Altro evento cruciale della crisi degli anni ‘70 fu il primo shock petrolifero del 1973. La causa
scatenante fu la quarta guerra arabo-israeliana (guerra del Kippur), nella quale i paesi arabi
dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) decisero di ridurre la produzione
di petrolio e aumentare il prezzo per penalizzare i paesi occidentali che sostenevano Israele.
Il prezzo del petrolio quadruplicò in pochi mesi, passando da 3 a 12 dollari al barile> gravi
difficoltà per i paesi industrializzati dipendenti dall’importazione di petrolio.
Nel 1979 si verificò un secondo shock petrolifero a seguito della rivoluzione islamica in Iran,
che bloccò la produzione del paese e bloccò la produzione del paese e portò il prezzo del
petrolio a 30 dollari al barile nel 1980, dieci volte il valore del 1973. Questo spinse molti
paesi a ricorrere al gas naturale, la cui produzione aumentò notevolmente rispetto a quella
del petrolio.
L’aumento del prezzo del petrolio fece lievitare i costi di produzione e generò un’enorme
quantità di petrodollari nei paesi esportatori (oildollars), soprattutto arabi. Tuttavia, tali risorse
*furono spesso sprecate in spese improduttive o depositate presso banche estere. Le
banche occidentali prestarono gran parte dei petrodollari ai paesi in via di sviluppo, che si
indebitarono pesantemente. Nel 1982 il Messico dichiarò l’incapacità di rimborsare il debito,
facendo esplodere la crisi del debito.
Per evitare il fallimento delle banche creditrici, intervenne il FMI, la Banca Mondiale e i
governi occidentali, che trasformarono il debito privato in debito pubblico. Vennero concessi
nuovi prestiti, spesso rinegoziati e dilazionati, e in alcuni casi cancellati per i paesi più
poveri. Il FMI impose politiche di austerità ai paesi debitori, costringendoli a ridurre i consumi
interni e favorire le esportazioni per ottenere valuta estera con cui pagare i debiti.
La situazione migliorò solo con la riduzione dei tassi di interesse nei paesi avanzati, ma *.
26.5 Stagflazione e disoccupazione
Negli anni Settanta e Ottanta, l’inflazione galoppante fu causata principalmente da tre fattori:
1. aumento del prezzo del petrolio > crescono i costi di trasporto, energia, produzione.
2. aumento dei salari > spinto dalle rivendicazioni sindacali nei paesi sviluppati, che
incrementò il costo di produzione.
3. crescita della domanda di beni > dovuta all’incremento demografico e all’ingresso di
nuovi paesi nei mercati di consumo.
Questa situazione portò a un fenomeno inedito, la stagflazione cioè la combinazione di
inflazione elevata e stagnazione economica. Sebbene i paesi esportatori di petrolio
inizialmente beneficiassero dei petrodollari, il loro vantaggio si ridusse quando l’aumento dei
prezzi dei manufatti riequilibrò la ragione di scambio.
La disoccupazione crebbe ai livelli dell’immediato dopoguerra, indebolendo l’azione
sindacale, specialmente in Europa, dove si diffusero forme di lavoro flessibile e precario,
come i contratti a termine e il part-time. Mentre il settore terziario assorbiva parte della
manodopera, l’automazione industriale riduceva il bisogno di lavoratori nelle fabbriche. La
diffusione di tecnologie avanzate, come l’elettronica e la robotica, trasformò profondamente
il mondo del lavoro, portando a una crescita economica senza creazione di nuovi posti di
lavoro, fenomeno definito jobless growth.
26.6 Dal fordismo al postfordismo
Il modello di sviluppo fordista si basava sulla produzione di massa attraverso la catena di
montaggio e la grande impresa, sostenuto dall’espansione del mercato e dall’aumento del
reddito familiare. Diffuso dagli Stati Uniti all’Europa e a vari paesi industrializzati, si adattava
bene a settori come automobili, elettrodomestici e televisori. La crescita della produttività e
dei salari reali permetteva un circolo virtuoso di consumo e produzione.
Negli anni ‘70 però il fordismo entrò in crisi per alcune ragioni:
- le economie di scala si esaurirono, poiché nuovi impianti avrebbero aumentato i costi
unitari
- i mercati di beni durevoli si saturarono e la domanda cominciò a stabilizzarsi
- nel settore terziario era più difficile ottenere risparmi di scala significativi
In risposta alla crisi, si affermò il modello postfordista, fondato sulla produzione snella (lean
production), sperimentata dalla Toyota, che puntava su flessibilità, tecnologie avanzate e
minori scorte di magazzino, grazie al sistema just in time. Le principali innovazioni furono:
1. decentramento produttivo: alcune lavorazioni vennero affidate a piccole imprese
esterne (subfornitori), che assumevano gran parte del rischio di impresa
2. delocalizzazione: trasferimento di fasi produttive in paesi con bassi costi di
manodopera e tassazione contenuta
Nel nuovo modello, il lavoro alla catena di montaggio fu in parte sostituito da modalità più
flessibili, basate sul lavoro di gruppo e sulla diversificazione delle mansioni, ma si ridusse la
stabilità lavorativa. Le imprese divennero più snelle e capaci di adattarsi rapidamente alle
variazioni della domanda. Inoltre, nacquero numerose piccole e medie imprese, spesso
concentrate in distretti industriali o clusters. Nonostante l’affermazione del postfordismo, il
fordismo continuò a funzionare nei paesi in via di sviluppo, come Cina e India, dove era
ancora possibile sfruttare economie di scala e manodopera a basso costo.
30 Le economie sviluppate: Stati Uniti e Giappone
30.1 L’egemonia degli Stati Uniti
Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti emersero come la maggiore potenza
politica, militare ed economica del mondo. Grazie alla piena capacità produttiva sfruttata
durante il conflitto e al «gap» tecnologico rispetto all'Europa, il modello americano di
sviluppo, basato sulla catena di montaggio e sui prodotti standardizzati, si diffuse in tutto il
mondo, dando vita a una progressiva americanizzazione della società. Lo stile di vita
americano, sostenuto da film, romanzi e musica, divenne un modello da imitare, soprattutto
per le giovani generazioni. Gli Stati Uniti assunsero il ruolo di leader del mondo capitalistico,
impegnandosi a combattere il comunismo e a promuovere la democrazia, il libero mercato e
le libertà individuali. Tuttavia, la lotta al comunismo portò spesso al sostegno di regimi
autoritari che violavano i diritti umani.
Il sistema economico e monetario > il dollaro divenne la valuta di riferimento per il
commercio internazionale e i pagamenti, grazie al suo ruolo centrale nell'acquisto di petrolio
e materie prime. Il Pil pro capite americano crebbe a un ritmo del 2,5% annuo fino al 1973, e
lo sviluppo interessò tutti i settori: agricoltura, industria, commercio e servizi.
In agricoltura si registrò un aumento della produttività, ma i redditi dei contadini rimasero
inferiori a quelli degli altri cittadini. Il governo federale intervenne per sostenere i redditi
agricoli e promosse l’esportazione dei surplus produttivi, ma ciò portò alla riduzione degli
addetti al settore e alla chiusura delle piccole aziende a favore di quelle più grandi.
Le grandi imprese e le corporations > le corporations crebbero di numero e cambiarono
struttura. Si affermò l'impresa multidivisionale, organizzata in settori autonomi. Inoltre, si
verificò una separazione tra proprietà e gestione: il potere passò ai manager, mentre gli
azionisti si accontentavano di buoni dividendi. Negli anni Ottanta, oltre la metà delle azioni
quotate in borsa era detenuta da investitori istituzionali. Si sviluppò un mercato delle
aziende, con società specializzate nell'acquisto e nella ristrutturazione di imprese per
rivenderle con profitto.
Conglomerate e diversificazione> partire dagli anni Sessanta, le corporations americane si
espansero in settori come elettronica, informatica, chimica e petrolio. Molte di esse crearono
conglomerate, imprese che operavano in rami molto diversi, realizzando economie di
diversificazione, cioè risparmi ottenuti condividendo servizi comuni (ad esempio, la rete di
vendita). Questo modello permetteva di ridurre i rischi legati alle fluttuazioni della domanda
di un singolo prodotto, garantendo una maggiore stabilità economica.
30.2 La reaganomics
Negli anni Settanta, gli Stati Uniti affrontarono una fase di stagflazione, caratterizzata da
stagnazione economica e alta inflazione, che portò nel 1980 all’elezione del repubblicano
Ronald Reagan e all’introduzione della reaganomics, una politica economica di stampo
neoliberista. La strategia di Reagan puntava a combattere l’inflazione con misure monetarie
restrittive, come l’aumento dei tassi di interesse e la riduzione del credito. Per rilanciare la
crescita economica, furono adottati tagli fiscali sui redditi medio-alti, riduzioni della spesa
sociale e un’estesa deregolamentazione dei mercati finanziari, industriali e del lavoro. La
deregolamentazione bancaria fu particolarmente significativa: le banche si trasformarono in
istituti universali e poterono operare su tutto il territorio nazionale.
La reaganomics riuscì a rilanciare l’economia americana, ma portò anche a un forte
aumento delle disuguaglianze sociali. La riduzione delle imposte sui redditi più elevati e i
tagli ai fondi assistenziali favorirono l’accumulo di ricchezza da parte delle classi più
abbienti. Nel 1980, l’1% più ricco degli americani possedeva il 9% del reddito nazionale, ma
nel 2007 ne deteneva il 22%. Anche le disparità salariali crebbero: mentre nel dopoguerra i
manager guadagnavano 30-50 volte più degli operai, negli anni Duemila tale rapporto era
salito a 400-500 volte.
L’aumento delle spese militari contribuì a mantenere alta la domanda interna e a sostenere il
settore industriale, ma fece crescere il deficit del bilancio federale e il debito pubblico. Le
spese per la difesa, considerate essenziali per contrastare l’Unione Sovietica, garantirono
un’importante spinta propulsiva all’economia e aiutarono a evitare la sovrapproduzione di
beni di consumo. Alla fine degli anni Ottanta, gli Stati Uniti divennero debitori netti verso il
resto del mondo, poiché le loro importazioni superarono le esportazioni e furono finanziate
con capitali esteri. Tuttavia, questa situazione favorì la crescita della domanda mondiale
grazie all’espansione del mercato interno americano e alle riduzioni tariffarie promosse da
accordi internazionali come GATT, WTO e NAFTA.
Nonostante alcune difficoltà, come la crisi di Wall Street del 1987, che portò a un calo del
25% delle quotazioni in pochi giorni, l’economia americana continuò a crescere. Negli anni
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