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INTERAZIONE E PROCESSUALITÀ
Le proprietà che accomunano i diversi fenomeni collettivi sono l’interazione trai soggetti coinvolti e la processualità e/o mutabilità di ogni azione collettiva.
Se il referente collettivo oggetto dell’indagine è un fenomeno di piccole dimensioni, quali la folla o una piccola organizzazione, l’osservazione delle interazioni tra i suoi membri è un efficace strumento di analisi e di comprensione dell’evento.
L’interazione è centrale nella teoria del collective behavior di Park, ma anche all’interno della scuola di Chicago, pur ammettendo progressivamente una maggiore intenzionalità individuale nelle forme del collective behabior, e distinguendo, in misura maggiore, i vari referenti empirici all’interno delle loro spiegazioni, ponevano l’interazione come meccanismo centrale al prodursi di agire collettivo, dando però rilevanza anche ad un secondo elemento:
L'unità di senso dell'azione. Si dice che Park osservasse gli eventi sociali in modo distaccato e cinico. Egli andava in giro a osservare le folle, ed era pronto a notare sempre qualcosa di umanamente interessante in quello che accadeva quotidianamente nelle strade nei luoghi di riunione. L'azione collettiva è stata individuata come processo sociale sin dalle prime teorizzazioni di Park.
Osservazione e misurazione. Da quanto detto risulta evidente la possibilità di un'osservazione diretta di quei fenomeni, eventi e oggetti collettivi che ricadono sotto l'espressione-contenitore azione collettiva. L'unità di analisi non era identificata nel movimento sociale, ma nelle aree di movimento, indicate da:
- L'esistenza di aggregazioni più o meno stabili nel tempo e nello spazio di un gruppo identificabile di membri.
- La presenza di un'autoidentificazione nel gruppo-movimento.
- L'esistenza di una rete di relazioni tra i gruppi.
Lo studio dell'agire collettivo rimane un work in progress. Offrire ipotesi di lavoro fondate su approfondite conoscenze sul campo per la disamina e la rilevazione empirica di tale oggetto di studio che si presenta sfaccettato dal punto di vista fenomenico. L'azione collettiva rimane un tema ricco di contraddizioni, ma al quale il sociologo non può rinunciare, perché fondamentale nello studio della società.
La sociologia è la scienza dell'azione collettiva, che vede come centrale tale processo basato sulle interazioni sociali tra individui che costruiscono le strutture/istituzioni e in ultima istanza, la società. Tale approccio pone come centrali nello studio dell'azione collettiva, nelle sue più varie accezioni, le nozioni di processo e di interazione sociale. È infatti importante rilevare che dire azione collettiva senza fornire un tale tipo di azione una collocazione.
spaziale e temporale è improduttivo dal punto di vista del significato e della ricerca empirica.
Azione collettiva è un termine fortemente polisemico che richiama molteplici contesti interattivi, situabili tra le teorie classiche del collective behaviour e imputabile per tanto a fenomeni spontanei e transitori quali le folle, le rivolte ecc. o individuabili in ambiti molto diversi, tendenzialmente istituzionali, come le organizzazioni.
Esigenza di una classificazione di azione collettiva dettata dal rifiuto di considerare l’espressione linguistica in oggetto, la quale denota come rilevato forme di azione differenti, una sorta di contenitore unico, e si è posta come obiettivo quello di distinguere i vari fenomeni collettivi, definirli nelle loro caratteristiche ed organizzarne lo studio per settori
Se volessimo esaminare attraverso una griglia unica le varie forme di agire collettivo, le specificazioni da rilevare sarebbero:
- La presenza o meno di interazione fisica; le dimensioni (grandi o piccole) del fenomeno; la presenza o l'assenza di concertazione nell'azione; la spontaneità o non spontaneità dei soggetti partecipanti; l'esistenza o meno di una struttura organizzata dell'azione; adesione o no da parte dei soggetti coinvolti, ad una identità collettiva; la presenza o no di elementi conflittuali. Tali elementi distintivi rappresenterebbero la base per la costruzione di un modello idealtipico di agire collettivo a cui comparare la realtà empirica. Quando parliamo di collective behavior (folle, organizzazioni o movimenti sociali) non ci riferiamo, e comunque non direttamente, ad eventi storici (es. rivoluzione francese), eventi storico-culturale (illuminismo) ovvero solo culturali (barocco), che sono composti, per loro stessa natura, da diverse unità o parti, denotate da uno stesso termine collettivo. Per affermare, dunque, che i referenti empirici ultimi di tali oggetti sono gli individui e le loro interazioni.
Bisognerà avviare un doppio processo di discomposizione. L'azione collettiva è direttamente composta da individui, tali individui occuperanno, nel loro modo di strutturarsi, diversi ruoli o posizioni che costituiscono la forma dell'azione collettiva.
Tale ultimo assunto contiene in sé gli elementi per il superamento dei dibattiti introducendo l'elemento meso nello studio dell'azione collettiva. Se il livello macro riguarda infatti enormi estensioni di spazio e grandi masse di persone, il livello micro si occupa di piccoli segmenti di spazio e di tempo e di piccole quantità di persone (interazioni ed individui). Il livello meso, pur non rinnegando gli aspetti macro e contestuali entro i quali le azioni collettive si collocano, ne trascurano la centralità degli individui in interazione tra loro, fornisce autonomia empirica all'espressione azione collettiva concentrandosi proprio sulla dimensione focale: il gruppo spontaneo o
organizzato, estemporaneo o temporalmente persistente, composto da individui con appartenenze eterogenee o basato su condivisioni identitarie comuni e condivise. La realtà fenomenica è al tempo stesso azione e struttura e l'individuale e il collettivo rappresentano due modi di concettualizzare lo stesso oggetto di indagine. Il superamento dei dualismi, all'interno di un processo dove la realtà sociale è costruita dal ricercatore secondo i fini dell'indagine, è pertanto naturale ed indotto dalle stesse prospettive d'indagine e dalla loro rigorosità metodologica. Tale posizione potrebbe mettere fine ai dibattiti e porre al centro le questioni metodologiche relative all'appropriatezza dei metodi e tecniche con riferimento alla tipicità dell'oggetto e del problema della ricerca.Aspetti sociologici della moda
Occasione di distinzione (inclusione o esclusione da un gruppo) e influenza come costume socioculturale che caratterizza le popolazioni e unità sociali. La teoria dell'imitazione di Tarde punta l'attenzione sull'aspetto imitativo (società = un insieme di individui che si imitano reciprocamente). Egli sviluppa il suo pensiero attraverso 3 concetti: imitazione, invenzione e opposizione. Questi ultimi due concetti si diffondono nei sistemi sociali attraverso l'imitazione. Essi, inoltre, creano un rapporto di interdipendenza.
Se per Tarde la moda è legata al mutamento, per Veblen rappresenta un fattore di controllo sociale. Veblen - la sua teoria è definita "teoria della classe agiata". Con essa vuole dimostrare come la moda sia un fenomeno totalmente culturale e condizionato dalle dinamiche attive nel sistema sociale. Essa è il risultato del fatto che, al vertice della società, c'è una classe superiore che tenta
costantemente didifferenziarsi dalle classi inferiori, manifestando la diversità della propria condizione sociale attraverso il "consumo vistoso" (ostentando la ricchezza, acquistando nuovi abiti e beni di consumo, dunque il lusso). Di conseguenza le classi inferiori tentano di imitare le scelte di consumo compiute dalla classe agiata. Per Veblen la moda ha un funzione prevalentemente ostentativa ed imostrativa. Simmel fornisce una spiegazione secondo la quale la moda serve a compattare una data classe e a separarla dalle altre. La moda da un lato produce coesione attraverso l'imitazione di quanti si trovano nello stesso livello sociale, dall'altro produce esclusione e la differenziazione di un gruppo nei confronti di altri. All'interno delle cerchie quindi troviamo il meccanismo dell'imitazione, al fine di raggiungere una similarità con i componenti, e una differenziazione con i non-componenti. La moda è da lui interpretata anche comeMezzo di ribellione sociale (chi si comporta e si veste consapevolmente fuori moda). Blumer ha una visione differente rispetto ai classici. Egli applica la teoria dell'interazione sociale, cioè l'analisi dell'aspetto simbolico e dinamico delle relazioni tra i membri di una società, all'abbigliamento e alla moda. La moda, per lui, ha una doppia funzione di socializzazione: a livello collettivo e a livello individuale. Egli formula la teoria della "selezione collettiva della moda", secondo la quale la moda è il frutto di un processo continuo e intenso di selezione collettiva che non è compito esclusivo di un'élite, né è mossa solo dalla ricerca di status e di prestigio. La moda non nasce nell'élite, ma nel processo creativo in cui gli ideatori (stilisti) si incontrano con i buyer (intermediari ed interpreti del gusto collettivo), al fine di mediare il polo della produzione con le esigenze e i desideri dei consumatori.