizzo delle presunzioni semplici, a condizione che siano gravi, precise e concordanti. Esso stabilisce che "le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti". Pertanto, l'utilizzo delle presunzioni si basa sul fatto che, partendo da un "fatto noto", si arriva alla determinazione di un fatto ignoto che è sintomatico di evasione. Il fatto noto è quindi l'elemento essenziale della presunzione, e la sua determinazione dipende anche dalla gravità, precisione e concordanza delle presunzioni stesse.mancanza consegue l'inesistenza dellapresunzione stessa, questo anche laddove siano riscontrati i citatirequisiti di gravità, precisione e concordanza.
Il fatto noto deve essere, di conseguenza, certo o oggettivamentedeterminabile; la giurisprudenza di legittimità (ordinanza n. 18822/2018)ha poi precisato come "non occorra che tra il fatto noto e quello ignotosussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma èsufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto comeconseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità;occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto equello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, conriferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, lacui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole diesperienza (vedi Cass. 31/10/2011 n. 22656)".
Non è possibile porre alla base di
Una presunzione un'altra presunzione, in quanto la seconda non è un fatto noto e non risulta dotata di certezza storica. Il divieto di utilizzo di presunzioni di secondo grado è anche denominato divieto di praesumptum de praesumpto (divieto di presunzioni a catena); sul tema, si segnala che la Corte di cassazione (n. 12438/2007) ha ammesso, con riferimento ad accertamenti basati sul consumo unitario di tovaglioli, "l'utilizzo di 'presunzioni di secondo grado', in cui si deduca da un fatto noto, nella specie, dal numero di tovaglioli, un primo fatto ignoto, il numero dei coperti e da questo fatto un terzo elemento, il reddito (Cass. 21.5.2001, n. 6886; 6.9.2001, n. 11455)". Sul tema, si richiama anche la più recente sentenza della Cassazione n. 8822 del 23 marzo 2019, che ha precisato come "Questa Corte ha costantemente affermato (cfr. Cass. n. 9884/2002; n. 16048/2005; n. 20060/2014; n. 25129/2016) che in tema di accertamento.
Presuntivo del reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), è legittimo l'accertamento che ricostruisca i ricavi di un'impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati (risultante per quelli di carta dalle fatture o ricevute di acquisto e per quelli di stoffa dalle ricevute della lavanderia), costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui per ciascun pasto ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando quindi il numero di questi un fatto noto idoneo anche di per sé solo a lasciare ragionevolmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati, pur dovendosi ragionevolmente sottrarre dal totale una certa percentuale di tovaglioli.