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GAUDIUM
cosa di più della semplice gioia di spirito. Il gaudium lì è quello dei mistici. L’incontro con il divino dà il gau-
dium, ma l’incontro con il divino è un misto tra attrazione e repulsione di terrore. Gioia, anche in italiano, talvolta
mantiene queste sfumature di non tranquillità che erano presenti nella parola in origine. Nella gioia, nella joi, nel
gaudium c’è una forte componente di attrazione inevitabile, di euforia, ma anche di irrequietezza, di terrore.
La gioia è una felicità spaventevole siccome ci si trova di fronte a qualcosa che trascende. Il soggetto lirico
della poesia di Jaufre l’ha detto che questo amore a cui si trova davanti lo trascende perché è qualcosa di più
nobile, di più alto. Spesso la donna amata è unica per chi la canta. Ciascuna persona crede che chi ama sia unico.
Questa gioia porta con sé qualcosa dello spavento. L’epiphaneia del divino non è mai qualcosa di bello e basta.
L’epiphaneia del divino non è mai una cosa comoda, nemmeno nelle Scritture. L’epiphaneia del divino prean-
nuncia sempre qualcosa di grave, di spaventevole. Anche Dante, quando parla della sua donna che sembra «[…]
una cosa venuta | di cielo in terra a miracol mostrare» (Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare), sottintende
tutta questa dimensione. Il miracolo non è mai qualcosa di puramente pacificato. L’incontro con il divino è
sempre qualcosa di sconvolgente. Il miracolo può essere tanto splendido da bruciare, da accecare.
Dietro a questa poesia c’è tutta una cultura del divino e del sovrumano che discende direttamente dalla Bibbia.
Sarebbe fondamentale conoscere la Bibbia per comprendere tutta la tradizione occidentale; eppure, a scuola la
si fa leggere pochissimo. La Bibbia contiene la mitologia dell’Occidente. La Bibbia è the Great Code (‘il codice
dei codici’, come dice Frie). È sempre doveroso comprendere quali sono i modelli che coloro che fondano una
nuova tradizione hanno davanti. I trovatori avevano bisogno di modelli alti per la loro nuova tradizione letteraria.
Tra questi, ci sono certamente i modelli classici ma poi c’è anche il sublime divino della Bibbia.
Andiamo ora alla strofa «Dieus, que fetz […]»
Dio che creò tutto ciò che viene e che va e creò questo amore di lontano.
Il verbo usato qui è formar. Il verbo formar è un vero raro, strano, poco comune. Perché allora Jaufre lo
mette? La risposta si trova nella Genesi: «Dio formavit Adamo dalla terra». Jaufre usa allora questo verbo con-
sapevolmente, con un intento ben preciso. È possibile capire qual era l’immagine che Jaufre voleva evocare nel
suo pubblico: questo amore/donna è un miracolo, Dio l’ha formata come ha formato Adamo. Dio allora non ha
creato una volta sola, Adamo e poi dalla sua costola Eva: molto tempo dopo Dio ha creato un altro essere, questo
amore che Jaufre canta. Questo non è un discorso teologico ma si serve del contesto scritturale che faceva parte
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Filologia romanza A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli
della quotidianità dei fruitori di questa canzone. Molti spettatori di Jaufre, quindi, potevano cogliere questo rife-
rimento. «Formet» quindi Jaufre lo prende direttamente dalla Bibbia.
Cosa vuol dire veraiamen? Bisogna porsi domande di questo genere per comprendere appieno i trovatori.
La camera è l’appartamento privato. La camera e il giardino sono i luoghi deputati all’amore. La camera e il
giardino non sono luoghi nobili. Essi sono luoghi privati. Ciò che di straordinario e noobile in essi si accende,
però, rende loro stessi luoghi nobili.
Gli studiosi si chiedono cosa vuol dire Jaufre quando parla di vedere veramente: «veraiamen». Gli studiosi
hanno trovato un riferimento ad una lettera di San Paolo in cui il santo dice che gli uomini vedono le cose del
mondo come in uno specchio, come in un enigma, senza capirle davvero; quando l’uomo sarà dall’altra parte,
vicino a Dio, l’uomo vedrà davvero, veramente Dio. Secondo alcuni studiosi in questo veraiamen potrebbe es-
serci questo riferimento scritturale.
Cfr. le note di commento al testo su rialto.unina.it.
Non esiste un’edizione commentata in maniera significativa di un trovatore come Jaufre e questo è assurdo.
Il commento letterario non è mai cosa facile. Il commentaore deve entrare nel testo per capire quali sono i riflessi
che le parole dell’autore volevano accendere nel pubblico. Esso comporta una ricerca delle fonti, un transfert
storico. È un lavoro lunghissimo e oltremodo complesso eppurre inevitabile. lunedì 21 novembre 2022
La lirica che abbiamo letto di Jaufre Rudel è commentata nel libro di Di Girolamo.
Il testo parla dell’amore di una donna lontana. Jaufre parla di «amor de lonh» ma noi sappiamo che Jaufre
gioca con il sostantivo amor che può essere tanto l’amore personificato quanto la donna amata. Il motivo
dell’amore di lontano è stato inventato proprio da Jaufre Rudel. Lui, in un’altra poesia, parla di «amor de terra
londana». Quel componimento ci permette quindi di precisare di che tipo di lontananza si tratti: è una lontananza
geografica. Non troviamo attestazione di questo motivo nella poesia mediolatina e latina precedente a Jaufre.
Il motivo dell’amore di lontano sta all’interno del grande tema della lontananza/assenza della donna amata.
Tutta la poesia d’amore fino a Petrarca è una poesia della donna lontana e assente. In Cavalcanti la donna è
ancora più assente e questa assenza si trasforma in forza oscura e pericolosa. Per Dante, Beatrice viene ritrovata
ma lì si parla già d’altro, siamo già nel «poema sacro».
Ogni strofa della canzone di Jaufre analizzata prende mossa dall’amore di lontano e si chiude su questo tema,
in modo circolare. L’unità narrativa è la stanza.
L’amore nella poesia lirica è un modo per l’io lirico di parlare di sé e delle ricadute che l’amore ha su di lui.
L’amore per i trovatori è amore puro, è amore al 100%, pur senza escludere la dimensione carnale. L’amore
mette alla prova l’io lirico, ne mette alla prova la capacità di aspettare, di frenarsi.
I primi trovatori sono più sinceri dei successivi. Loro usano un linguaggio più aperto. Lentamente la tradi-
zione si struttura e codifica. La tradizione, poco per volta, diventa un codice condiviso nel quale tutti i trovatori
si esercitano.
à Cfr. L. S L'amour lointain de Jaufré Rudel et le sens de la poésie des troubadours
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Filologia romanza A A.a. 2022-2023 Appunti di Alessandro A. Vercelli
Di suo, Jaufre, mette nelle sue opere un senso della nostalgia e della riflessione su di sé. Nella poesia che
abbiamo letto troviamo delle immagini.
Per comprendere la grandezza degli artisti non bisognerebbe leggere soltanto gli apici delle poetiche degli
autori. Bisognerebbe leggere la normalità per comprendere la grandezza delle opere massime dei sistemi letterari.
Per comprendere la portata innovativa del debut printenier del componimento analizzato di Jaufre bisognerebbe
leggere diverse decine di altri debut preinteiner standard, non rilevanti. Egli inserisce in questo debut una carica
di nostalgia della memoria notevole.
Questo testo di Jaufre doveva essere famoso già nel medioevo. Questi trovatori nel medioevo dovevano essere
apprezzati al punto che in certi casi si creano dei testi chiamati vidas (pl., sing. vida). Le vidas sono delle bio-
grafie. Per i classici esisteva il genere degli accessus ad auctores (‘introduzioni agli auctores’). Gli accessus ad
auctores erano prose introduttive ad un grande poeta nelle quali erano fornite alcune indicazioni biografiche e
alcune note critiche di introduzione alle opere. Le vidas dei trovatori sono modellate su quegli accessus. Le vidas
sono state probabilmente elaborate a partire da materiali orali preesistenti.
La poesia lirica dei trovatori è edita a partire dalla tradizione orale. La poesia lirica si tramanda oralmente
fino al Quattro-Cinquecento, fino all’epoca umanistico-rinascimentale. Nessuno, prima leggeva privatamente
opere letterarie. La poesia lirica dei trovatori non veniva letta privatamente, in silenzio. La poesia lirica dei
trovatori era cantata o declamata. Nella poesia lirica la voce ha un ruolo fondamentale. La poesia lirica si giova
della voce. Anche oggi bisognerebbe leggere ad alta voce la poesia lirica per apprezzarla davvero (cfr. G. L.
B , L’autonomia del significante). Anche il testo di Rudel ha molta autonomia di significante. C’è per
ECCARIA
esempio un mot refrain, una parola ritornello. Il significante ha una sua autonomia e lavora in modo autonomo
rispetto al significato.
Jaufre doveva essere famoso siccome su di lui fu scritta una vida piuttosto fantasiosa. Le vidas che noi leg-
giamo oggi sono testi in lingua d’oc trasmessi in genere negli stessi libri che trasmettono i testi poetici degli
autori. In alcuni manoscritti, ad esempio, le poesie erano precedute da cappelli introduttivi inseriti in rubrica. In
inchiostro rosso vengono talvolta scritte le vidas prima dei testi poetici, altre volte il nome dell’autore, altre volte
altre informazioni ancora. Generalmente le vidas sono tarde rispetto ai testi dei trovatori, almeno nella forma in
cui le possediamo. Generalmente esse sono dell’inizio del XIII secolo e sono state scritte in Italia e non in Fran-
cia. Molte vidas provengono dal Veneto. L’Italia nord orientale è infatti uno dei maggiori centri di produzione
delle raccolte di trovatori. Le vidas nascono qui perché si vuole sapere qualcosa sui poeti di cui si tramandano i
testi ma dei quali si sapeva ben poco.
Leggiamo ora la vida di Jaufre. In realtà la sua vida ci è pervenuta in due versioni ma noi ci fermeremo solo
su quella più breve. Leggendola, ci si accorge subito che è molto diversa dagli accessus ad auctores classici.
Queste vidas sono figlie delle tradizioni orali e delle leggende tramandate sulla vita di un autore.
à Cfr. PDF 2_Vida di Jaufre Rudel (Filologia romanza A > Testi)
In questa biografia si dice che Jaufre era il signore di Blaia (il principe nel medioevo occitano non è solo il
figlio del re, ma è il signore, il primo, in generale). Si dice di lui che si era innamorato della contessa di Tripoli
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(è la Tripoli di Siria, non quella attuale) senza averla mai vista ma solo per il racconto che di lei gli era stato fatto
dai pellegrini. I pellegrini erano i crociati, che si facevano chiamare appunto pellegrini perché andavano in pel-
legrinaggio armati con il v