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4.3: CORPI-OPERE CHE SI COMPORTANO COME PERSONE
innanzitutto il contesto su cui agiscono le figure della danza occidentale, si caratterizza in tre aspetti:
1. il perdurare del modello rinascimentale (teatri, biglietti, opere, autori etc)
2. quasi tutte le opere si muovono nella direzione di negazione di questo modello
3. una sorta di “avanguardia di ritorno”, cioè un riprendere la stratificazione storica, senza
negarla, ma senza limitarsi a ripeterla (una sorta di esplorazione di territori più o meno nuovi).
in un simile panorama così vario, si può fare chiarezza solo cambiamento approccio. ancora
cerchiamo di identificare la danza moderna come opera d’arte e di autore.
l’idea di spettacolo e la struttura della rappresentazione, nata in italia rinascimentale, non ha mai
smesso di esistere come “cornice”. il problema non è la convivenza di queste due correnti ma il
superamento della visione romantica e questo modello estetico.
innanzitutto bisogna porsi alla danza come una pratica che ci accade: non si “fa danza” ma si
partecipa. la danza è una arte quando produce opere che si configurano come una sorta di messa in
forma, in concreto, dell’esperienza. (ricordiamo che però sono necessarie la nomerai e le iscrizioni).
un oggetto sociale è un atto che viene registrato su un supporto (persino anche solo nella mente delle
persone).
un coreografo iscrive sul corpo dell’interprete la sua azione artistica perché questa sia sociale e
condivisibile. l’opera d’arte si risolve nel momento in cui dall’impressione mentale, va all’espressione
sociale. in questa fase le opere d’arte possono finalmente essere collocate nella storia, dove gusto,
circostanze e condizioni culturali, ne determinano le caratteristiche.
Ferraris dice che un’opera è bella dal momento in cui questa genera emozioni. una specie di oggetto
che finge di essere una persona e suscita in noi dei sentimenti autentici.
nel caso specifico della danza, l’oggetto è una persona (che sicuramente non finge di esserlo, come
può invece accadere a un quadro che “sembra rivolgersi”) ma questa persona non si annullerà mai
nell’opera per via di un complesso intreccio di condizioni fisiche, psicologiche e socio-culturali.
nel rapporto con il fruitore questa condizione di interferenza di un corpo-opera, che a differenza del
quadro prova a sua volta dei sentimenti, è la base dell’arte della danza.
una questione altrettanto importante che ne deriva è quella dello stile: l’individualità non imitabile,
come una peculiare qualità del movimento.
parliamo della distinzione tra danza e coreografia:
● coreografia: una messa in scena della danza, una sorta di condizione concreta perché questa
sia visibile; è un processo di scrittura in cui il principale supporto è il corpo, ma ancor prima
una disposizione di oggetti nel tempo e nello spazio.
quando sulla scena i corpi vengono parzialmente spersonalizzati (parzialmente per via di quello che
dicevamo prima) quello che emerge è il processo che coinvolge le scena, le luci, lo spazio, il tempo e
anche i corpi degli spettatori in alcuni casi.
dagli anni ’90 Foster, Franko, Noë etc affrontano la coreografia come una teoria del senso, a partire
dalla capacità del corpo di generare idee.
Mårten Spångberg, coreografo e critico, sostiene che la coreografia sia una strutturazione: di solito le
strutture necessitano di una sorta di espressione per essere attualizzate nel mondo e una soluzione
può essere la danza (così come un algoritmo, un spartito etc).
la coreografia non c’entra con il movimento; piuttosto è quando qualcosa forma una relazione con una
struttura coreografica che fa nascere poi il movimento.
4.4: DANZA, NON-DANZA O POST DANZA?
la danza del presente è un linguaggio elitario e spesso si dimentica di avere un’inevitabile ricaduta
sociale. se pensiamo agli anni ’60/’70 tutte le barriere sono state infrante. si formarono inizialmente
dentro la comunità del village newyorkese on una generica messa in discussione di tutto nelle più
varie forme discorsi, produzioni critiche etc contribuendo a creare fruitori consapevoli.
esempio 1:
“Trio A” di Yvonee Rainer, diventa un manifesto della post-modern dance, espressione dei principi
riduzionistici e decostruzionisti del gruppo di artisti. la teoria di questo progetto viene descritta
dall’autrice stessa: sostituisce i caratteri della danza classica e moderna con una distribuzione
univerfome dell’energia, ripetizione, esecuzione neutrale etc.
diventa un modulo che l’autrice disseminerà in tutta la sua carriera: lei non propone solo un nuovo
stile di danza, ma mostra un nuovo significato di questa.
la stessa questione viene affrontata anche dalla generazione rivoluzionaria degli anni ’90 che si
impegna a produrre parole e sguardi critici, cercando di dare un nome ai moti rivoluzionari che aveva
avviato la generazione precedente.
la rivista francese di arti viventi “mouvemente” di Jean-Marc Adolphe si pone tra vecchio e nuovo
millennio
in italia, Xing si occupa di qualcosa di simile: un network culturale fondato a Bologna da silvia fanti
che organizza festival ed eventi interdisciplinari.
i lavori di questa generazione hanno fatto sì che negli ultimi anni si potesse discutere se si tratti di
danza, non-danza o post-danza. questa diatriba si spegne dal momento in cui si realizza che la danza
concettuale non rispecchia nessun movimento culturale specifica ma mette in evidenza il problema
del voler chiamare “coreografie” quelle performance che mettono in discussione la danza stessa.
nella concezione di coreografia si passa dalla visione modernista di organizzazione di corpi in
movimento, a un’idea secondo cui, a volte, movimento e corpi sono assenti
esempio 2:
“Shirtologie” di Jerome Bel dimostra come voglia ridurre completamente il movimento. mette in scena
un “anti-danzatore” che dapprima toglie e in seguito indossa delle magliette.
esempio3:
“Le sacre du printemps” di Xavier Le Roy è un lavoro in cui il coreografo dirige la partiture di
stravisnkij nell’estcuzione discografica della filarmonica di berlino. lui stesso si produce in una
performance di non-danza che nasce da un processo di osservazione e studio dei movimenti
coreografici.
esempio 4:
“190 cm ca” di Michele di stefano e Margherita Morgantin in cui 9 spettatori per ogni esecuzione
vengono guidati in un percorso rituale da tre maschere/servitori orientali. raggiunto il piano superiore
di Ca’ Giustinian, il pubblico viene invitato a sedersi dove li aspettano dei cannocchiali panoramici
rivolti verso la vista di venezia. questi saranno gli strumenti da usare per poter vedere le due azioni
predisposte:
● Morgantin con un’asta di circa 190 cm (appunto) ispirato al mondo novo di Tiepolo, coinvolge
in formazioni estemporanee gli ignari turisti
● Di stefano, vestito come un beduino nordafricano, di fronte a una chiesa, rimanda gli sguardi
lanciati dallo spettatore
ciò che permette quest’opera è il realizzarsi dell’utopia musicale di John Cage sotto forma di danza.
se 4’33’’ inquadrava un momento del flusso sonoro, affidando agli ascoltatori il ruolo di compositori
del materiale musicale; lo spettatore questa volta capisce che tutto ciò che sta vedendo è la
coreografia prodotta dal suo stesso sguardo (è lui che sceglie dove guardare e quando: spazio e
tempo).
la danza caratterizzata dall’indeterminatezza è legata al rapporto con l’arte visuale contemporanea. in
questo contesto si è consapevoli del legame che il libero mercato e il capitalismo esercitano ma
comunque molti si schierano come antagonisti.
esempio5:
Tino Sehgal , un coreografo, stipula contratti unicamente verbali perché le tracce scritte potrebbero
reificare la sua arte.
Virgilio Siena, con la sua coreografia di comunità, propone nuove economie del corpo.
la definizione aperta di coreografia è generata da un’urgenza di emancipazione. gli esponenti della
“Judson” ritenevano che ogni movimento, ogni corpo era da considerarsi danza, anche se in realtà il
loro pensiero a dovuto lottare con i denti per sopravvivere poiché screditato da molti.
distinguere coreografia e danza contemporanea significa essere consapevoli che quest’ultima porta
sempre il rischio di un ritorno a una concezione essenzialista (danza= movimento esteriore). molti
coreografi hanno per questo tentato di allargare il concetto di coreografia, inventando nuove soluzioni
per modificare radicalmente le condizioni materiali della produzione teatrale (chiaramente in scontro
con le istituzioni e la politica).
la generazione anni ’90-2000 ha in comune il concetto di coreografia, che, nei casi più drastici, ha una
totale omissione del movimento e della corporeità.
l’antico concetto di “danza pura”, qui viene completamente contraddetto da un’organizzazione della
scena come disposizione di oggetti dei più disparati universi mediali, performativi e culturali.
ciò che viene anche messo in discussione è la pretesa di tenere unite una serie di prestazioni
all’interno della performance dal vivo, come vuole la tradizione del teatro, nonostante questa si
costruisca in tre struttura autonome.
4.5: I PAESAGGI DELLA DANZA
queste tre strutture autonome, dagli anni ’90 vengono chiamati “paesaggi” estetici.
● “primo paesaggio” o paesaggio mussale, una sorta di zona della conservazione e controllo
dalle istituzioni
● “secondo paesaggio”, o terra di mezzo, una sorta di camera di decompressione
● “terzo paesaggio”
Clément analizza la contemporaneità riferendosi, a livello geografico, a quelle zone del pianeta che
sfuggono al nostro controllo, tutti quei luoghi abbandonati dall’uomo che diventano il rifugio per la
diversità. questo si chiama “terzo paesaggio”, in cui specie che non trovano spazio altrove si
riuniscono qui.
4.5.1: PAESAGGIO MUSEALE
qui troviamo il tradizionale balletto classico-accademico con il suo repertorio e le rispettive
riprese/repliche/ri-messe-in-azione.
quando si parla di repertorio ci si riferisce al deposito memoriale di opere accumulatesi fra la seconda
metà del ‘600 e tutto l’800 (tra le più celebri “il lago dei cigni” di Marius Petipa e Ivanov; “mal gardée”
di Jean Dauberval).
quando parliamo di riprese ci riferiamo a lavori riproposti e nati come esito estetico di una tecnica di
movimento (come il caso di Marta Graham in cui i balletti erano una ripresa della contrazione
muscolare pelvica e il rilascio