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L'ETICA FEMMINISTA
1-La fondatrice del "nuovo femminismo", Simone de Beauvoir, fu non a caso autrice di saggi di etica esistenzialista; infatti nozioni come situazione, progetto, fatticità, ambiguità, furono decisive per permettere d'impostare il discorso sulla liberazione delle donne non più come emancipazione o parità di diritti, ma come un percorso di progettazione di sé in prima persona e non più in terza persona. Tuttavia, sembrava che il femminismo non potesse porsi in termini di etica normativa perché il divenire soggetti autonomi era precondizione di ogni questione etica e quindi il compito della liberazione delle donne era al di là (o meglio, al di qua) del bene e del male.
2-Nel corso degli anni Settanta negli Stati Uniti si iniziò quindi a discutere di un'"etica femminista". Questo passaggio ha portato con sé una direzione di ricerca in metaetica rivolta a rendere conto
Della natura dell'esperienza morale in modo che tratti con rispetto l'esperienza morale delle donne.
3-Carol Gilligan, psicologa statunitense
A. Nel 1982 con In a Different Voice contestava su basi empiriche la validità per le donne della sequenza distadi dello sviluppo morale teorizzata da Lawrence Kohlberg. Il suo schema, che fa della giustizia astratta una conquista delle fasi più avanzate dello sviluppo morale, tende a relegare le femmine negli stadi meno avanzati.
B. Invece, quella che apparirebbe una immaturità morale delle donne se giudicata secondo questo schema è un percorso di sviluppo diverso che privilegia, invece dei principi astratti e universali, la logica della "cura", cioè il farsi carico una situazione particolare.
C. L'individualismo dei maschi si oppone all'atteggiamento femminile propenso a vedere i dilemmi morali come conflitti di responsabilità più che di diritti, e a risolverli in modi
Tali da salvare le reti di relazioni interpersonali.
4-Nel Noddings:
A. si è proposta di costruire un'etica della cura come un'etica della virtù (al singolare) perché l'unica virtù che conta è il prendersi cura;
B. questa può essere difesa come un'etica universale sulla base della tesi dell'esistenza di una forma di cura naturale e accessibile a tutti gli esseri umani; si può sostenere che certi sentimenti, atteggiamenti e memorie sono universali senza pretendere che questa etica contenga un insieme di giudizi morali universalizzabili.
C. Invece di partire dai giudizi morali ha proposto di partire dall'impulso morale e sostiene un'etica che stabilirà doveri tali che si possa realisticamente adempiervi senza lasciarsi fuorviare da visioni di amore o giustizia perfetta che stabiliscano doveri troppo esigenti.
5-Virginia Held:
A. Quest'ultima ha sostenuto che l'indagine morale è un
Il processo che non va concepito come riflessione razionale che crea la teoria seguito da un'applicazione a casi particolari, ma invece come processo di continuo adattamento della teoria all'esperienza morale e viceversa. Così esperienza e teoria stanno in un rapporto reciproco in un modo simile all'equilibrio riflessivo.
La categoria centrale è quella di "esperienza", non quella ristretta dell'osservazione empirica, ma quella vissuta, del sentire e del pensare, dell'agire e del ricevere impressioni, del legame con altre persone e dell'esperienza di se stessi.
L'esperienza morale comprende quel genere di giudizi cui arriviamo indipendentemente dalla teoria morale. Avviene poi che talvolta l'atto particolare ci sembra giusto indipendentemente da una teoria morale e infine che dobbiamo rivedere una teoria perché l'atto che giudichiamo giusto è in conflitto con ciò che una teoria cui aderivamo prescriverebbe.
I giudizi particolari suggeriti dai sentimenti avvengono in circostanze in cui non siamo necessariamente imparziali; infatti le emozioni, come l'empatia, la preoccupazione per gli altri, la speranza, l'indignazione hanno una funzione importante nel far crescere l'intelligenza morale e non solo nell'applicarne le conclusioni. L'imparzialità richiesta dagli approcci kantiani o utilitaristi condannerebbe a escludere dal ragionamento morale le relazioni fra persone reali.
E. La procedura di soluzione dei conflitti morali sarà non una procedura ideale come quelle delle teorie utilitariste o contrattualiste ma quella di un dialogo fra interlocutori reali, che avrà come condizione l'amicizia e la conoscenza reciproca.
6-Margaret Urban Walzer
A. ha sostenuto che esiste un'alternativa dialogica alla concezione "astratta, autoritaria, impersonale, universalista" della coscienza morale e che questa ruota intorno alle idee di
“risposta” e “responsabilità” reciproca;
B. i tre elementi che compongono la deliberazione morale sono l’attenzione, l’apprezzamento contestuale e narrativo, la comunicazione. Si sviluppa così la pragmatica della comunicazione, cioè lo studio di ciò che le persone intendono dire e fanno rivolgendosi la parola, applicata agli usi del discorso etico.
7-Seyla Benhabib
A. Suggerisce un recupero degli aspetti emozionali, della dimensione corporea come costitutiva, e infine del carattere relazionale e non atomistico del soggetto che ha autonomia, scelta, e autodeterminazione.
B. Sostiene un’etica del discorso emendata della sua astrattezza attraverso il recupero dell’«altro concreto».
8-Luce Irigaray
A. In direzione opposta ha insistito sul carattere frammentario e multiplo del soggetto.
B. Pone al centro del pensiero femminista la nozione di «differenza». Heidegger chiama differenza ciò
chesepara l'essere dall'ente, o più radicalmente ciò che fa dell'ente un ente determinato, e dichiara che essa sarebbe l'impensato della tradizione del pensiero metafisico che la ha sempre concepita in modo tale da ridurla a identità.
La dimensione etica risiede precisamente nella relazione fra soggetto e altro – in questo caso "altra" – che non può essere univoca proprio per via della necessità di riconoscimento dell'alterità.
Il discorso sulla differenza sessuale è "etica" nel senso in cui la intende Lévinas, quello di una relazione fra due termini dove i due non sono uniti né da una sintesi dell'intelletto né da una relazione soggetto-oggetto.
Lo stesso Lévinas non avrebbe però riconosciuto questo carattere non univoco della relazione erotica, avendolo visto dal lato maschile e avendo lasciato l'amata nella condizione di
oggetto piuttosto che diautentica «altra».X Etiche normative: etiche kantiane e dei diritti
Il costruttivismo dialogico
- Il costruttivismo dialogico è una corrente filosofica tedesca.
- Per costruttivismo in generale si intende ogni posizione che enfatizza il ruolo del soggetto nel costituire gli oggetti su cui verte la teoria.
- Il «principio metodico» del costruttivismo enuncia la svolta pragmatica per la quale ogni passaggio del procedimento teorico «si serve esclusivamente di quelle distinzioni che sono state introdotte come risultato di passaggi precedenti e il punto di partenza ultimo è costituito da situazioni elementari del mondo della vita che possono venire sottoposte a comune e immediato accertamento».
- Soggiacente a questo principio vi è però il principio dialogico che afferma che all'origine dello stesso sapere scientifico vi è l'azione dialogica in cui soggetti diversi apprendono e insegnano a
Un'etica perché il controllo della validità logica degli argomenti presuppone una comunità di soggetti capaci di comunicazione.
Da qui si può derivare la "norma fondamentale del riconoscimento reciproco dei partner della discussione" e quindi la "norma del riconoscimento di tutti gli esseri umani come persone" o Principio (U): tutti gli esseri capaci di comunicazione linguistica debbono essere riconosciuti come persone, poiché essi sono, in tutte le loro azioni e manifestazioni, partner virtuali della discussione e la giustificazione del pensiero non può rinunciare ad alcun partner della discussione né ad alcuno dei suoi virtuali contributi alla discussione.
Si fonda così un nuovo imperativo categorico che include due principi:
- l'assicurazione della sopravvivenza del genere umano come sopravvivenza della comunità reale della comunicazione;
- la realizzazione della comunità.
non altro, implicitamente, in qualunque atto linguistico: infatti, se non fossero avanzate, il parlante cadrebbe in quella che Apel chiama un'autocontraddizione pragmatica o performativa. Tale è