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VISSUTO COME LUOGO DI ELABORAZIONE PERSONALE
Il vissuto allora è il luogo dell'elaborazione personale e diventa lo spazio di ricerca e di affermazione di sé,
che inizia già in adolescenza. Ma la giovinezza è anche il tempo in cui la presa di coscienza è inesorabile. Da
giovani ci si rende conto della differenza che c'è tra ciò che vogliamo essere e ciò che siamo. È il tempo
dell'esperienza-limite, ideale, che danno significati, e che sono sostanzialmente sempre le stesse. Quelle che
assumono un ruolo chiave nella giovinezza sono: morte, eros, colpa, trasgressione. Sono esperienze limite
perché mostrano il proprio limite al soggetto che le vive, delimitano il suo delirio di onnipotenza
inconsapevole, ma sono anche esperienze limite perché sono al limite della sopportabilità, come sosteneva
il pedagogista che ha dato la definizione. (CERCA?). Nella giovinezza accade sempre qualcosa che abbia a
che fare con una o con tutte quelle 4 esperienze, che diventano esperienze tragiche, e rispetto alle quali non
torniamo più a essere come eravamo prima, diventiamo altro da prima. E lo sappiamo, siamo consapevoli
che da lì in poi quell'esperienza continuerà a essere un'esperienza che noi ricorderemo come decisiva nella
nostra vita. Cambierà il suo peso, il suo significato, ma non il contenuto del significato, non il fatto che è
stata decisiva, perché da lì noi siamo consapevoli che non siamo più come eravamo prima. Anche questo ha
a che fare con la dimensione morale, perché noi scegliamo come vivere questa determinata esperienza di
vita. Anche qui non importa chi è morto se vicino o lontano, o quale forma di trasgressione, importa che ci
sia un'esperienza con questo segno.
E la letteratura ha sempre, quando ha parlato di giovinezza, lavorato su questi elementi. Non è un caso. Il
Bildungsroman aveva la caratteristica di raccontare la trasformazione del giovane in adulto. La
trasformazione del giovane in adulto poteva presentare delle varianti, ma in tutti i grandi romanzi di
formazione (vedi titoli) c’è sempre un approdo all'età adulta che dipende da un giro di boa, da una
trasformazione della soggettività. Il tempo della giovinezza è il tempo della consapevolezza di sé. Il
bildungsroman canonico è finito a fine ‘800, ma oggi abbiamo nuove forme non canoniche di romanzo di
formazione. Non canoniche perché il romanzo di formazione terminava sempre con un'adultità e con il
protagonista che trovava il suo posto nel mondo, il che significa fare famiglia (avviare il processo di
riproduzione), trovare una collocazione sociale dal punto di vista lavorativo e quindi di classe sociale. È
definito romano di formazione non solo perche racconta una formazione ma anche perché forma il lettore.
L'idea era quella che lettori del romanzo recepissero la morale della favola. Perché fino all'800 lo svago
giovanile era ampiamente dominato dalla cultura, ci si svagava leggendo letteratura. E la letteratura
giovanile è servita proprio a questo. Oggi abbiamo altre forme di romanzo di formazione, per tutto il ‘900 e
anche nella contemporaneità gli scrittori continuano a raccontare le storie dei giovani. Sartre ha scritto una
serie di racconti che si chiama “Il muro” in cui racconta in ognuno di loro la storia di un protagonista che da
giovane diventa adulto, e lo fa in maniera sprezzante. Mentre nel bildungsroman classico il giovane che
diventa adulto finisce di soffrire e smette di essere tormentato, nella raccolta di Sartre il giovane diventa
adulto ma rinuncia alla sua libertà, diventa ipocrita, individualista. Anche Pasolini ed Elsa Morante hanno
raccontato giovinezze particolari. Il ‘900 è stato anche il secolo che ha rotto il paradigma per il quale i
giovani degni di entrare nella letteratura sono solo i giovani borghesi. Entrano nella letteratura anche i
sottoproletari, i proletari, i poveracci. E questo Pasolini lo fa meglio di altri. I suoi Ragazzi di vita, sono
ragazzi che non sanno nemmeno parlare in italiano, parlano in romanesco. Recentemente, autori come
Ishiguro e Murakami raccontano in maniera onirica o parafantastica storie di ragazzi che vedono il loro
percorso di formazione verso l'adultità molto calato nell'atmosfera del nostro tempo, che è un'atmosfera
mollo più nebbiosa, molto più ostile a una presa di coscienza razionale, chiara. Never let me go racconta la
storia di tre cloni umani, ambientata in un villaggio costruito apposta per crescere questi cloni. Si parte
dall'adolescenza e si arriva all'adultià. I cloni sanno di essere tali, sanno che i loro originali vivono in una vita
reale e il loro compito è essere a disposizione nel caso in cui l'originale avesse qualche organo da cambiare.
Quindi il destino del clone è di non avere futuro. E Ishiguro si chiede se il clone può avere una vita propria,
una propria soggettività. Ovviamente c'è un simbolismo. Se diventiamo nel mondo tutti uguali, siamo tutti
cloni, come avviene la nostra soggettivazione, cosa manca ala copia di qualcuno? Manca la presa e
l'intenzione di fare qualcosa di sé, di dare una forma alla propria vita. Il clone sa che questo è del tutto
superfluo, è lì perché ha un'utilità e se non dovesse mai servire avrà vissuto inutilmente. La massima
aspirazione del clone è morire sapendo di sacrificarsi per l'originale. Ishiguro però dimostra che il clone a un
certo punto capisce e desidera avere una vita propria, questo aspetto è connaturato all'essere umano anche
quando è creato in maniera artificiale.
I romanzi di Murakami hanno quasi sempre un protagonista giovane, a volte adolescente. E riesce a
immergere i suoi protagonisti in un’atmosfera di isolamento, vivono nel mondo, hanno relazioni, ma sono
soli con sé stessi, ontologicamente soli. E in una nebbia esperienziale dove è impossibile distinguere la
realtà dal sogno, dalla fantasia, dal desiderio, tutto si confonde, ma poi alla fine succede sempre qualcosa.
Essendo musicista ed esperto musicale, Murakami inserisce nei suoi romanzi canzoni e musica. Norwegian
wood è il titolo di un brano dei Beatles. Non sono solo colonne sonore di accompagnamento, non sono
casuali, ma è proprio una stratificazione dei significati.
Dunque, le rappresentazioni anche letterarie dei giovani rimangono ancorate a esperienze di vita che
trasformano, non di per sé ma perché il soggetto si trasforma alla luce di quelle esperienze, non può
rimanere inattivo o indifferente. E qui siamo nell'ambito degli archetipi della giovinezza. I giovani sono
inqueti, ma esserlo non è un difetto ne è una caratteristica della giovinezza. L'inquietudine piuttosto è una
caratteristica dell'esistenza umana. Non è che gli adulti non lo siano, al massimo fano finta di non esserlo.
L’inquietudine è uno dei motori dell'esistenza. L'idea che si è felici quando si è tranquilli è un falso mito.
L'inquietudine non è l'ansia, l'ossessione, ma vuol dire non essere mai pienamente appagati da qualcosa. È
una condizione esistenziale, non giovanile. Ma nella giovinezza l'inquietudine acquista maggior peso,
maggior significato perche è quella che ci fa cercare, esplorare, muoverci, guardarci intorno, cercare di
capire. Ecco perché si dice che la giovinezza è l'experimentum crucis della propria vita. La domanda morale
che ci si fa nella giovinezza è: io sono arrivato a 20 anni essendo stato educato in un certo modo, quindi una
forma l’ho già presa, io sono già in gran parte determinata dal modo in cui mi hanno impresso una forma,
quindi la mia liberta è una libertà relativa. Noi non arriviamo informi alla giovinezza. Però la domanda che si
pone nella giovinezza è: cosa me ne voglio fare di questa cosa, di questa forma? Cosa faccio di quello che il
mondo ha fatto di me. Questo fa della giovinezza l'experimentum cruucis della vita. Da quel momento in poi
la nostra vita prende una direzione, che non sarà mai sempre quella, ma prende una direzione di maturità e
autonomia. Quindi quando dicevamo che saremo sempre meno eterodiretti e sempre più autonomi, questo
processo di autonomia si afferma nella giovinezza e si compie completamente nell'adultità. Quello che non
vale quindi dal punto di vista pedagogico è categorizzare i giovani secondo generazioni diverse o dire “la tua
generazione è diversa dalla mia” perché è ovvio11ma è anche da evitare di stereotipare la rappresentazione
del giovane e anche di pensare che il giovane sia comunque sempre tra liberazione e omologazione. Perché
il giovane è sempre tutte queste cose mischiate insieme in maniera non lineare.
MORALE GIOVANILE
La morale giovanile si sviluppa in forma dialettica, va avanti per opposti. Norma/trasgressione,
amore/morte, realtà/progettualità. Questi nodi della morale implicano tutti e tre una qualche fatica, dolore
forza o coraggio. Implicano un’azione, non solo una scelta, ma anche un'azione che segue la scelta. Ma è
proprio in questa significatività che noi diamo alla dimensione morale nella giovinezza che diamo già
un'impronta alla vita adulta. L'adultità non comincia quando finisce la giovinezza, comincia nella giovinezza.
È da giovani che noi in realtà mettiamo le basi degli adulti che saremo. L'adultità è seminata nella giovinezza
attraverso la formazione, cioè l'assunzione personale dell'io, la capacità di fare a meno del giudizio degli
altri, la capacità di distanziarsi dalle rappresentazioni della realtà correnti (cioè cercare di capire, non di
aderire ciecamente alle rappresentazioni del mondo che ci sono state date), una dimensione di auto
rappresentazione (cioè sapere come è rappresentata la propria generazione e che ruolo ho io rispetto a
questa rappresentazione), e poi una progettualità. Il fatto che stiamo già guardando agli adulti che vogliamo
diventare. Queste tre azioni non ci sono nelle altre età della vita. Il passaggio dall'adultità alla senilità o
dall'infanzia all'adolescenza non ha questi tre momenti, ce l'ha solo la giovinezza, per questo è cosi
importante.
*Domanda: opposti non vuol dire che il giovane o sceglie la norma o la trasgressione. Il tempo della
giovinezza è il tempo in cui si è divisi tra le due. E la scelta non è mai una scelta totale o definitiva, però il
tempo della giovinezza è quello in cui questa cosa si impone all'attenzione: voglio essere uno regolare o
trasgredire? Inoltre, tutto que