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LEZIONE 12-13: LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

DIVIETO DI DAZI DOGANALI E TASSE D’EFFETTO EQUIVALENTE (art. 28 e 30 TFUE)

I dazi doganali sono un onere pecuniario e sono oggetto di divieto perché la loro riscossione provoca

un aumento del costi delle merci importate o esportate e quindi li sfavorisce rispetto alle merci

nazionali.

Le tasse d’effetto equivalente sono vietate di impedire che il divieto di dazi doganali venga aggirato

consentendo agli Stati membri di percepire sulle merci importate o esportate dei prelievi fiscali che

abbiano lo stesso effetto.

→ Caso del Panpepato Corte di giustizia, 14 dicembre 1962, Commissione c. Belgio e

Lussemburgo

Summary case: La Commissione porta davanti alla Corte il Belgio e il Lussemburgo, in una

procedura d’infrazione per violazione dell’art. 30 TFUE, poiché hanno predisposto una tassa

d’effetto equivalente a un dazio doganale chiedendo il pagamento di un diritto speciale di

importazione (simile a una licenza) l’importazione del panpepato.

La sentenza dà una definizione di tassa d’effetto equivalente, ossia “qualsiasi onere pecuniario imposto

su una merce all’attraversamento della frontiera”. I due elementi necessari sono quindi [1] l’onere

pecuniario e [2] l’attraversamento della frontiera.

La valutazione con la quale la Corte decide se l’onere pecuniario sia considerato una tassa d’effetto

equivalente deve essere oggettiva pertanto non sono rilevanti:

la motivazione che ha spinto ad adottare la misura (nella Caso del Panpepato, la Corte aveva

● indicato come elemento necessario l’intento protezionistico, ossia la salvaguardia della

produzione interna, salvo poi abbandonare questo criterio negli anni a seguire)

il criterio de minimis, quindi la tassa d’effetto equivalente è vietata anche se di importo

trascurabile il soggetto che impone la tassa d’effetto equivalente, sia esso lo Stato o un’autorità

locale

→ Caso Carbonati Apuani Corte di giustizia, causa C 72/03, 9 settembre 2004, Carbonati Apuani

Summary case: La società Carbonati Apuani si trova di fronte al giudice tributario rifiutando di pagare

una tassa comunale presente fin dal 1911 sui marmi scavati a Carrara, per sospetta non conformità

di questa tassa con la norma sulla libera circolazione delle merci. Il Comune adduce che la tassa

serve a finanziare la manutenzione delle strade che vengono rovinate proprio dai mezzi che

trasportano i marmi (ma come visto prima, la motivazione è irrilevante). Il giudice si rivolge quindi alla

Corte.

Il Governo italiano difende l’applicazione della tassa poiché è applicata all’interno del territorio e non

alla frontiera. La Corte risponde a questa obiezione citando l’art. 26 TFUE (definizione di mercato

interno) e dando per scontato che non esistono frontiere interne agli Stati perché altrimenti sarebbe

impossibile raggiungere l’obiettivo di un mercato interno unico, e poi perchè potenzialmente la merce

potrebbe essere esportata in un altro paese.

Da questa sentenza nasce il principio di interpretazione secondo l’effetto utile secondo il quale le norme

dei Trattati non devono essere oggetto di una interpretazione letterale ma bensì bisogna valutare

l’effetto voluto da esse.

3

Il giudice nazionale chiede poi alla Corte se, qualora venga accertata l’illegittimità della tassa, non

possa limitare gli effetti della sentenza nel tempo perchè in caso contrario il Comune potrebbe trovarsi

a dover restituire tutte le tasse incassate nel corso dei decenni precedenti.

Nelle sentenze pregiudiziali la Corte può limitarne gli effetti nel tempo, ma solo se riscontra un interesse

meritevole di tutela a livello dell’Unione. Nella sentenza, la Corte richiama un precedente molto simile (il

caso dei dazi della Francia d’oltremare del 1992, in cui l’avvocato generale Tesauro aveva per primo

esposto il problema delle frontiere interne agli Stati) e fa decorrere a quella data la violazione del

Trattato.

Non si considera tassa d’effetto equivalente un onere riscosso alla frontiera che costituisca “il

corrispettivo di un servizio effettivamente prestato” ossia un servizio a beneficio esclusivo del

richiedente e non dell’interesse generale, solo se espressamente richiesto e non già imposto, il cui

onere deve essere proporzionato al valore del servizio stesso.

DIVIETO DI IMPOSIZIONI FISCALI DISCRIMINATORIE (Art. 110 TFUE)

Secondo l’art. 110 TFUE sono vietate “le imposizioni interne che abbiano effetti discriminatori nei

confronti delle merci di altri Stati membri “. Si tratta quindi di un onere pecuniario che rientra nella

politica fiscale generale, senza far riferimento a importazioni ed esportazioni. Tuttavia ciò che assume

rilievo è l’effetto discriminatorio (elemento sostanziale, e non formale).

Occorre distinguere tra tassa d’effetto equivalente e imposizione interna. La differenza è che la prima

colpisce esclusivamente il prodotto importato, mentre la seconda colpisce sia i prodotti importati che i

prodotti nazionali e quindi sono vietate solo se hanno effetti discriminatori o protezionistici in favore

della produzione interna.

L’art. 110 TFUE fa parte delle “disposizioni fiscali”, che è un ambito di competenza dello Stato. Tuttavia,

se l’esercizio di quella competenza viola una norma comunitaria, allora non è esente dal giudizio della

Corte.

→ Caso Humblot Corte di giustizia, causa C 112/84, 9 maggio 1985, Humblot

Summary case: Il sig. Humblot chiede la restituzione di parte di una tassa di immatricolazione di un

veicolo perché ritiene essere contrario all’art. 110 TFUE per l’effetto discriminatorio. Il giudice si

rivolge quindi alla corte.

Il sistema francese prevedeva due differenti regimi basati sulla potenza: fino a 16 cavalli la tassa

aumenta progressivamente per un massimo di ₣ 1.100, oltre i 16 cavalli è prevista una tassa unica

di ₣ 5.000.

All’apparenza non vi è nessuna differenza tra prodotti nazionali e importati, ma in quegli anni non

esisteva nessun veicolo francese superiore ai 16 cavalli e quindi nella sostanza vi è un effetto

discriminatorio. Viene riconosciuta la violazione di questa tassa perché non permette al consumatore di

operare una scelta libera e incondizionata, dato che l’importazione risulta di fatto meno conveniente.

Una particolarità è il caso in cui l’imposizione interna colpisca solo prodotti importati per il fatto che non

esiste una produzione nazionale corrispondente. Poiché non si può fare una comparazione con un

prodotto nazionale similare, non si può applicare l’art. 110. Una situazione del genere si è verificata nel

1990 in Danimarca, dove non esiste una produzione nazionale di autoveicoli e i costi di

immatricolazione sono molto elevati (ciò non è contrario all’art. 110 per il motivo appena detto). Il

sistema danese però prevedeva costi di immatricolazione inferiori per auto usate già immatricolate in

Danimarca (in questo caso vi è la violazione dell’art. 110 perchè rende l’importazione di auto usate

meno conveniente).

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DIVIETO DI RESTRIZIONI QUANTITATIVE E MISURE D’EFFETTO EQUIVALENTE (34, 35, 36 TFUE)

Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione (art. 34) e all’esportazione

(art. 35) nonché qualsiasi misura d’effetto equivalente.

Per restrizioni quantitative si intende:

- divieto di importazioni o esportazione di un determinato bene

- limitazione della quantità di una certa merce

Per le misure d’effetto equivalente si fa riferimento a due storiche sentenze relative al caso

Dassonville e al caso Cassis de Dijon.

→ Caso “Dassonville” (1974): definizione di misura d’effetto equivalente

Case summary: i fratelli Dassonville volevano importare nel Belgio del whiskey prodotto nel Regno

Unito acquistato in Francia, ma il governo belga chiedeva un certificato d’origine benché tale

prodotto fosse di libera pratica in Francia. Notare che la sentenza è del 1974, poco dopo l’entrata

del Regno Unito nella CEE, quindi il caso si riferisce a quando il Regno Unito era un paese

extracomunitario.

La definizione di misura d’effetto equivalente è data nella sentenza Dassonville (formula Dassonville):

“ogni normativa commerciale nazionale che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in

potenza, gli scambi intracomunitari”.

La Corte afferma poi che, dato che non esiste un regime comunitario che garantisca l’origine di un

prodotto, ogni Stato è legittimato ad avere una normativa interna a riguardo, a condizione che [1] tali

provvedimenti siano ragionevoli e [2] non abbiano l’effetto di ostacolare il commercio intracomunitario e

[3] i mezzi di prova siano accessibili a tutti i cittadini.

Quindi la richiesta di un certificato d’origine potrebbe essere ragionevole ma solo se si rivolgesse

all’importatore diretto dal paese produttore al paese in cui il prodotto è di libera pratica (in questo caso

da Regno Unito a Francia).

La definizione rende contrarie all’art. 34 anche le misure indistintamente applicabili (che sono

contrapposte alle misure discriminatorio, ossia quelle che fanno formali differenze tra prodotti nazionali

e prodotti importati) poiché non fa riferimento all’attraversamento della frontiera.

→ Caso “Cassis de Dijon” (1979)

Case summary: Un supermercato vuole importare un liquore francese di frutta (gradazione 15-20°)

in Germania, la cui legislazione consente però la commercializzazione dei liquori di frutta solo se

con gradazione superiore ai 25°.

Si tratta di normativa tecnica, indistamente applicabile perché riguarda tutte le merci e non solo quelle

importate. Anche in questo caso non c’è una normativa comunitaria e dunque vale la normativa

nazionale purché non abbia l’effetto di ostacolare il commercio intracomunitario.

Secondo la Corte, le differenze normative negli Stati membri rappresentano misure d’effetto equivalente

perché impediscono la libera circolazione delle merci. Tali differenze hanno diritto di esistere [1] se

giustificate

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da motivi imperativi di interesse generali e [2] se viene rispettato il principio di proporzionalità, ossia se

non esistono altre misure meno restrittive per raggiungere lo stesso obiettivo.

La Germania si difende adducendo due motivi imperativi di interesse generale:

- tutela della salute pubblica dei consumatori (se hanno gradazione bassa allora c’è maggior rischio

di assuefazione)

- tutela di lealtà nei rapporti commerciali (nelle bevande alcoliche l’alcol è l’ingrediente più

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Publisher
A.A. 2023-2024
29 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mdalpi2911 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'Unione europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Diverio Davide.