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MARCO SORESINA – L’ETÀ DELLA RESTAURAZIONE
Il primo paragrafo mostra come erano organizzati gli stati italiani subito dopo il congresso di Vienna,
soffermandosi su alcune realtà territoriali:
Il ducato di Parma e Piacenza era stato dei Farnese. Papa Paolo III l’aveva lasciato al figlio e poi da lì era
partita la dinastia dei Farnese. Poi ad un certo punto Elisabetta Farnese si era sposata con Filippo V di
Spagna e quindi era passato ai Borbone. Dopo il Congresso di Vienna viene temporaneamente tolto ai
Borbone con la promessa di riguadagnarlo alla morte di Maria Luisa d’Asburgo (quella che Napoleone aveva
sposato per coronare il suo sogno imperiale). Quindi il ducato passa a Maria Luisa e alla morte della sovrana
sarebbe rientrato nei domini dei Borbone. Guastalla diventa oggetto di contesa fra Modena, a cui era
appartenuta fino a quel momento, e Parma e Piacenza.
In Italia prevale il principio di legittimità (a Vienna c’erano due principi). Legittimità (l'essere legittimo,
conforme cioè al diritto, alla legge, alle disposizioni dell'ordinamento giuridico) ed equilibrio erano i due
principi che vigevano. Più che il principio di legittimità, viene applicato il principio di equilibrio e quindi
viene rispettato a grandi linee, ma il focus è posto sul creare un equilibrio duraturo.
Il Granducato di Toscana subisce dei piccoli aggiustamenti: ottiene il ducato di Lucca, ottiene dei piccoli
territori e viene affidato a Ferdinando III d’Asburgo Lorena, del ramo Asburgo-Lorena che risale a Francesco
Stefano Lorena e Maria Teresa.
Papa Pio VII era il pontefice che si trovò a gestire questo delicatissimo momento di transizione. Il papa
precedente, Pio VI, era morto in esilio ed era stato seppellito come un normale cittadino. Papa Pio VII viene
eletto a Venezia nell’800, sotto la protezione austriaca. Viene poi deportato da Napoleone negli anni
dell’impero. Quando rientra riottiene i territori in due diversi momenti. Nella prima riottiene i territori che
costituivano il cuore dello stato pontificio, cioè l’Umbria e il Lazio. Nel 1815 recupera i territori emiliani
romagnoli (le Marche e Bologna) e anche alcune città come Ferrara e Comacchio che vengono utilizzate
anche per acquartierare formalmente a difesa del papa, ma anche a controllo dei fermenti che avevano agitato
anche il territorio pontificio.
L’unico stato che viene lasciato come piccola enclave principesca è lo Stato di San Marino: viene lasciato
neutrale e fuori dal gioco di redistribuzione dei territori italiani.
A sud del Regno di Napoli, nell’ultima stagione napoleonica (in quei cento giorni), era risalito al trono
Gioacchino Murat. Nell’avventura dei cento giorni il Regno di Napoli aveva vissuto una stagione di
fermento. Dopo il Congresso di Vienna vengono restaurati i Borbone che in realtà si erano ritirati nella vicina
Sicilia e il titolo dello stato viene modificato in Regno delle Due Sicilie. La Sicilia acquisisce un ruolo di
maggiore importanza perché lì era stata ospitata e difesa la monarchia borbonica durante gli anni dell’esilio.
Il re delle Due Sicilie è Ferdinando I.
Apparentemente sembra una contraddizione che gli Asburgo tollerino la presenza dei Borbone nel Regno di
Napoli quando volevano egemonizzare la penisola italiana (e ne avrebbero avuto anche la forza). In realtà i
Borbone erano stretti da una serie di accordi con l’Impero asburgico. Erano accordi sull’intervento e sul
controllo del territorio. I vertici dell’esercito borbonico erano figure scelte dall’imperatore. Questa morsa
asburgica s’incrinava, si allentava un po’, nello stato dei Savoia anche perché Vittorio Emanuele I aveva
ingrandito molto il territorio (infatti oltre a tutto il Piemonte aveva preso una bella parte della Liguria e una
parte dei territori francesi fino al Rodano e Nizza, mentre Avignone era andata al Regno di Francia).
Piccole enclave feudali = sono delle piccole realtà all’interno di stati più grandi, dove vige una giurisdizione
diversa. Ad esempio lo Stato Pontificio ne aveva diverse: quelle francesi, di cui la più importante era
Avignone vengono perse, recupera solamente Benevento alle porte del regno di Napoli.
La Sardegna, essendo il territorio nel quale i sovrani si erano nel momento del pericolo, acquisisce uno
statuto speciale all’interno del regno sabaudo. Dal punto di vista delle istituzioni godeva di una certa
tolleranza. Vittorio Emanuele I formalmente era libero dal dominio degli Asburgo, ma di fatto dal punto di
vista vincoli matrimoniali era legato alla dinastia asburgica perché era coniugato a Maria Teresa d’Asburgo,
una delle figlie dell’imperatore, e le loro varie figlie erano tutte legate con le principali dinastie dei piccoli
stati italiani. Mari Anna addirittura sarebbe diventata imperatrice in quanto sposata con Francesco I che era
sul trono imperiale. Poi un’altra era sposata con il duca di Modena, una con quello di Parma e una con il
sovrano del Regno delle Due Sicilie.
Il cancelliere austriaco Metternich, nominato come grande artefice del congresso di Vienna, avrebbe voluto
creare nel contesto italiano una lega italica, un po’ come aveva fatto con la Confederazione Germanica che
era nata al posto dell’impero. In questa confederazione, presieduta dall’imperatore d’Austria, c’era un certo
equilibrio di potere tra l’imperatore e il re di Prussia. Avrebbe voluto fare lo stesso, creando questa lega
italica con l’adesione di tutti i sovrani, creare un organo sovrastatale, ma Vittorio Emanuele I si oppose a
questo progetto e, appoggiato dalla Francia e anche dall’Inghilterra, riuscì a mantenere ferma questa
opposizione e questo gli concesse una maggiore autonomia.
Le due grandi alleanze che erano dietro a questo equilibrio di Vienna erano la Santa Alleanza, che venne
stretta all’indomani del Congresso, a cui non aveva aderito né il pontefice né l’Inghilterra, e la Quadruplice
Alleanza, proposta dall’Inghilterra che le aveva tolto questa veste misticheggiante e religiosa e che legava
Austria, Prussia, Russia e Inghilterra. Quest’ultima prevedeva che le consultazioni periodiche per controllare
gli stati italiani e questo spirito e questi fermenti dei moti rivoluzionari che ogni tanto scuotevano la
situazione (a partire dagli anni ‘20).
Tutti i decenni dell’800 sono decenni di gestazione del nuovo stato. Le caratteristiche dell’assolutismo che
si mette in atto negli anni della restaurazione sono diverse da quelle del secolo precedente. Non è più
l’assolutismo di Luigi XIV o dell’età moderna del 600, è un assolutismo nuovo. Si accentua il monopolio
statale del potere pubblico, il che significa che il monopolio del potere in ambito di diritto pubblico è più
saldamente ormai nelle mani dello stato. I ceti anche nell’assolutismo del ‘600 avevano mantenuto dei loro
diritti che già i sovrani assoluti cercavano di ridimensionare, ma Napoleone li aveva proprio spazzati via (ad
esempio con l’abolizione dei diritti feudali). L’assolutismo della restaurazione ha un più forte controllo
statale del potere pubblico su tutta una serie di elementi settecenteschi. Non vengono fatti riemergere in gran
parte queste aspirazioni cetuali. I ceti non riescono a riottenere grandi margini di privilegio (il clero ci riesce
un po’ di più, la nobiltà meno). Il potere pubblico ha molto più potere rispetto a prima. Le giurisdizioni: il
fatto di poter costituire tribunali autonomi da parte della Chiesa e del signore feudale rispetto ai territori di
loro competenza non viene più concesso, non ci sono più feudi (se non la Repubblica di San Marino). Tutto
lo stato è sotto il dominio del sovrano. Non vengono se non in minima parte messe in piedi le rappresentanze
di ceto (queste assemblee cetuali). In questo senso il potere pubblico vede accentuati i poteri statali sia sui
ceti che sui territori.
La struttura amministrativa messa in piedi da Napoleone aveva favorito la possibilità di un passo in avanti di
queste monarchie amministrative. L’altro aspetto su cui la codificazione napoleonica aveva inciso molto era
il campo del diritto sui rapporti sociali e sui rapporti proprietari.
Uno dei grandi miti del risorgimento è il mito costituzionale: vogliono avere delle costituzioni, vogliono
riavere dei codici che riportino in piedi tutti quei diritti che avevano assaggiato nella dominazione
napoleonica e che in parte ora gli vengono tolti (ad esempio viene riaffermata l’impossibilità del divorzio per
i cattolici e la soggezione femminile anche nel diritto proprietario: la donna non può fare delle transazioni se
non con l’avallo del marito del figlio in caso non ci sia il marito). Per quanto riguarda il diritto di famiglia e
di successione, l’istituzione del maggiorascato era molto sofferta dai ceti emergenti. Anche molte famiglie
nobili non lo volevano proprio applicare e volevano distribuire in parti uguali ed equilibrate il proprio
patrimonio a tutti i figli. Nonostante ci fossero una serie di passi indietro, complessivamente alcuni principi
come l’uguaglianza di fronte alla legge, la salvaguardia del diritto di proprietà individuale e le limitazioni di
diritto di ceto, vengono messi in atto nei nuovi stati.
Un altro tema scottante che aveva subito una forte accelerazione in epoca napoleonica è la coscrizione
militare: lo stato deve mettere in piedi un esercito che lui stima di un certo numero di unità, stabile e ben
attrezzato, se non altro per la polizia interna e per il controllo di questi movimenti e delle sette. L’800 è un
secolo di moti: nel 20, nel 21, nel 30, nel 48 e poi le guerre d’indipendenza. I sovrani respiravano un po’
l’aria d’assedio che va poi crescendo di richieste costituzionali, di mito della rivolta popolare. L’esercito
serviva loro, più che per potersi confrontare ormai con le grandi realtà statuali d’Europa, per tutelare il loro
potere nello stato. Quindi mettono in atto questa coscrizione militare obbligatoria. L’unico stato che non lo
mette in atto è lo stato pontificio. Riescono a scappare la leva obbligatoria anche le due isole, Sicilia e
Sardegna, perché non avevano vissuto l’esperienza napoleonica. In tutte le altre parti viene messa in atto: in
Piemonte, nel Regno delle due Sicilie (nella parte napoletana). Il sistema della leva obbligatoria prevede che
i municipi debbano stilare delle liste di ventenni (uomini) che dal punto di vista fisico potevano prestare
servizio militare e l’esonero era concesso in determinati casi, come ad esempio problemi famigliari: nelle
famiglie in cui non c’era un capo famiglia e il ventenne garantiva quindi il sostentamento, questo poteva
essere esonerato dalla leva. Negli altri casi no, i municipi fornivano questi elenchi e poi le a