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DELL’EQUILIBRIO

Il termine controllo posturale indica il controllo dell’orientamento del corpo e dei suoi diversi

segmenti (orientamento posturale) in condizioni sia statiche che dinamiche.

Si può definire come strategia posturale la scelta di tale orientamento del corpo e della

modalità con cui esso viene mantenuto. Ogni strategia posturale realizza una serie di obiettivi

specifici, che dipendono in parte dalle leggi della fisica e in parte dallo scopo dell’azione.

Il controllo della postura è determinato da più fenomeni che esercitano costantemente la loro

azione. Primo fra tutti vi è la forza di gravità: il controllo posturale è atto a contrastare gli

effetti che tale forza ha sul nostro corpo. Questi effetti, spesso, si manifestano con

sbilanciamenti dovuti a oscillazioni eccessive del centro di gravità, che non deve mai

fuoriuscire dal perimetro di appoggio (se mi trovo in piedi, il perimetro di appoggio è quello

dei piedi), perché se ciò accadesse, non sarei in grado di evitare di perdere l’equilibrio.

Quando le oscillazioni del centro di gravità sono sufficientemente ampie, è il sistema di

controllo posturale che cerca di ripristinare lo strato normale, facendoci recuperare

l’equilibrio quando questo viene perturbato. Infine, il controllo posturale serve anche a

definire un punto fisso a partire dal quale è possibile articolare un movimento, più o meno

complesso (ad esempio la flessione degli arti).

Il fattore che ha maggiori implicazioni nel controllo posturale è proprio la forza di gravità, che

cerca di proiettarci continuamente a terra. In particolare, la forza di gravità esercita la sua

azione sulle articolazioni (anca, ginocchio e caviglia). In ogni momento la forza di gravità

tende a far ruotare queste articolazioni con l’effetto di ridurre il mantenimento in asse dei

segmenti ossei. Quanto più i segmenti ossei sono allineati, tanto minore dovrà essere il lavoro

fatto dal sistema di controllo posturale per mantenere l’equilibrio. Questo sistema lavora sui

muscoli scheletrici, in particolare sui muscoli tibiale anteriore e gastrocnemio, che sono i

principali muscoli antigravitari. La loro funzione è quella di contrarsi in risposta

all’allungamento che subiscono quando le articolazioni ruotano.

Il lavoro muscolare, di fatto, è ridotto

esclusivamente a contrastare la componente

tangenziale della forza di gravità sulle

articolazioni. La componente radiale, che esprime

il suo effetto in virtù del nostro peso, è scaricata a

terra dalle ossa. Quindi il grosso delle

componenti della forza di gravità è sostenuto

dalle ossa. I muscoli antigravitari sono formati da

fibre di piccolo diametro in unità motorie di

piccola numerosità innervati da motoneuroni di

piccole dimensioni. Ciò significa che i muscoli più

a lungo attivi possono lavorare tanto a lungo senza stancarsi perché sono costituiti da quelle

cellule che producono ATP tramite fosforilazione ossidativa e non hanno bisogno di produrre

eccessiva tensione per contrastare la componente tangenziale della forza di gravità.

Grazie a questo semplice meccanismo siamo in grado di mantenere la stazione eretta

protratta nel tempo, mantenendo i segmenti ossei allineati. Tuttavia, quando ci troviamo in

uno stato di equilibrio statico, osserviamo sperimentalmente che questa stabilità è in realtà

accompagnata da un certo dinamismo, che può essere misurato ponendo il soggetto su una

pedana stabilometrica, in grado di rilevare le variazioni del centro di pressione e quindi il suo

spostamento all’interno del perimetro di appoggio. Si nota che il centro di gravità si muove

continuamente con ampie oscillazioni

lungo l’asse antero-posteriore e

oscillazioni minori lungo l’asse latero-

laterale; ciò sta ad indicare che il soggetto

quando è fermo, in realtà si sta muovendo

per effetto dell’azione della forza di gravità

sulle articolazioni. In questa situazione, il

sistema vestibolare non è sufficientemente

sensibile da rilevare questi piccoli

spostamenti, mentre lo è il sistema

muscolo-scheletrico.

Le oscillazioni corporee possono essere

misurate usando accelerometri posizionati

nel nostro corpo, per esempio a livello della testa, e ancora una volta si osserva che il corpo

oscilla. Queste oscillazioni aumentano quando chiudiamo gli occhi, a testimonianza del fatto

che anche il sistema visivo partecipa al mantenimento dell’assetto posturale. Venendo meno il

feedback visivo, non siamo più in grado di utilizzarlo per controllare la postura.

In condizioni dinamiche il controllo è più complesso perché entrano in gioco più forze

combinate.

Esempio 1: se ci si appoggia con un fianco parallelamente al muro e si cerca di sollevare la

caviglia opposta, non c’è modo di riuscirci, a meno che non ci si sposti leggermente

dal muro. Prima che la caviglia inizi a sollevarsi, la spalla e l’anca controlaterali si

spostano verso il lato opposto, spostando il centro di gravità.

Esempio 2: occorre spostare il tronco e il bacino sul lato d’appoggio per flettere in avanti una

gamba.

Esempio 3: occorre spostare il bacino su un lato e poi sull’altro quando si flettono le braccia.

Esempio 4: Situazioni simili si verificano anche quando si sostiene un peso da seduto (quindi

non si rischia di perdere l’equilibrio). Se si solleva il peso dal braccio che fino a

quel momento lo aveva sostenuto, si osserva che contemporaneamente al

reclutamento delle unità motrici che solleveranno il peso da parte del braccio

opposto, si ha un rilasciamento del muscolo bicipite con l’effetto di non modificare

l’assetto posturale dell’avambraccio. Se invece il peso viene sollevato da un altro

soggetto, non si è in grado di rilasciare il muscolo bicipite durante il sollevamento e

questo farà si che la scarica che continua produca un movimento dell’avambraccio

verso l’alto, quindi non si sta mantenendo l’assetto posturale.

Tutta questa serie di esempi rende conto del fatto che per eseguire un movimento si

assumono strategie motorie in modo che il movimento possa essere eseguito. Tutto ciò

avviene tramite aggiustamenti precompensatori, che anticipano e assistono l’esecuzione del

movimento in corso. Qualsiasi movimento possa perturbare il mio assetto posturale, gli

aggiustamenti precompensatori che lo accompagnano sono imprescindibili dal movimento

che si sta eseguendo e non si tratta di risposte riflesse, ma di comandi motori integrati nel

piano di movimento.

Il fatto che non si tratta di riflessi, è stato dimostrato sperimentalmente:

ponendo un soggetto su una piattaforma mobile ed esercitando una trazione sulla piattaforma

lungo l’asse retto-lineare, si attiva un riflesso da stiramento che compensa l’allungamento del

muscolo gastrocnemio irrigidendolo, bloccando in questo modo la rotazione della caviglia.

Tuttavia, se il soggetto è sollecitato in maniera continuata da queste stimolazioni e riesce a

prevederla, esso impara a precompensare (contrarre il muscolo gastrocnemio) prima che la

sollecitazione (rotazione della caviglia) diventi eccessiva. Dunque, con il tempo, il corpo si

inclinerà sempre meno.

Questo è un esempio a dimostrazione del fatto che gli aggiustamenti precompensatori non

sono innati, ma sono dei pattern che possono essere appresi per anticipare variazioni

dell’assetto posturale.

Se la pedana si inclina verso l’alto o verso il basso, si produce una rotazione della caviglia del

tutto simile alla rotazione che si produce quando la pedana viene fatta scivolare. In questo

caso, il soggetto impara a precompensare non più contraendo, ma rilasciando il muscolo

gastrocnemio, in modo da liberare la rotazione della caviglia per mantenere il corpo il più in

asse possibile.

Dunque, la medesima sollecitazione della caviglia e del muscolo gastrocnemio può provocare

due effetti precompensatori opposti.

11.1 TONO POSTURALE

Il primo requisito del controllo posturale è la capacità di sviluppare una contrazione tonica

della muscolatura, cioè un tono posturale, che annulli gli effetti della forza di gravità.

Nella normale postura bipede, il tono posturale non deve essere elevato, in quanto l’azione dei

muscoli posturali deve contrastare solo la componente della forza di gravità diretta

tangenzialmente rispetto al centro di rotazione; la componente radiale viene invece scaricata

a terra tramite l’impalcatura scheletrica. In questa condizione le unità motorie attivate sono

quelle resistenti alla fatica, a lenta velocità di contrazione, che sono formate da un numero

piuttosto basso di fibre e, quindi, generano segnali elettrici più deboli.

11.1.2 MECCANISMI SEGMENTALI E SOPRASEGMENTALI

Un fattore molto importante per il mantenimento del tono posturale è rappresentato dalla

scarica tonica delle afferenze fusali di gruppo a, le quali esercitano un’azione monosinaptica

I

eccitatoria sui motoneuroni omonimi. Questa scarica è presente anche quando il muscolo non

è contratto e aumenta quando il muscolo viene coinvolto in un compito posturale.

Il mantenimento del tono posturale dipende anche dalle vie discendenti che possono

influenzare la scarica motoneuronale, particolarmente importanti sono quelle fibre che

giungono al midollo spinale dal tronco encefalico. Questa influenza da parte dei sistemi

discendenti può venire esercitata in due modi diversi: modificando direttamente l’eccitabilità

dei motoneuroni α, oppure quella dei motoneuroni γ e quindi la scarica tonica delle

afferenze propriocettive.

Se l’attività dei motoneuroni γ aumenta, accresce anche la scarica dei recettori fusali e, di

conseguenza, la loro azione eccitatoria sui motoneuroni α, con un incremento della tensione

sviluppata dal muscolo.

Se gli arti vengono privati dell’innervazione sensoriale diventano flaccidi. Questo effetto è dovuto

all’eliminazione delle afferenze propriocettive originanti dai fusi neuromuscolari e pertanto la

rigidità da decerebrazione è attribuibile a un incremento di attività dei motoneuroni γ (rigidità

γ). [N.B: Nell’uomo la lesione della capsula interna produce, dopo qualche tempo, una caratteristica

emiplegia controlaterale, caratterizzata da atteggiamento flessorio all’arto superiore ed estensorio a

quello inferiore. Queste modificazioni croniche del tono (spasticità) non sembrano però associate a un

incremento dell’attività dei motoneuroni γ. Si ritiene, pertanto, che l’aumentato tono della muscolatura

emiplegica sia dovuto a un

Dettagli
A.A. 2016-2017
9 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/09 Fisiologia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher StefanoConsoli di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Neurofisiologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Brescia o del prof Maioli Claudio.