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D
di biscotti. In la deterrenza è minima, il soggetto è spinto da impulsi, emozioni e via
discorrendo, è il caso dell’omicidio. In questo caso l’atto è altamente espressivo,
B
caratterizzato da un basso coinvolgimento nell’attività criminale come stile di vita. La
criminale professionale,
configura la situazione del la sua condotta deviante costituisce uno
stile di vita. La deterrenza non funziona perché il criminale professionale mette in conto il
C
rischio di incorrere nella sanzione. In ci troviamo un una situazione simile alla A ma qui il
destinatario del messaggio normativo sicuramente non è un soggetto calcolatore. È la
situazione dello “sprovveduto” che viola la norma senza pensarci troppo, agendo più o
meno d’istinto. L’efficacia deterrente della pena è scarsa.
In conclusione, la paura della pena sembra colpire soprattutto i destinatari "sbagliati". È
necessario chiarire che parlare di deterrenza delle sanzioni può riferirsi sia all'intensità della
pena che alla probabilità della sua applicazione, ovvero al rischio di essere arrestati,
processati e condannati. Questa distinzione fondamentale è spesso trascurata perché c'è una
convinzione radicata che le sanzioni abbiano intrinsecamente un effetto preventivo sul
crimine, diffusa non solo tra la gente comune, ma anche tra giuristi e politici.
C'è anche un'altra ideologia, di origine più remota, che sostiene che la pena, in particolare la
rieducare
privazione della libertà, ha la funzione di il colpevole. Tuttavia, decenni di ricerca
empirica hanno dimostrato che questa idea è indifendibile, specialmente per quanto
riguarda la pena detentiva. Il carcere, anziché preparare il detenuto al ritorno nella società,
spesso favorisce nuovi apprendimenti criminali, creando una "società dei prigionieri"
separata dalla società libera. Filosoficamente, l'idea della funzione riabilitativa della pena è
insostenibile perché confonde diritto e morale, trattando il reo come un peccatore da
rieducare forzatamente.
Nonostante ciò, i legislatori tendono a preferire questa ideologia per varie ragioni, dalla
strategia politica alla pura ignoranza della realtà carceraria, e alla diffusa convinzione che
ciò che "dovrebbe esistere" esista davvero. Di conseguenza, nella cultura giuridica
occidentale, la pena detentiva non sembra garantire né la prevenzione del crimine né la
reintegrazione del criminale nella società. È quindi necessario esplorare altri approcci che
mirino esplicitamente a reintegrare il reo nel suo contesto sociale.
8. Giudici, medici o stregoni: altre risposte all’offesa 54
alternativa",
Fino a tempi recenti, nel mondo occidentale, l'idea di una "giustizia che non si
basi necessariamente sulla privazione della libertà, non è mai stata al centro delle discussioni
tra esperti di criminalità. Solo la buona letteratura, talvolta in modo scherzoso e
provocatorio, ha suggerito risposte diverse alla visione "carcero-centrica" dell'esecuzione
penale. Ad esempio, G.K. Chesterton, noto per il personaggio di Padre Brown, in uno dei
suoi racconti descrive una scena grottesca in cui un giudice impazzisce e propone soluzioni
bizzarre come "una vacanza di tre mesi al mare" invece del carcere per un uomo che aveva
tentato di commettere un crimine passionale. Parlava spesso più come un prete o come un
medico. Il colmo venne raggiunto quando disse al Primo Ministro: “Si procuri una nuova
Si procuri una nuova anima”.
anima. Quella roba lì non va bene nemmeno per un cane.
Questo racconto, sebbene satirico, mette in luce un punto importante: esistono culture
giuridiche che, nel rapportarsi al crimine, danno spazio a figure come lo stregone, il medico
e alla spiritualità in generale. Le pagine che seguono esploreranno queste culture giuridiche
alternative, non in chiave satirica, ma per dimostrare come sia possibile una giustizia che
guardi anche all'anima del colpevole.
8.1. Fare la pace tra i Navajo
Per i Navajo, una popolazione di nativi americani che vive nell'Arizona settentrionale e in
parte nei territori dello Utah e del Nuovo Messico, la risposta al crimine è guidata dall'idea
lo scopo del giudizio sia fare la pace.
che Come scrive il giudice Navajo R. Jazzie, "la nostra
peace-making
politica giudiziaria orientata al è sempre presente: lo è prima che venga
sporta un'accusa, dopo che è stata mossa e, ancora, dopo la sentenza." La centralità del
peace-making e la priorità assegnata alla riparazione delle relazioni sociali riflettono un
modo molto particolare di guardare all'offensore, visto come qualcuno che non presta
attenzione ai buoni rapporti e agisce come se non avesse parenti.
Quando qualcuno commette un'offesa, i parenti hanno una responsabilità poiché è una
vergogna che si comporti così verso gli altri. La comunità si riunisce e viene nominato un
peace-maker. Questo dà avvio a una procedura in cui tutti i partecipanti, inclusi parenti,
amici e vicini, esprimono ciò che stanno vivendo. Dopo una preghiera condotta da un
anziano, i partecipanti raccontano cosa è successo e come lo vivono. Il peace-maker, sulla
precedenti rispettati da tutti,
base di quanto ascoltato, applica la legge, che consiste in e si
raggiunge un accordo su cosa fare.
L'offensore, la vittima e l'ufficiale di probation affrontano il problema della riparazione, che
spesso è simbolica. Il processo di peacemaking obbliga gli offensori a riflettere su sé stessi e
pace, negoziazione
sulle conseguenze delle loro azioni. In conclusione, termini chiave come
e riparazione delle relazioni sociali sono centrali nel sistema di giustizia Navajo.
8.2. Gli Haudenosaunee: ovvero la centralità dei valori
Irochesi
Gli Irochesi, conosciuti anche come Haudenosaunee, vivono tra gli Stati Uniti e il Canada e
l'onore, la
mantengono un basso tasso di crimini grazie alla loro cultura che valorizza
fiducia e la generosità. Nella loro visione del mondo, tutto è interconnesso, e ogni oggetto,
materiale o immateriale, ha uno spirito vitale. 55
Gli Irochesi si muovono su tre livelli di esperienza:
Esperienza personale:
1. Basata sulle proprie libere scelte.
Esperienza dell'altro:
2. Come espressione della volontà altrui.
Volontà del Creatore:
3. Ogni evento ha uno scopo preciso voluto dal Creatore.
“Quando il creatore vuole che una determinata esperienza si verifichi nella vita di una
persona al fine di promuovere la crescita o il benessere, quella persona diventa responsabile
per come risponde all’evento, anche se essa viene assistita dalla sua Guida Spirituale che è
con lui tutto il tempo”. Il piano divino è sempre finalizzato alla crescita e allo sviluppo
Il singolo è responsabile delle proprie azioni,
individuale. perché può scegliere. Tutte le
cose devono essere trattate con rispetto. I desideri personali non costituiscono l’obiettivo
principale, ma le responsabilità e gli obblighi nei confronti degli altri. Quando questi
vengono meno, poiché ha usato la sua libertà in modo disdicevole, è suo dovere ristabilire
l’equilibrio offeso. Di regola, ciò avviene attraverso un sacrificio nella forma di preghiera,
del digiuno o meditazione.
Principi della Grande Legge
La società irochese è regolata dalla Grande Legge della Pace, introdotta dal Peace-maker su
mandato del cratore, che si basa su tre principi fondamentali:
Giustizia
1. Salute (benessere del corpo e dell'anima)
2. Potere (autorità della legge e delle consuetudini, con l’ausilio della forza)
3.
Questi principi, insieme ai valori di onore, fiducia e generosità, garantiscono una vita sociale
ordinata. Gli Irochesi praticano tre strategie di risposta ai comportamenti antisociali:
Riparazione:
1. Coinvolge entrambe le parti, offensore e vittima, nella negoziazione e
riparazione del danno.
Ostracismo:
2. Riservato ai capi o ai casi estremi, porta all'esclusione del colpevole
dalla comunità.
Pena di morte:
3. Applicata in rari casi estremi, come l'omicidio volontario.
Nonostante la presenza della pena di morte, gli Irochesi non vedono la morte come un
evento negativo, poiché credono che l'individuo ritorni nel mondo degli spiriti dove gli
antenati lo accolgono.
Confronto tra Navajo e Irochesi
Entrambi i popoli condividono l'importanza della pace, della negoziazione e della
riparazione delle relazioni sociali. L'offesa è vista come un disordine che deve essere risolto
attraverso un processo che coinvolge tutta la comunità. La riparazione è preferita alla
punizione, con l'obiettivo di reintegrare l'offensore nella società una volta che ha riparato il
danno causato.
9. Conclusioni: che cosa abbiamo appreso dallo studio di altri sistemi giuridici 56
Ricapitoliamo i due "universi" esplorati: quello dei "cattivi" (i Cursoti e la comunità
barbaricina) e quello dei "buoni" (i Navajo e gli Irochesi). Partiamo dai primi. Un punto
cruciale da considerare per quanto riguarda Nino Saia e la sua organizzazione, così come i
pastori, è il ruolo centrale della loro cultura, in particolare dei loro sistemi giuridici,
nell'orientare le loro azioni. Questo dato ha un valore conoscitivo importante perché ci aiuta
a comprendere le loro condotte e, dal punto di vista delle politiche di contrasto, indica un
la cultura.
preciso campo di azione:
I sistemi normativi dei Cursoti e della comunità barbaricina, come le offese e i meccanismi
sanzionatori relativi, coincidono ampiamente con le rappresentazioni e le pratiche di
giustizia dei contadini e pescatori siciliani studiati da Danilo Dolci. Fiducia e onore sono al
centro di entrambi gli universi, così come le procedure per la loro tutela. Un contadino
spiega a Dolci che le offese più gravi e le punizioni conseguenti riguardano l'onore, il sangue
e la tragedia.
Affrontiamo ora l'universo dei "buoni". Semplificando, le società possono rispondere alla
violazione di una regola attraverso la pena o la riparazione, facendo riferimento
rispettivamente al reato e all'offesa. La nozione di reato si focalizza sulla colpa del singolo,
mentre l'offesa riguarda le conseguenze dell'azione. La pena è una questione tra Stato e
riparazione
individuo, mentre la coinvolge tutta la comunità, puntando alla "guarigione"
delle relazioni sociali e al reintegro dell'o