IL PARLAMENTO
SEZIONE I. LA STRUTTURA
1.Il bicameralismo:problemi attuali e proposte di riforma
Il Parlamento Repubblicano si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica,
secondo il modello proprio della nostra tradizione pre-fascista.
Le ragioni che hanno spinto i costituenti ad adottare un modello di bicameralismo sono
riconducibili non solo al peso della tradizione prefascista e la diffidenza verso formule che
richiamassero troppo da vicino le istituzioni corporative del regime, ma anche all'incertezza sui
successivi sviluppi delle vicende politiche italiane e sugli equilibri che si sarebbero stabiliti tra le
diverse forze destinate a confrontarsi nel nuovo Parlamento Repubblicano. La soluzione che quindi
accolse il Costituente (non senza lunghe discussioni) era quella che meglio valorizzava il principio
della rappresentanza politica, garantendo al tempo stesso alle future forze politiche di opposizione
una sede aggiuntiva nella quale far valere la responsabilità delle forze di governo. Le scelte della
Costituzione hanno portato all’adozione, tuttavia, di un bicameralismo uguale, paritario e
indifferenziato, in virtù del quale i rami del parlamento esercitano gli stessi poteri e gli atti
parlamentari sono il frutto del necessario accordo delle due camere; in questo sistema, alla
istituzione di una seconda camera è al più da riconoscersi una funzione di decantazione delle
decisioni assunte dall’altro organo parlamentare. Le uniche differenze fra le due camere attengono
al numero dei membri (630 sono i deputati e 315 i Senatori, oltre ai Senatori a vita) e al diverso
sistema elettorale la cui disciplina ha del tutto svuotato di significato l’indicazione contenuta
nell’art.57 cost., che prevede un’elezione del Senato “a base regionale”. Inoltre, originariamente vi
era un’altra differenza nella durata in carica delle due Camere (5 anni per la Camera dei Deputati, 6
anni per il Senato) che, però, avrebbe potuto portare a squilibri politici. Così, questa differenza è
venuta meno con l’approvazione della legge Cost. 3/1963, la quale ha portato a 5 anni la durata in
carica del Senato.
Le più recenti proposte di riforma si sono mosse nella direzione della differenziazione del tipo di
rappresentanza espressa dalle due Camere, nel senso di fare della Camera dei
Deputati la sede di rappresentanza generale e del Senato la sede di rappresentanza delle autonomie
regionali e locali, con conseguenti diversi poteri e funzioni dell’una e dell’altra Camera. In questa
direzione andava anche la proposta di revisione costituzionale Renzi – Boschi, ultima in ordine di
tempo, bocciata con il referendum del 4 dicembre dal corpo elettorale.
2. I regolamenti parlamentari come fonti integrative - attuative della
costituzione
Se le disposizioni contenute dalla Costituzione hanno certamente un ruolo fondamentale nel
determinare l’assetto dei rapporti tra Parlamento e Governo, e tra maggioranza e opposizione, un
ruolo altrettanto importante è svolto dai regolamenti parlamentari (parliamo dei regolamenti
generali e non di quelli particolari).
Secondo quanto disposto dall'articolo 64 della costituzione, "ciascuna Camera adotta il proprio
regolamento a maggioranza assoluta". Tale disposizione punta a due obiettivi, escludere che altre
fonti normative debbano occuparsi della materia regolamentare e garantire il ruolo delle minoranze
nell’approvazione di tali regolamenti (richiedendo la maggioranza assoluta e non relativa).
L’intento dei costituenti fu quello di riservare (di qui l’affermazione dell’esistenza di una“riserva di
regolamento”) ad un atto normativo particolare, espressione dell’autonomia dell’organo
parlamentare e di ciascuna camera nei confronti dell’altra, la disciplina degli aspetti legati
all’organizzazione interna e all’esercizio dei poteri che spettano loro. I regolamenti parlamentari
non hanno un contenuto meramente “organizzatorio”, ma toccano nel vivo il rapporto tra le forze
politiche rappresentate in Parlamento.
Non è un caso che i regolamenti parlamentari varati sia dalla Camera che dal Senato il 1 marzo
1971, siano entrambi lo specchio di una stagione politica volta alla valorizzazione dell’organo
parlamentare, della sua capacità di elaborazione di un indirizzo politico autonomo, della sua
capacità di mediazione tra gli interessi della maggioranza e dell’opposizione. Di qui le novità più
significative di quei regolamenti, rappresentate dall’accentuazione dei poteri di indirizzo e controllo
di entrambe le Camere ma anche dei loro principali organi interni, le commissioni, cui viene
riconosciuto il potere di votare risoluzioni che impegnano il Governo ad assumere determinati
comportamenti; dall’arricchimento dei poteri di informazione del parlamento (viene introdotto
l’istituto delle udienze conoscitive); dal riconoscimento di uno “Statuto”delle opposizioni
particolarmente attento ad assicurarne il coinvolgimento in tutta una serie di decisioni fondamentali
nella vita delle Camere.
E non è un caso che le modifiche apportate ai regolamenti parlamentari, nel periodo successivo,
abbiano, invece, rispecchiato tendenze volte ad accentuare il ruolo del Governo, la sua capacità di
mantenere salda la sua maggioranza parlamentare, nonché di ridurre i margini di codecisione tra
maggioranza e opposizione. Tra le modifiche regolamentari più recenti, troviamo, infatti,
l'abolizione, salvo che in pochi casi, del voto segreto (allo scopo di evitare il fenomeno dei
cosiddetti "franchi tiratori", di coloro cioè che, approfittando della segretezza, votano in senso
difforme dalla linea decisa del gruppo parlamentare di appartenenza); l'arricchimento dei poteri del
Governo in Parlamento (per esempio nell’allargamento delle ipotesi in cui può essere posta la
questione della fiducia, o nell’abbreviazione dei procedimenti per la conversione dei decreti –
legge, ecc); la riconduzione del ruolo della opposizione a quello, più tradizionale, di soggetto
politico chiamato a contrastare e a condizionare l’operato della maggioranza, ma non a contrattare
con essa delle decisioni da assumere.
Si tratta di una tendenza che ha conosciuto, soprattutto nella riforma di regolamento della
Camera del 1997, ulteriori sviluppi in conseguenza del mutamento maggioritario nel sistema
elettorale nel 1993.
Il nuovo punto di equilibrio tra esigenze di governabilità ed esigenze di garanzia del ruolo delle
opposizioni viene ricercato all’interno della nuova disciplina in ordine alla programmazione dei
lavori della Camera e al contingentamento dei tempi.
Per quanto riguarda la programmazione dei lavori della Camera, l'approvazione del programma
(relativo ad un periodo da due a tre mesi) e del calendario (di durata trisettimanale) spetta sempre
alla conferenza dei capigruppo, non più all'unanimità, bensì col consenso dei presidenti dei gruppi,
la cui consistenza sia complessivamente pari ad almeno ¾ dei componenti della Camera
(disponendo per i gruppi d’opposizione una riserva di tempo). In caso di mancato raggiungimento
della maggioranza richiesta, il programma e il calendario sono programmati dal Presidente
dell'assemblea, sempre nel rispetto delle riserve di tempo disposte a favore dei gruppi di
opposizione.
Per quanto riguarda il contingentamento (limitazione) dei tempi, si affida questa decisione o alla
conferenza dei capigruppo, con la maggioranza sempre di 3/4, o al Presidente, anche in questo caso
nel rispetto delle riserve di tempo disposte a favore dei gruppi di opposizione.
La riforma regolamentare della Camera si occupa anche di altri rilevanti profili della decisione
legislativa attinenti al miglioramento della qualità della legge (di cui è chiamato ad occuparsi un
apposito comitato per la legislazione, a composizione paritaria tra rappresentanti della maggioranza
e dell'opposizione).
Nel febbraio 1999 anche il Senato ha proceduto a una riforma regolamentare che puntava
anch’essa a risolvere in modo equilibrato il rapporto tra esigenze della maggioranza e
esigenze delle opposizioni, prefigurando quello che abbiamo chiamato statuto delle opposizioni.
In quanto espressione dell’autonomia e dell’indipendenza del Parlamento, i regolamenti sono
sottratti ad ogni forma di controllo esterno (ovvero della Corte Costituzionale). Era così, ad
esempio, durante il periodo statuario, in cui l’insindacabilità degli interna corporis acta costituiva
una garanzia disposta a favore del Parlamento contro ogni indebita ingerenza del potere del
Sovrano o della magistratura.
Successivamente, però, ci si è chiesti se in un regime a Costituzione rigida come quello attuale i
regolamenti parlamentari potessero essere oggetto del sindacato di costituzionalità.
*La Corte Costituzionale ha risposto a questo quesito riconoscendo la natura della "riserva di
regolamento" disposta dall'articolo 64 della costituzione come esclusiva, non solo nel senso di
escludere ogni altra fonte normativa dalla disciplina della materia, ma anche nel senso di escludere
ogni altra forma di controllo diverso da quello che le stesse camere possono esercitare sui propri
regolamenti. Una posizione che appare certo ispirata ad una rigorosa salvaguardia delle prerogative
dell'organo parlamentare, ma che tuttavia porta alla conseguenza di sottrarre quest'unica fonte
normativa agli ordinari meccanismi di verifica di conformità al testo costituzionale. Con una
sentenza recente (2014) la Corte Costituzionale sembra aprire qualche spiraglio nel senso di una
possibile sindacabilità dei regolamenti laddove essi contengono norme che costituiscano “fonti di
atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili”. Il tema riguarda l’autodichia delle Camere,
ossia il loro potere di decidere autonomamente sulle questioni relative ai rapporti di lavoro con i
propri dipendenti. La Corte, con questa sentenza, interverrebbe solo nel caso in cui il potere
legittimamente spettante alle camere si traduca in una illegittima compressione di poteri che
spettano ad altra autorità, ristabilendo il confine tra i poteri legittimamente esercitati dalle camere e
quelli che competono ad altri.
3.L’organizzazione interna delle Camere: Presidente e Ufficio di
Presidenza
I primi compiti a cui sono chiamate le due camere sono l'elezione tra i propri membri del Presidente
e dei componenti dell'Ufficio di presidenza. L'elezione del Presidente avviene a voto segreto ed è
richiesta, nei primi due scrutini, una maggioranza qualificata (alla Camera è richiesta la
maggioranza di 2/3 di componenti al primo scrutinio, 2/3 di voti al secondo, la maggioranza
assoluta dei voti dal terzo scrutinio in poi; al Senato maggioranza assoluta dei
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Schemi
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Schemi sintetici di diritto pubblico
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Schemi completi del corso Istituzioni di diritto costituzionale