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PENTECONTAETIA
Per pentecontaetìa i moderni intendono il periodo di circa 50 anni che intercorre tra la fine
delle guerre persiane (con la conseguente fondazione della Lega Delio-Attica) e l’inizio della
guerra del Peloponneso. L’astratto pentecontaetìa (“cinquantennio”) è di uso rarissimo: nella
storiografia di Diodoro Siculo appare l’equivalente concreto “periodo di cinquanta anni”; ma
l’idea di considerare unitariamente quegli anni ricchi di eventi diversi, configurabili in fasi
distinte fra loro, è di Tucidide. Lo storico, nell’Archeologia I libro, ferma la narrazione alle
guerre greco-persiane, trattate già da Erodoto; successivamente, interrompe la narrazione
delle cause e dello scoppio della guerra del Peloponneso inserendo proprio la pentecontaetìa,
l’ampia premessa, secondo Tucidide, alla narrazione della guerra del Peloponneso.
Nel racconto tucidideo si mescolano due nozioni fondamentali:
- L’una è quella secondo cui gli stati tendono a crescere (auxànesthai) come esseri
organici se perciò in un determinato spazio geografico, storico e politico coesistono e
concrescono due realtà di questo tipo, è anche una sorta di dato naturale che esse si
scontrino; ed è appunto quel che è inevitabile accada fra Sparta e il mondo
peloponnesiaco da una parte, e Atene e il suo impero dall’altro; questa sarebbe una
concezione di radicale e fatalistico pessimismo.
- Una seconda secondo cui alla prima concezione naturalistica si intreccia una
concezione, più critica, delle responsabilità di ciascuna di queste realtà: Sparta è
la città che psicologicamente si configura come il mondo della conservazione,
dell’avversione al nuovo, del timore di ciò che è diverso; Atene è la città del coraggio,
dell’intraprendenza
dell’audacia, che sconfina nel gusto del rischio,
dell’avventura, del nuovo e del grande.
Tucidide però, da un lato, non ha segnato cesure nette che favoriscano una periodizzazione,
anche se ha riportato certi cambiamenti del rapporto tra Atene e le sue alleate; dall’altro lato,
egli non ci ha dato una rappresentazione parallela degli svolgimenti politici interni ad Atene,
per i quali ci dobbiamo affidare alle tradizioni attidografiche più tarde, spesso di complessa
genesi e di difficile valutazione. Certo, sulla responsabilità di fondo e primaria di Atene, e
della sua crescita imperialistica, nello scoppio della guerra del Peloponneso egli non ha
dubbi; ma questo vale per le cause e responsabilità profonde e remote dell’insorgere di quel
conflitto che devastò la Grecia per un trentennio; così come egli attribuisce la responsabilità
immediata, dell’apertura cioè della guerra, ai Peloponnesiaci: la guerra del Peloponneso è
definibile così perché l’aprirono i Peloponnesiaci, i quali portarono la guerra contro Atene e i
suoi alleati.
Un altro elemento che denota la grandiosità dell’opera tucididea è il fattore psicologico: la
“paura-coraggio”,
psicologia in T. è un segno, un linguaggio storiografico: l’opposizione che
riassume l’opposizione Sparta-Atene, è appunto una rappresentazione simbolica; Tucidide
molto spesso ricorre a rappresentazioni psicologiche, che sono da prendere per quello che
sono, cioè per grandi metafore storiche, che facilitano al lettore il primo approccio alla
comprensione degli eventi.
FONTI SULLA PENTECONTAETIA: Tucidide, Diodoro Siculo (XI libro), le biografie di Plutarco,
la vita di Cimone, la vita di Temistocle, la vita di Aristide, la vita di Pericle.
EVENTI DELLA PENTECONTAETIA
FONDAZIONE DELLA LEGA DELIO-ATTICA (478/477 CA): Il momento decisivo nella presa
di coscienza, da parte di Atene, del nuovo ruolo della città all’interno del mondo greco, è
l’assunzione dell’egemonia della Lega Delio-Attica. Vi contribuiscono al principio gli Ioni,
gli stessi che hanno voluto Atene come guida, ma non tutti con le stesse condizioni; i più
pagheranno un tributo in denaro (phoros), che in totale ammonta a 460 talenti annui (1
talento=una nave); questo tributo veniva calcolato anno per anno da funzionari ateniesi, i quali
si recavano nelle città che aderivano alla lega e sulla base del reddito quest’ultime versavano
un tributo proporzionale; più grandi e ricche erano le città maggiore era il tributo. Lo scopo era
quello di costruire una flotta navale e di pagare coloro che lavoravano attorno alla flotta; con
navi contribuiscono le città insulari di Samo, Chio e Lesbo, che hanno la funzione di
sentinelle sul fianco orientale dell’impero egeo che sta nascendo.
Sede del tesoro e delle riunioni del sinedrio federale è Delo, sede del santuario di Apollo in
cui si riunivano solo gli appartenenti alla stirpe ionica.
La finalità dichiarata, sotto la spinta di Cimone, fondatore della Lega insieme a Temistocle ed
Aristide, è quella della continuazione della difesa dai Persiani, e di un regolamento dei
rapporti nell’Egeo soddisfacente per i Greci, cioè per la loro sicurezza e per i loro interessi.
CIMONE: Cimone era figlio di Milziade, comandante delle truppe ateniesi che vinse a
Maratona. Era appartenente alla ricca famiglia dei Filaidi, che già dalla metà del VI secolo erano
proprietari di territori in area persiana presso il Chersoneso Tracico. L’obiettivo di Cimone
non era solo quello di difendersi dai persiani, ma voleva anche tornare in possesso di quelle
terre e ampliare il raggio di influenza ateniese in area persiana. Cimone era molto ricco e usava
le sue risorse anche per ottenere più consenso presso la popolazione. Plutarco ci dice che
Cimone era solito attuare una politica di beneficenza nei confronti dei cittadini ateniesi, tanto
che organizzava banchetti a casa sua, ecc. Cimone resta un fedele alleato di Sparta: fu il
fautore della politica delle due gambe, affermando che la Grecia avrebbe potuto
fronteggiare il pericolo dei persiani soltanto se fosse stata salda sulle due gambe, cioè Atene e
Sparta. Atene si configura sempre più come una grande potenza marittima, mentre Sparte
come una potenza terrestre; forse Sparta rinuncia alla guida della lega ellenica ma non rinuncia
mai al ruolo di egemone sul mondo greco. Negli anni di Cimone comincia quella grande
propaganda, di cui è portavoce Erodoto, che rappresenta i persiani come il popolo barbaro per
eccellenza, venendo paragonati alle forze selvagge della mitologia greca o ai troiani del mito
omerico. In questo periodo avviene questa dicotomia tra il mondo orientale e il mondo
occidentale, l’Asia contro l’Europa. Erodoto inizia le sue Storie partendo dai primi scontri tra
Asia ed Europa e poi si sofferma alla guerra di Troia. Se paragoniamo i poemi omerici alla
propaganda portata avanti da Cimone ci accorgiamo che sono due rappresentazioni diverse,
nei poemi omerici infatti i troiani non sono visti come barbari in senso dispregiativo, ma negli
anni di Cimone i troiani cominciano ad essere rappresentati come dei barbari e i persiani sono
come i successori di essi (tant’è che proprio a partire da questo momento Priamo, Enea, Ettore
sono raffigurati con i vestiti dei persiani nei vasi greci). Una propaganda del genere aveva solo
un fine, ossia quello di legittimare le aggressioni nei confronti dei persiani, i quali, dopo
Platea, non attaccarono più il mondo greco.
Su questo programma (cioè di andare contro i persiani ecc) non si vedono ad Atene vere e
proprie contrapposizioni di partiti e gruppi politici: le voci discordi furono poche e isolate, ma
una di queste fu quella di Temistocle.
TEMISTOCLE: Temistocle, poco prima la fondazione della Lega Delio-Attica, estese e fortificò
il porto del Pireo, collegandolo alla città; continuò, insomma, la sua politica imperialistica
volta a “migliorare la posizione dominante della sua città natale” (Plutarco).
Plutarco riporta che Temistocle propose di distruggere in segreto le navi degli altri alleati, per
assicurare il completo dominio marittimo, ma questa proposta venne bocciata da Aristide e dal
consiglio degli Ateniesi;
Sembra chiaro che verso la fine del decennio Temistocle avesse iniziato ad accumulare molti
nemici ed era diventato arrogante; inoltre, i suoi concittadini erano gelosi del suo prestigio e
del suo potere. Gli Spartani si organizzarono attivamente contro di lui, promuovendo come suo
rivale Cimone, figlio di Milziade. Dopo il tradimento del loro generale Pausania, gli Spartani
cercarono di far sembrare Temistocle coinvolto nel complotto; tuttavia, venne assolto da tutte
le accuse. Ad Atene perse egli stesso il favore del popolo costruendo vicino a casa sua un
santuario di Artemide Aristoboulë (del buon consiglio), evidente riferimento al suo ruolo nella
liberazione della Grecia dai Persiani. Infine, nel 472 o nel 471 a.C., venne ostracizzato.
Di per sé questo non significa che Temistocle avesse fatto qualcosa di male; l'ostracismo,
non era una pena, ma un modo per pacificare e alleviare
usando parole di Plutarco, "
quella gelosia che spingeva a tentare di umiliare il potente, facendogli respirare la sua
malizia da privato cittadino"; in realtà l'ostracismo di Temistocle fu il frutto della convergenza
dei due potenti genē dei Filaidi e degli Alcmeonidi (riconciliatisi in seguito al matrimonio
dell'alcmeonide Isodice con Cimone), col placet di Aristide, unitisi per contrastare il politico,
sempre più influente per il successo di Salamina. Recenti studi di calligrafia hanno dimostrato
che gli ostraka recanti il nome di Temistocle sono stati incisi dalla stessa mano, dimostrazione
di uno dei primi "brogli elettorali" della storia o, secondo un'altra ipotesi, del fatto che,
contrariamente a quanto si pensava, gli ostraka non provano che nell'antica Grecia
l'analfabetismo fosse poco diffuso (cioè, forse c'era una minoranza di persone alfabetizzate che
scriveva gli ostraka per gli analfabeti).
Dapprima Temistocle si recò in esilio ad Argo (città ostile a Sparta, non è casuale la
scelta); tuttavia, vedendo che ora avevano un'ottima occasione per affondarlo
definitivamente, gli Spartani mossero accuse contro di lui, sostenendo la sua complicità nel
tradimento di Pausania. Chiesero che fosse giudicato dal "Congresso dei Greci", invece che ad
Atene, ma sembra che alla fine sia stato chiamato nella sua città per affrontare il processo;
forse rendendosi conto di aver poche speranze di sopravvivere, Temistocle fuggì, prima a
Corcira (l'odierna Corfù), quindi presso Admeto, re di Molossia.
Probabilmente la sua fuga servì soltanto a convincere gli accusatori della sua colpevolezza:
infatti, venne dichiarato traditore di