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Il XII secolo: la separazione gerarchica e l'evoluzione dell'architettura
La creazione di una netta separazione gerarchica tra clero e laici ha avuto importanti conseguenze sull'assetto liturgico, come ad esempio la creazione di un muro divisorio fra navata e coro.
Il XII secolo è stato anche conosciuto come il "secolo delle cattedrali" in alcune aree specifiche come l'Inghilterra, l'Italia meridionale, l'Aquitania, l'Emilia (con i cantieri di Modena, Parma, Piacenza, Ferrara) e l'Ile-de-France con le grandi imprese proto-gotiche di Parigi (Notre-Dame). Con Chartres, Reims, Amiens, Bourges, il gotico "classico" ha portato a una vera e propria rivoluzione architettonica nella concezione della parete, della luce e della statica: i pilastri e gli archi rampanti, visibili sui fianchi esterni della chiesa, sostengono il carico delle volte della navata centrale in corrispondenza degli archi trasversali, creando grandi vetrate e "svuotando" le pareti.
Di lì a poco, questa evoluzione avrebbe avuto un impatto significativo anche su altre aree.
l'età d'oro del monachesimo benedettino e delle sue imprese edilizie, e sarebbe nata la chiesa conventuale: attorno a Domenico di Guzman (fondatore dell'ordine dei Predicatori) e Francesco d'Assisi (fondatore dei Minori). Le prime chiese francescane sono situate extra moenia (fuori le mura cittadine) e sono semplici cappelle concesse da monasteri benedettini o privati. Il tipo ad aula unica è il più semplice e rigoroso. La soluzione a una navata con transetto prevalse in Italia centrale; il tipo a tre navate nel Nord Italia e in Europa, soprattutto nelle chiese domenicane. Arredo liturgico e frazionamento dello spazio Più che prendere in esame i singoli elementi dell'arredo liturgico (altare, ambone, recinzioni), è opportuno evidenziare i mutamenti nella concezione del rapporto fra spazio dell'altare (santuario), spazio del clero officiante (coro) e spazio dei laici (navata liturgica). Nell'architettura.In epoca paleocristiana non è ancora chiaramente espressa una separazione fra santuario e coro, intendendo per coro la sede degli uffici di lode divina nelle ore principali del giorno. Nei gruppi episcopali l'officiatura di mattino e vespro è talora delegata a una seconda chiesa o a una cappella. In generale la separazione meglio individuabile in un aula di culto è quella fra sede della liturgia della Parola (ambone, piccolo podio per la lettura del Vangelo e predicazione) e luogo della liturgia eucaristica (altare), dunque nel contesto della Messa e non degli uffici. Nella maggioranza delle chiese il clero trova posto in un banco presbiteriale concentrico all'abside (syntronos), dotato della cattedra vescovile al centro e in prossimità all'altare, che è posto davanti ad esso. Il banco a volte si prolunga ai lati dell'altare in due file simmetriche. In origine gli arredi liturgici (syntronos, altare, ambone) erano per lo più mobili; inoltre,
la presenza dell'ambone non era 'necessaria'. Il vescovo, come in Africa, poteva pronunciare l'omelia della cattedra absidale (maggiormente soprelevata). La necessità di separare il santuario/presbiterio dai fedeli mediante transenne fu avvertita subito. Già nelle primissime chiese episcopali di Aquileia e Treviri restano tracce archeologiche dei recinti divisori: il problema non era quello di separare il collegio dei preti, ma quello di contenere l'invadenza dei fedeli, desiderosi di approssimarsi all'altare. Esplicite sono le disposizioni del Concilio di Toledo del 633, che allude a due chori di preti e diaconi, che sono probabilmente gruppi di cantori. Inoltre i laici non accedono all'altare neppure per la comunione e sono ben definite le tre zone liturgiche della chiesa che caratterizzano tutto il Medioevo: santuario a est, coro al centro e navata liturgica a ovest. Ma il vero punto di svolta per l'assetto e la collocazione
del coro medievale (forse già 'acquisiti' negli atti del Con-cilio di Toledo) fu la formazione a Roma della cosiddetta schola cantorum. La schola, le cui origini si legano forse alla figura di Gregorio Magno, era un'istituzione pontificia. Nell'alto Medioevo era costituita da 12 membri ed era quasi l'ente depositario della tradizione liturgica romana. Il compito essenziale della schola era quello di solennizzare col canto le fasi cruciali del rito eucaristico. La posizione della schola dei cantori durante la messa era entro il recinto che si prolungava dall'altare verso la navata. La schola come luogo fisico deriva dalla solea più lunga e stretta delle chiese romane di V-VI sec., e pur conservando la funzione di 'via all'altare', si trasforma nel vero e proprio chorus altomedievale, cioè il luogo destinato agli uffici quotidiani, ma anche e soprattutto ai cantori durante la messa. È a Roma, forseAl tempo di Gregorio Magno, che ha origine il coro monastico e canonicale del Medioevo (posto fra santuario e navata liturgica), ma non fu Roma a espanderlo nell'Europa cristiana. La mediazione fondamentale fu esercitata dal vescovo Chrodegang di Metz, autore di una MetzRegula per i canonici della sua cattedrale (organizzati secondo la vita in comune di tipo monastico) che costituì la base delle regole canonicali occidentali. Nel programma di Chrodegang vi era l'introduzione a Metz del canto liturgico e della messa secondo il "costume di Roma", e da quel momento la scuola di canto della cattedrale sarebbe stata normativa per tutta la Gallia. Nell'antica cattedrale di Metz (San Pietro maior) la cattedra episcopale era posta nell'abside; davanti ad essa stava l'altare delle messe. Cattedra e altare erano sopralzati su un podio (thronus) come a San Pietro Vaticano, mentre più in basso, davanti all'altare, stava il presbyterium.
che era il coro dei canonici derivato dalla schola. Affiancato come aRoma dall'ambone (per la liturgia della Parola), il coro era utilizzato per il canto durante laliturgia eucaristica e forse per alcuni uffici quotidiani. Questa restituzione comporta unaconclusione importante: trasferendo la schola/coro da Roma in Gallia, Chrodegang ha con-segnato all'Europa e all'intero Medioevo occidentale la collocazione del coro monastico (edi cattedrale) fra l'altare e la navata, verso la zona dei laici. Questa formula avrà grandi con-seguenze sull'arredo liturgico delle chiese e sull'architettura, e sarà destinata a durare finoalla Controriforma. La nuova soluzione consentiva di avere un inedito spazio per il clero,ben separato dallo spazio dei laici, che subivano un allontanamento dall'altare maggiore(santuario). Nasceva così la tripartizione dello spazio sacro tipica del Medioevo.Al tempo di Carlo Magnostudio di alcuni edifici romanici in Italia. In generale, l'accessibilità dei laici alle chiese monastiche durante l'età carolingia era maggiore rispetto al passato. Le recinzioni, solitamente costituite da lastre scolpite, erano di solito basse e permettevano ai laici di vedere l'interno della chiesa. Tuttavia, in alcuni casi durante l'età carolingia si iniziarono a costruire pareti di separazione tra il coro e la navata liturgica. Queste pareti potevano essere costituite da muri alti o diaframmi trasversali, ma non necessariamente in muratura piena. L'uso frequente di pareti divisorie in muratura alta si sviluppò solo a partire dall'XI secolo. Durante l'età carolingia, la relazione tra il clero e i laici era ancora "aperta" e anche durante l'età romanica non si abbandonò completamente l'usanza delle recinzioni basse. Le pareti divisorie alte non riguardavano solo i monasteri e le canoniche regolari, ma anche le cattedrali, come dimostra lo studio di alcuni edifici romanici in Italia.scavo nel-la cattedrale di Nizza, che ha permesso di individuare una parete ovest con porta centrale e banchi di pietra per il coro addossati all'interno delle pareti laterali, ciò per impedire la visione reciproca di clero e laici. Non si trattava tanto di una chiusura gerarchica o sociale del clero quanto di una 'protezione' contro le distrazioni e le tentazioni. Gli altari potevano essere anche due, a lato della porta centrale, oppure al centro della parete ovest, inducendo a aprire due porte ai lati. La separazione dunque non fu mai così netta, e aveva anche lo scopo di dotare i laici di una propria chiesa, che era la navata liturgica. Il processo iniziato in età carolingia con la moltiplicazione dei cori e dei santuari sfociava ora in un assetto definito con la formazione di 'due chiese nella chiesa'. Coro e santuario si legavano in un corpo unico e la navata liturgica diventava la seconda chiesa con il proprio altare.Persistenza dei muri di coro fu lunga, ancora per tutto il XIII sec. e oltre, quando ormai trionfava la nuova struttura del jubé. In contesto cistercense la parete tagliava a metà la navata centrale e divideva il coro dei monaci da quello dei conversi: ossia, la parete e l'ambo-ne si erano fusi nella struttura del ponte o tribuna detta jubé. La comparsa del jubé non coincide esattamente con le origini del gotico, ma senza dubbio potrebbe coincidere con la sua fase più caratterizzante, attorno al 1200. Il jubé costituisce l'esito di una fusione fra la parete occidentale del coro e l'ambone. La parete ovest si sdoppia e si trasforma in un ponte o ballatoio o tribuna, raggiungibile mediante scale, dal quale si celebra la liturgia della Parola (lettura e omelia). Il termine francese deriva appunto dalla formula di richiesta di 'autorizzazione' che il diacono rivolgeva al vescovo prima della lettura (jube
domine benedicere). Più diuno dei termini documentati in Italia: pontile, pergolo, pulpitum, ponte, podiolus. Tre sono itipi di jubé principali: jubé a pulpito (dominante in Germania), jubé a struttura chiusa (domi-nante in Inghilterra) e jubé a portico o loggia (presente in tutte le grandi cattedrali francesi ein Italia). Il primo tipo è costituito da una parete di coro dalla quale sporge un breve podioalto centrale (pulpito), collegato al coro retrostante e sovrastante l’altare dei laici. Il tipo astruttura chiusa è costituito da una doppia parete trasversale alla navata e reggente la tribu-na; ogni parete è forata solo dal portale che fa da filtro fra coro e navata. L’ultimo tipo fu an-che il più diffuso: il jubé a loggia porticata aperta verso ovest già esistente in Francia. Il por-tico, un vestibolo rispetto al coro ma anche un ‘santuario’ rispetto alla navata, ospitava nonun solo altare,
che utilizzato dai mendicanti (frati francescani e domenicani) in Germania e Italia. Questo tipo di jubé era posizionato trasversalmente alle tre navate della chiesa, come ad esempio nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze.