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DELL’ANALISTA A QUANTO L’ANALIZZANDO HA VIOLENTEMENTE PROIETTATO IN
LUI. Questa risposta è dovuta al fatto che l’analizzando stimola inconsciamente, attraverso
l’identificazione proiettiva, l’identificazione dell’analista con un qualche aspetto di un oggetto
interno proprio e di certe parti del sé, inducendogli in questa maniera emozioni e comportamenti
particolari.
È necessario che il terapeuta sia in grado di entrare e uscire dall’identificazione proiettiva,
dimostrandosi recettivo nei confronti delle proiezioni del paziente, ma mantenendo al contempo una
distanza psicologica sufficiente per un’adeguata elaborazione dei contenuti ricevuti e per una
corretta lettura del processo terapeutico.
I lavori sul controtransfert di Heimann e Racker contribuiscono in maniera importante a dare una
specifica sottolineatura alle funzioni comunicative dell’identificazione proiettiva e della sua
elaborazione, favorendo peraltro la successiva teorizzazione bioniana della relazione contenitore-
contenuto.
SCHEDA 5.6 – Controtransfert
Il controtransfert non può essere pensato come uno strumento tecnico da utilizzare in modo agevole
e automatico, per diverse ragioni:
il controtransfert è per definizione inconscio e l’idea che sia possibile monitorarlo per
tenerlo sotto controllo appare illusoria;
è difficile distinguere il controtransfert “normale” da quello “patologico”;
l’analista deve compiere un profondo e impegnativo lavoro di elaborazione interiore prima
di poter utilizzare il controtransfert come un’utile risorsa;
il controtransfert, qualunque sia l’uso conoscitivo che l’analista ne fa, interferisce con il
processo analitico in quanto il paziente lo percepisce e ne è influenzato.
La concezione attuale di controtransfert è che oggi rappresenta sia un ostacolo che una risorsa e che
costituisce un’entità complessa che contiene le risposte dell’analista fuse e mescolate con gli aspetti
proiettati dal mondo interno del paziente.
Come suggerisce Civitarese, la questione fondamentale per una teorizzazione più contemporanea
del costrutto di controtransfert è il passaggio da un costrutto di transfert che fa riferimento ad una
teoria del soggetto isolato (teoria dell’intrapsichico) ad un’altra che pensa il soggetto come
costantemente in relazione dialettica con l’altro (teoria dell’interpsichico).
L’unica cosa che si può fare con il controtransfert è analizzarlo. Si tratta di sentimenti inconsci che
si hanno verso il paziente e, finché si tratta di inconscio, non si può fare nulla a riguardo.
La concettualizzazione di INTERPRETAZIONE DEBOLE o INSATURA, sottolinea la natura
radicalmente dialogica e intersoggettiva del lavoro interpretativo, questione che a sua volta apre a
notevoli sviluppi nella tecnica degli interventi dell’analista e al concetto di co-interpretazione
narrativa.
Da un lato, la MODALITA’ DELLA FORMULAZIONE INTEPRETATIVA, ovvero i suoi modi, il
grado di saturazione devono derivare da una sempre più affinata capacità di cogliere le risposte, le
coloriture emotive che l’analizzando fa entrare in campo dopo gli interventi dell’analista; dall’altro
l’ASCOLTO DELL’ASCOLTO non deve funzionare solo da stimolo per riflettere su come ha
funzionato l’analizzando dopo l’interpretazione, ma su come funziona l’analista in quella specifica
condizione, con lo scopo di favorire il numero maggiore di trasformazioni possibili nel campo
analitico.
Questa osservazione di Bion sul controtransfert si lega inevitabilmente ad un’altra posizione
bioniana che enfatizza il lavoro analitico come “analisi del qui e ora”.
5.4 – L’amalgama transfert-controtransfert e la funzione conoscitiva del campo
analitico
Come già visto, il transfert viene inteso come lo schema inconscio attraverso il quale il soggetto
elabora e risponde agli stimoli della realtà interna ed esterna e costituito da una dimensione
percettivo-cognitivo-affettiva. Gli schemi inconsci sono attivati non trasferiti.
Coerentemente con l’idea di un soggetto immerso nella corporeità e in una matrice intersoggettiva –
dunque in una dimensione pre-conscia, pre-riflessiva se non addirittura pre-personale – Ogden
pensa il transfert semplicemente come al prodotto di modalità di funzionamento di base,
dialetticamente correlate, attraverso le quali l’Io attribuisce un significato soggettivo alla realtà.
In analisi, quindi, è necessario mantenere questa articolazione tra realtà e fantasma e tra conscio e
inconscio. Alcuni modelli psicoanalitici attuali non lo fanno abbastanza poiché enfatizzano la realtà
materiale in due modi opposti: o tendono a trascurare il discorso dell’inconscio, come in certe forme
di interpersonalismo, oppure, restano invischiate in una concezione non rigorosa del fantasma e
della comunicazione tra inconsci, e pretendono allora ingenuamente di ricostruire la storia
“effettiva” del paziente. È come se la realtà intervenisse ogni volta come un incendio a sospendere
l’analisi. Si dimentica che la psicoanalisi si basa sul paradigma del sogno come via per pervenire
all’inconscio. Il modello del campo bi-personale è la visione che nel lavoro clinico si dimostra più
trasformativa e ci permette di espandere al massimo il paradigma onirico, già centrale in Freud.
Freud sottolineava l’aspetto traduttivo del sogno, da inconscio a conscio, ma oggi è più importante
raggiungere un UNISONO EMOTIVO come afferma Bion. Questo, come aiuta il bambino che
ancora non ha una capacità riflessiva, in una sorta di ancoraggio alla mente della madre, così
consente al paziente di dare un ordine alla sua esperienza di vita.
Tenere sullo sfondo la visione del soggetto isolato non penalizza una visione più corretta della
biografia o della realtà. Più il terapeuta capisce come interagire con il paziente e viceversa, più si ha
a disposizione un modello affidabile di come lui strutturi e abbia strutturato le sue relazioni al di
fuori dell’analisi.
Un altro aspetto importante riguarda il criterio in base al quale attribuiamo alcune cose al passato
del paziente o all’esterno e quali le riferiamo invece al transfert e all’analisi.
Se, per esempio, il paziente ha subito un abuso a sei anni, di questo aspetto della sua storia l’analista
può avere una comprensione razionale oppure entrare in una identificazione conscia, può
costantemente fare appello ai propri ricordi e a qualche cosa che può avere sofferto; è più difficile
invece pensare al “personaggio”- abuso non solo come a un personaggio del passato del paziente
ma anche come a un modo in cui il paziente e la coppia, inconsciamente, presentificano qualcosa
che sta avvenendo lì, tra loro, un aspetto “abusante” dell’uno o dell’altro, o anche della coppia in sé.
Occorre precisare che se da un latto bisognerebbe vedere tutta la seduta come un sogno, ciò non va
fatto in modo meccanico, come se uno monitorasse in modo troppo vigile il significato della
conversazione vista dall’ottica del pensiero onirico della veglia. È necessario invece, oscillare tra
immersione e interazione, lasciarsi perdere nel racconto anche storico o della realtà materiale per
farsi sorprendere poi da una visione diversa.
Ma come far convivere in analisi piani così diversi come realtà esterna e interna, storica, campo,
protoemozioni…non c’è un criterio se non la decisone più o meno arbitraria dell’analista, che si
basa su un modello provvisorio, convenzionale e rivedibile.
Il campo d’azione dell’analista è la realtà psichica. Non si hanno strumenti per cambiare il passato o
la realtà materiale del paziente esterna all’analisi. Quel che si può cambiare è la sua comprensione
di questa realtà.
Ad esempio, nella TCA, la trasformazione in sogno è un dispositivo tecnico conscio dell’analista
per ritrovare un setting interno che permetta di vedere la seduta come un sogno, di sintonizzarsi con
la comunicazione inconscia e quindi di focalizzare la realtà psichica.
Mentre la psicoanalisi postkleiniana colloca la funzione traformativa della dimensione emozionale
che emerge tra analista e analizzando nella dimensione intersoggettiva strutturata sul processo
dell’identificazione proiettiva, una concettualizzazione più contemporanea del campo analitico ne
radicalizza la funzione di campo emozionale piuttosto che relazionale, lo considera una dimensione
terza tra analista e analizzando e tra soggetto e oggetto, pensandolo quindi come una dimensione
emozionale che avvolge i membri della coppia analitica cambiandone lo statuto rispetto alla
produzione di materiale analitico, in quanto divengono coautori solo parziali dell’esperienza stessa.
Per capire quali sono le proprietà del campo analitico che ne costituiscono il plusvalore, è
necessario pensare non solo all’intrecciarsi delle identificazioni proiettive ed introiettive tra analista
e analizzando, quindi del meccanismo base della relazione contenitore-contenuto, ma anche a
quell’aspetto protomentale del legame che Bion definisce “VALENZA”, ovvero una sorta di
attitudine a combinarsi naturalmente e istantaneamente con l’altro che prescinde da una dimensione
strettamente relazionale o identificatori, un funzionamento specifico della mente sempre attivo ma
riconoscibile nel campo o nel gruppo, che ha a che fare con aspetti molto primitivi e che si attiva
quando vengono vissute dimensioni emozionali particolarmente significative.
È proprio questa dimensione terza ad essere il plusvalore clinico e terapeutico del campo.
Se pensiamo soggetto e oggetto come luoghi di un campo intersoggettivo, realizziamo, come dice
Ogden, che quando un paziente entra in analisi, perde la propria mente. Si riconnette cioè all’area
protomentale neoistiuita. Instaura una comunicazione che coinvolgendolo in profondità può essere
incanalata per riparare luoghi disfunzionali della sua gruppalità interna, per riavviare la
conversazione che le varie parti della mente intrattengono tra di loro sempre alla ricerca delle
soluzioni migliori per pensare il problema emotivo più attuale. Quello che viene descritto come
appartenente ad analista e paziente, in realtà avviene in una dimensione che transcende entrambi
che è quella di campo.
SCHEDA 5.7 – A Common Thread di Giuseppe Civitarese
Il campo è concepito come ciò che si costituisce dinamicamente all’incrocio delle identificazioni
reciproche di paziente e analista. Nel modello del campo analitico, l