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LE COREOGRAFIE DI PINA BAUSCH
CAPITOLO 1
1973, a teatro Wuppertal, Pina Bausch viene chiamata alla direzione del corpo di ballo, vincendo
contro le resistenze del teatro stesso. nonostante le reazioni contrastanti riesce ad arrivare anche in
italia, debuttando nel 1982 a roma, grazie anche al famosissimo regista Fellini.
facciamo un passo indietro.
1968: in un clima rivoluzionario, Pina Bausch non era certo l’unica a voler sovvertire le regole del
balletto.
● Gerhard Bohner, prima di lei, aveva già iniziato a lavorare sulla ricerca formale, alla ricerca
dell’espressività corporea soprattutto negli assoli.
● Hans Kresnik che dedicandosi ad un filone estremamente politicizzato durò molto poco
le due donne del teatrodanza tedesco sono invece stilisticamente più vicine alla Bausch
● Reinhild Hoffmann
● Susanne Linke
queste due artiste sono complici con la Bausch nella ricerca di un’espressività tragica (sono eredi
della danza espressionista tedesca), uniti alla narrazione di dati biografici da una prospettiva
femminile forte.
eppure, il più grande nome del Tanzthater rimane quello di Pina, che con il suo repertorio originale ha
riscontrato il maggior consenso.
dopo il classico di Stravinskij “sacre du Printemps”, si concentra sull’individualità del singolo, da un
lato restituendo alla danza la sua democrazia, dall’altro percorrendo le filosofie dell’esistenzialismo
affinché riuscisse ad arrivare direttamente all’interiorità di ogni individuo.
esclude quasi del tutto la storia e l’attualità mettendo in scena conflitti esemplari, in cui concorrono
musica, movimento, canto e parola, cominciando a definire un forma-teatro che tiene conto delle
dinamiche cinematografiche, dell’espressività brechtiana, della rivista ecc.
“Blaubart”, 1977: quest’opera è il principio del metodo delle domande e delle risposte.
lei poneva delle domande affinché i performer, stimolati nell’inconscio, improvvisassero sul palco. così
facendo va delineandosi uno stile personale basato sull’elaborazione dell’esperienza del singolo
danzatore.
in realtà anche altri nomi terranno conto dell’esperienza del singolo come spazio di analisi:
● Bill T. Jones che include in scena i “fuori taglia” e i disabili
● Alain platea che predilige danzatori con particolari caratteristiche psico-emotive.
CAPITOLO 2
citando la coreografa: “non è un metodo fisso[…], non abbiamo solisti e corpo di ballo: ognuno è
essenziale”. il suo modo di lavorare ha sempre a che fare con l’esperienza di vita particolare, perciò
quello che fanno non è altro che interiorizzare quello che esiste già sul terreno.
questo è importante soprattutto nel ciclo degli spettacoli dedicati alle città perché è proprio nel
confronto-scontro con le città che si compie il processo creativo: dopo giorni di prove, decide che la
sua opera è pronta per il pubblico, per poi essere ripensata nella puntata seguente.
“Viktor” è la prima delle due opere romane
la coreografa sottoponeva domande o situazioni ai suoi danzatori e questi rispondevano
accompagnando le parole ai gesti improvvisati.
da Blaubart in poi le prove somigliano sempre più a sedute psicoterapeutiche in cui il corpo deve
lavorare su di sé.
con lo stesso principio, Jacob Levi Moreno riscontra l’importanza della rappresentazione scenica di
ciò che vive la persona, desidererebbe o ha vissuto; così facendo la persona raggiunge una nuova e
più alta coscienza di sé.
lo psicodramma è dunque una messa in azione del mondo interiore.
la bausch applica lo stesso principio, applicando ovviamente trasformazioni di natura stilistica a
racconti, emozioni, canzoni ecc, senza permettere al pubblico di risalire all’input che ha generato un
simile stato d’animo.
esempio: in “Palermo Palermo”, all’input “autodistruzione” molti hanno risposto con una forma di
autolesionismo; lei però ha corretto simili reazioni con il chiarimento che l’autodistruzione deve essere
la manifestazione in cui lo star male viene debuttato fuori).
stilisticamente gli spettacoli avvicinano la coreografa a
● la drammaturgia brechtiana
● l’incrocio delle teorie artaudiane, filtrate delle teorie dell’actor’s studio
● teatro d’esperienza
● la danza espressiva tedesca
● la psicanalisi cinematografica
● la pittura surrealista
in ogni caso, tutte queste influenze partono dall’esperienza autobiografica dei performer; talvolta,
come in “Walzer”, che con la tecnica dello straniamento, il danzatore svela i segreti del metodo,
spiegando e dimostrano il meccanismo. addirittura c’è chi parla della costruzione spettacolare della
bausch come le fughe di Bach.
l’obiettivo finale è riuscire a trasmettere questo affetto catartico anche al pubblico.
questo è il motivo per cui ci sono sentimenti contrastanti verso le sue opere: attrazione o repulsione,
ma nessuno rimane indifferente di fronte a questi lavori.
va così delineandosi la caratteristica del Tanztheater, quel pensare per immagini che procede per
astrazioni, traslati, allitterazioni; diversamente dagli altri coreografi che erano rimasti ancora troppo
legati al tema o alla consequenzialità.
nei drammi della Bausch c’è un continuo lottare tra dionisiaco e apollineo, tra amorino e dissonanza.
la sua doppia anima, quella espressiva e quella lirico-poetica, si mischiano insieme per creare, ma
spesso sfugge il senso di quanto avviene in scena, per questo molti parlano di “opera aperta”.
il suo coreografie è un testo che diventa luogo di una molteplicità di significati, nel tentativo di
coreografie l’anima.
eppure la sua ricerca è tutta dentro la danza:
1. perché tutta la sua ricerca è ricerca del movimento
2. perché tutto parte dalla danza e tutto torna alla danza
se inizialmente più pungente e critica, lentamente il suo stile si è ammorbidito: senza rinunciare mai
alla ricerca di un linguaggio universale.
CAPITOLO 3
i lavori della Bausch sono un movimento dell’interno (l’anima) verso l’esterno (il mondo).
“il viaggio è un processo che produce saggezza, che trasforma il viaggiatore”. da Goethe in poi il
viaggio è sempre stato un viaggio di formazione.
questo è l’assunto di riferimento per il progetto sulle città di Pina.
partendo dell’italia, culla del classicismo, si compie un viaggio da oriente verso occidente per
assimilare culture e costumi e pensieri da restituire, dopo il consueto processo di elaborazione e
trasfigurazione in spettacoli complessi.
il progetto sulle città si può definire tale solo a posteriori perché non nasce con un’idea precisa
precedente. nacque tutto dall’invito di varie città a soggiornarvi, per poi parlarne in scena.
la durata del soggiorno era di 3-4 settimane di solito, durante cui inizialmente si registravano dati:
esperienze, incontri, sensazioni ecc. dopodiché la coreografa filtrava e selezionava i materiali.
1: VACANZE ROMANE
Pina era già stata due volte a roma e una terza per recitare in un film felliniano.
questo ha fatto si che Maurizio Scaparro, diretto artistico del teatro di roma, le proponesse una
coproduzione dedicata alla città.
“Viktor”
così prende vita uno spettacolo che lascia sgomento e sconvolgimento nello spettatore, grazie
soprattutto alle possibilità espressive che roma ha lasciato a disposizione dell’artista.
Roma è matrigna, pervasa da un senso di morte inteso come la generale rassegnazione del mondo
alla propria distruzione.
vediamo in scena malcostume latino, mercificazione dei corpi e delle bellezze artistiche, un rituale
nuziale cupo e mortifero. eppure rifugge dal pessimismo per creare qualcosa di complesso e umano.
Viktor sembra lasciare il pubblico senza speranze, anche se alla fine la presentazione così cruda del
mondo non è altro he un esercizio di rafforzamento. lei racconta di una voluttà che deve essere
superata e sopportata.
le caratteristiche più frequenti si ripetono come una sorta di ossessione, che la condurrà verso la
riflessione sulla danza.
tutto questo va unito all’appunto polemico nei confronti della danza classica; in realtà la coreografa
pretendeva una solida preparazione classica, da usare come punto di partenza per il suo
sovvertimento.
Viktor ha proprio una sequenza che lo dimostra: una vecchia figura rugosa con un bastone da
insegnante di danza che conduce una estenuante classe di balletto fino alla morte - morte della
danza.
il meccanismo della contrapposizioni è una delle caratteristiche fondanti dei suoi spettacoli. Roma è
appunto la città dei forti contrasti.
dopo Viktor tornerà per un’altra opera:
“O Dido”
il suo primo incontro a roma è con la comunità rom, poi centri sociali, studenti universitari ecc.
li studia e impara da loro tanto che assimila un gran caos che verrà trasmesso anche sul palco.
inizialmente era stato accordato uno spettacolo sull’Eneide di Virgilio ma la coreografa aveva in
mente tutt’altro, a lei interessava la gente reale.
la roma di O Dido è una città acquatica, in cui l’acqua è utilizzata per dissetarsi, per giocare ecc.
contemporaneamente è anche una città di incontri, in cui la Bausch non si lascia più trasportare da
ciò che le pare nuovo ma gli aspetti politici e sociali della città.
ad ogni modo è un’opera più “soft” della prima: meno contraddittoria e caotica.
2: GELIDA SPAGNA
Tanzabend II non è mai stato preceduto da una prima serata, inizialmente intitolato Madrid
all’anteprima di Wuppertal. contro ogni aspettativa, restituisce un affresco stilizzato: un deserto
bianchissimo in cui entrano in scena altri oggetti. fortemente in contrasto è il campionario esibito degli
interpreti è molto contrastato: una donna si taglia le vesti, senoritas in costume da bagno come merce
di vendita.
il tutto accompagnato da musiche tradizionali della spagna.
tutto sommato l’opera è di umore tranquillo, specchio di uno stato d’animo interiore: si riscontrano
povertà, solitudine e breve felicità.
qui per la prima volta vengono utilizzate diapositive per la proiezione di grandi fiori coloratissimi.
Tanzabend II è uno spettacolo malinconico che evoca il frastuono della spagna per contrapposizione.
dall’autoanalisi delle prime coreografie si è passati a una più estesa terapia di gruppo.