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Le “Italie” della ricostruzione
Al di là della distruzione bellica, l’Italia si poteva ancora considera un paese soLosviluppato, dove la
maggioranza della popolazione era ancora impegnata nell’agricoltura, con punte di eccellenza nel
seLore industriali, streLamente confina@ nel seLore nord-occidentale.
La prima fase di ricostruzione si concluse negli anni “50 agevolata da un’apertura commerciale verso
l’esterno (opposto dell’autarchie e protezionismo fascista) e dal piano Marshall. TuLo ciò innescò
(come noto) il miracolo economico, che però acuV le differenze e gli squilibri preesisten@ nel tessuto
socioeconomico del paese, e specialmente tra nord e sud, che si materializzò in una forte
ricostruzione delle ciLà del nord in quanto qui si aveva una maggior domanda di case, a causa
dell’emigrazione interna del meridione, in ricerca di condizioni e prospeAve di vita migliori.
L’avvio della pianificazione urbanis8ca
L’Italia è in qualche modo in an@cipo sui tempi europei nella ricostruzione: nel 1942 (in piena guerra)
viene approvata la legge 1150 che introduce il Piano Regolatore Generale (PRG), ma obbliga
solamente una lista di comuni (che arriverà solamente nel 1954) ad aLuarlo. Nell’emergenza della
ricostruzione viene approvato un altro strumento urbanis@co ancora, in tempo di monarchia post-
fascista, il Piano di Ricostruzione (d.lgs. lgt. 154/1945), il quale era uno strumento emergenziale che
fu ripetutamente prorogato. Cos@tuiva un piano par@colareggiato, anche di una sola porzione di
territorio, ma venne u@lizzato anche in sos@tuzione del PRG in contes@ di ampliamento delle ciLà.
Nonostante gli efficaci strumen@ urbanis@ci messi a disposizione dalla norma@va, la ricostruzione
postbellica, inseguita dal boom economico, si tramutò in una speculazione edilizia senza preceden@,
che inseguiva solamente i valori fondiari, rilegando nel dimen@catoio e in rari casi l’applicazione degli
strumen@ urbanis@ci previs@ dalla legge.
Il piano regolatore di Milano del 1953
Milano prima della guerra aveva approvato il Piano Alber@ni nel 1934, il quale venne sospeso dalla
nuova giunta comunale nel 1945 per studiarne uno nuovo che venne approvato in via defini@va
solamente nel 1953. Per la realizzazione del piano vennero censi@ e rileva@ isolato per isolato oltre
3000 edifici, in ogni loro caraLeris@ca. Il piano si concentrerà sui temi della residenza (carenza),
dell’organizzazione dei luoghi di lavoro (industrie sparse per tuLo il territorio), verde (carente) e della
mobilità (rete ormai non più adaLa ai volumi di traffico).
Il tema della viabilità porta a Milano (come apripista) la pianificazione a livello regionale, che però
viene di faLo impedito dalla legge 1150/42, in quanto per l’approvazione è necessario l’assenso
unanime di tuLe le amministrazioni locali coinvolte. La pianificazione regionale (in par@colar modo
dell’hinterland) è un tema caldo a Milano, in quanto già prima della guerra, confluivano verso la ciLà
un gran numero di lavoratori; fenomeno che si accentuerà di più dopo la devastazione e lo
sfollamento postbellico. A Milano il processo per creare un piano territoriale inizia, ma viene arenato
da alcune amministrazioni e dall’avvio dello studio di un piano di pianificazione regionale.
Le tre leve dell’organizzazione urbana
Il piano lavora aLraverso tre leve: zonizzazione, mobilità e servizi. La ciLà viene suddivisa
completamente in zone funzionali (escluso il centro per cui verrà studiato un apposito piano
par@colareggiato). Par@colare aLenzione viene lasciata alle zone verde libere che vengono tutelate
come polmoni verdi, inoltre si definiscono strisce e zone verdi alberate da lasciare a parco naturale.
--- Zonizzazione
Si prevede anche la creazione di un centro direzionale, ovvero di una zona all’interno della ciLà, dove
le industrie e le compagnie possano stanziare le proprie sedi, cercando così di deconges@onare il
centro ciLadino, senza aLuare i piani di sventramento previs@ dal piano Alber@ni.
--- Mobilità
Vengono studiate strade, ferrovie una rete metropolitana di 3 linee, tranvie, filovie, linee aeree e
fluviali per creare un’ossatura infrastruLurale ar@colata in ogni punto della ciLà. Vengono inoltre
classificate tuLe le strade della ciLà, definendone o ridefinendone i traccia@ e le dimensioni. Viene
studiata sola la rete principale, facendo aLenzione a non sovrapporla con la rete nazionale e
regionale di strade e autostrade.
-- Servizi ed aLrezzature
Vengono create 4 famiglie di raggruppamento dei servizi, in base all’utenza da servire:
a. Servizi colleAvi (quelli di caraLere comunale): stadi, merca@ generali, università …
b. Servizi colleAvi interessan@ gruppi di quar@eri: scuole superiori, ospedali, cimiteri …
c. Servizi colleAvi interessan@ ciascun quar@ere: asili, scuole inferiori, biblioteche …
d. Servizi colleAvi a distribuzione generale: re@ dei servizi (acquedoA, fogne, gas, corrente …)
Il decentramento aCraverso i quar8eri satellite
La parola chiave del piano era il decentramento della ciLà aLraverso alla creazione di quar@eri
satellite, autosufficien@ sulla matrice delle unità di vicinato di origine anglosassone. Vengono previs@
50 quar@eri (pressoché tuA operai), di cui 14 da completare e 15 da riorganizzare e risanare, mentre
solamente 10 da creare da zero. Le nuove zone residenziale avrebbero dovuto essere complete di
ogni servizio e cos@tuite da @pi di abitazioni e densità omogenee al proprio interno.
Si cerca inoltre di abbandonare l’idea di ciLà cos@tuita da cor@na con@nua di edifici, ma si decide
che gli edifici debbano essere distacca@ tra di loro e galleggiare all’interno del loLo con orientamento
libero. IN questo contesto il verde sarebbe stato l’elemento conneLore e separatore degli edifici del
quar@ere i quar@eri stessi.
ACuazione ed esi8
Il piano di Milano viene considerato come il più importante per estensione ed impegno civile, nel
panorama italiano, ma la sua aLuazione non fu facile e lineare. Il primo contraccolpo avverrà con la
speculazione edilizia che perversava sulla ciLà nel periodo di studio dello stesso, che rese necessario
un nuovo censimento edilizio dopo la pubblicazione.
Verranno poi aLua@ tan@ piani par@colareggia@ per cer@ quar@eri di nuova edificazione. Inoltre,
l’utopia dell’unità di quar@ere rimarrà tale, senza una vera e propria aLuazione sul territorio.
Il boom economico farà crescere in maniera ver@ginosa la domanda di alloggi, che venendo realizza@
andranno a tradire in parte i conceA prescriA dal piano. Nel 1963 venne presentata una variante
che non venne mai approvata e la cui aLuazione fu lasciata al libero arbitrio. Nel 1969 si arrivò alla
proposta di nuovo piano per recepire le nuove norme urbanis@che del “67 (765 del 1967) e i d.m.
sugli standard urbanis@ci del 1968.
Col tempo si assisteLe anche una con@nua diminuzione della fiducia nel piano urbanis@co, meLendo
così in crisi il piano e quei pun@ nodali propri degli oAmis@ci principi alla base del piano del 1953.
In conclusione si può dire che questo piano avrebbe potuto essere il mezzo con il quale la colleAvità
nel suo insieme avrebbe potuto decidere democra@camente i des@ni del proprio territori, ma che
soLo la pressione del boom economico e della forte immigrazione interna modificarono il ruolo dello
stesso in una risorsa di negoziazione e legiAmazione delle scelte dei principali aLori delle
trasformazioni urbane.
Capitolo 15 – LE CITTA’ DI NUOVO IMPIANTO
La poli(ca delle “new town”
I modelli delle ci*à giardino sono o1mis2 e benevolen2, in cui ogni parte è in stre*a relazione con
ciò che gli circonda e con il tu*o, per creare un armonioso sistema territoriale. Ciò diviene ancor più
o1mis2co e acquisisce valore, quando i valori promossi non arrivano da un pensatore libero, ma
ben sì dal governo centrale di una nazione per governare il territorio. Ciò è quello che accadde nel
Regno Unito.
I piani più significa2vi sono quelli di Runcorn e Milton Keynes. Il primo esprime in pieno il taylorismo
urbano nell’asse*o rigido e controllato delle strade, mentre quello di Milton Keynes rifle*e la
volontà di sperimentazione di una griglia flessibile.
Le new town rifle*ono la volontà poli2ca di creare degli insediamen2 per la popolazione sfollata di
Londra, in modo tale da garan2re condizioni di vita salubri, dignitose e funzionali, e allo stesso tempo
che esse ritornino in massa verso il centro ci*à conges2onandolo nuovamente (v.d. Greater London
Plan). Per la loro creazione si u2lizzerà il modello economico di Howard, ma in questo caso con il
dire*o finanziamento pubblico all’interno della poli2ca del welfare state; quindi, un sogge*o (lo
stato) che può farsi carico di finanziari proge1 che por2no dire*amente e indire*amente guadagni
nel lungo periodo (anche nella sola soddisfazione e benessere delle popolazioni che vi andranno a
vivere). I pres22 eroga2 dal ministero del tesoro vedevano tempi di ammortamento a 60 anni e tassi
di interesse molto bassi.
Gli obie1vi persegui2 dalle costruzioni delle new town sono molteplici, ma quelli principali sono
quelli che vengono introdo1 da Howard e quindi l’esigenza di ridare un equilibrio spaziale a livello
regionale e locale, deconges2onando l’area metropolitana, diminuire il pendolarismo e diminuire i
cos2 di insediamento. Altro grande principio perseguito dalle new town, in linea con il pensiero
howardiano, è quello delle unità di vicinato per favorire spontaneamente l’interazione sociale tra le
famiglie, ma lasciando inta*a la privacy famigliare con l’uso delle abitazioni unifamiliari.
La proge3azione delle “new town”
La cultura alla base della new town, anche se di puro principio inglese, si sviluppo anche in
collaborazione con gli Sta2 Uni2, dove nella ges2one autonoma (lo stato interviene pochissimo) dei
grandi sobborghi residenziali statunitensi, gli archite1 H. Wright e C.S. Stein elaborano il principio
di Radburn, che sarà alla basa per la redazione del rapporto Buchanan sulla ges2one del traffico.
Questo know how sarà indispensabile e alla base dalla creazione delle new town di seconda
generazione.
Proge6 d’archite3ura e piano
I proge1 delle new town cos2tuiscono grande libertà e schema2cità nella pianificazione del
Novecento, in quanto vi sono pochissimi vincoli al piano e quindi i proge1s2 sono chiama2
inconsciamente a creare piani basa2 su modelli ripe2bili, senza variazioni e/o ar2colazioni.
L’assenza di una popolazione assimila i piani delle new town a quelli archite*onici so*o il punto di
vista dell’unicità della commi