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APPARTENENZA ECOLOGICHE
1-6 ANNI Famiglia Figlio Persona sociale
6-18 ANNI Scuola Allievo Persona, Società, ambiente
OVER 19 Lavoro Lavoratore/adulto Persona, società, ambiente,
cultura
Gruppo dei pari
In particolare, ci preme ricordare prima di analizzare un comportamento definendolo
problematico, alcuni presupporti fondamentali:
Ogni comportamento è una comunicazione,
Ogni comportamento è una funzione delle interazioni tra la persona e l’ambiente,
L’eventuale intervento deve affrontare le variabili che mantengono il comportamento
(almeno parzialmente),
I risultati ottenuti devono essere valutati dal punto di vista funzionale.
I C O M P O RTA M E N T I P R O B L E M A
Generalmente è possibile definire “problematici” quei comportamenti che
Interferiscono con l’apprendimento e con lo sviluppo in generale,
Possono provocare danni alla persona stessa che li emette, ad altri o a oggetti;
Sono considerati inaccettabili da un punto di vista sociale (famiglia, scuola, società)
Al contrario in modo generale si possono chiamare comportamenti “non problematici” quelli che:
Non interferiscono con lo sviluppo sociale, cognitivo ed affettivo della persona,
Non creano danni a chi li mette in atto, ad altri o a soggetti.
Alcune difficoltà concettuali:
Condivisione dei criteri di sviluppo;
Condivisione dei criteri della socializzazione della persona;
La definizione di salute.
Proponendo questa chiave di lettura si vuole affrontare il comportamento problematico della
persona (bambino, adolescente, giovane) in norma di sviluppo, cioè alla quale non è stato
diagnosticato un evidente disturbo mentale.
Siamo consapevoli che nell’età evolutiva ci troviamo di fronte a diverse difficoltà sia teoriche che
operative nel parlare dei comportamenti che creano ostacoli allo sviluppo della persona e alle
relazioni sociali.
Proponiamo un iter per l’analisi dei comportamenti problema:
Dare una comunicazione descrittiva di ciò che la persona fa,
Conoscere la storia del comportamento. -> ogni comportamento è multifattoriale. Capire se
quel comportamento si ripete, capire quando è nato, come si ripete. Ci fornisce molte
informazioni.
Approfondire le ragioni per le quali si debba modificare il comportamento problematico. ->
domande: suscita imitazione da parte degli altri?; è distruttivo verso gli oggetti o le persone?
Conoscere la frequenza e il contesto nel quale il comportamento problematico si verifica
Evidenziare le possibili cause e motivazioni
Mettere in atto uno studio del ragazzo e del suo ambiente di appartenenza
L’assessment funzionale
Assesment funzionale
Categorizzazione Descrizione
Inserire una categoria Intervista
Osservazione sistematica
Verifica
Quali sono i comportamenti problematici:
Irrequietezza del comportamento (vs iperattività): un ragazzo vivace, eccitato, non è
iperattivo perché l’iperattività è un disturbo
Atteggiamento oppositivo (ribellione, contestazione, rifiuto, disobbedienza, ecc.): disturbo
antisociale e disturbo oppositivo provocatorio
Aggressività (verbale, fisica eterodiretta, fisica autodiretta, non verbale): bisogna
autoregolarsi con le emozioni. È più grave l’auto aggressività che quella diretta verso gli
altri
Comportamenti influenzati dal contesto storico-culturale (sia tradizionali che quelli
virtuali)
Classificazione di alcune procedure di intervento
Secondo Dario Ianes è possibile classificare i comportamenti problematici in tre livelli di intervento
a seconda della loro intrusività, avversità e severità:
Rinforzo differenziale (DRO: rinforzo differenziale dei comportamenti alternativi; DRA:
rinforzo differenziale dei comportamenti adeguati; DRI: rinforzo differenziale dei
comportamenti incompatibili);
Pratica negativa, estinzione;
Time out, ipercorrezione, costo della risposta, blocco fisico, disapprovazione sociale,
contratto educativo, privazione, stimolazione avversiva, terapia farmacologica.
Attraverso il DRO si cerca di promuovere l’assenza di un comportamento inadeguato. Tale modo
non consente di insegnare ai ragazzi un nuovo modo di comportarsi o strategie di gestione delle
situazioni conflittuali. Altro limite è quello di rischiare di rinforzare altri comportamenti senza che
vi sia intenzionalità.
Attraverso il DRA si incrementa un comportamento adeguato attraverso il rinforzo. Essenziale non
è solo eliminare il comportamento problema, ma anche sostituirlo con un comportamento adeguato
che abbia la stessa funzione. Questo metodo non lavora direttamente sul comportamento inadeguato
quindi vi è la possibilità che si riproponga in futuro.
Attraverso il DRI si incrementa un comportamento adeguato incompatibile con quello inadeguato
(DRO+DRA)
La pratica negativa: ordinare al ragazzo di mettere in atto il suo comportamento inadeguato per un
periodo di tempo ben preciso. Non è appropriata a ragazzi con disabilità, nel caso di comportamenti
aggressivi, autolesionistici e distruttivi. Vi sono diversi limiti, ovvero: il comportamento inadeguato
nei primi giorni può incrementare in frequenza, gravità e intensità. E successivamente può essere
sostituito da altri comportamenti inadeguati.
Sostituzione: maggiormente funzionale. Necessita della definizione chiara del “cosa” e “con cosa”
sostituire. Comportamento = Obiettivo di
problema riduzione
SOSTITUZIONE
Situazione Comportamento = Obiettivo di
adeguato incremento
La lettura del comporatemnto problema come:
Esperienze dell’apprendimento;
Una comunicazione;
Una fuga da…;
Un disagio (fisico, psichico);
Ricerca d’attenzione;
Un rinforzo positivo per il comportamento stesso;
L’intervento sul problema comportamentale deve essere incentrato sull’educazione (sempre in
questi casi come dinamica di crescita multidimensionale) e non semplicemente sulla riduzione del
comportamento stesso.
La persona che interviene incoraggia la persona in difficoltà a interagire con l’ambiente. Se si
rimane fermi a livello di gestione dei comportamenti inadeguati, l’intervento è orientato quasi
esclusivamente a inibire le manifestazioni. Questa è la grande differenza tra l’intervento educativo e
di gestione: non la fuga del (comportamento) problema ma lo stimolo alla manifestazione per
cominciare a ipotizzarne, se non proprio capirne, il motivo e le funzioni. Ciò serve per progettare
un intervento non punitivo, costruendo gli elementi affinché il ragazzo lo sostituisca con un
positivo, che gli consenta di raggiungere quell’effetto.
Definizione comportamento problema
Nell’intervento sul comportamento problema deve essere concentrato sull’educazione e non
solamente sulla riduzione del comportamento stesso. In questo caso è fondamentale la figura di chi
interviene e la sua maturità. L’educatore che interviene incoraggia la persona con difficoltà a
interagire con l’ambiente che la circonda in modo che realizzi l’idea che è possibile comunicare in
modo adeguato. Inoltre è fondamentale comprendere le motivazioni alla base del comportamento
problema, in quanto questi rappresentano dei messaggi.
Le funzioni dei comportamenti problema possono essere molteplici e si possono raggruppare
in alcune categoria generali:
1. Com. Problema che hanno la funzione medica: esprimono un disagio fisico della persona
2. Com. Problema che hanno la funzione di fuga: la modalità attraverso la quale si interrompe
un comportamento spiacevole ed è mantenuto dal rinforzo negativo. Es. un ragazzo che è in
difficoltà a svolgere un compito fuggendolo ottiene il rinforzo di aver evitato lo stesso.
3. Com. Problema che hanno la funzione sensoriale: il piacere che deriva da un comportamento
è un rinforzo positivo dello stesso.
Una lettura del comportamento problema verso una definizione integrata è la visione operativa
secondo la quale possiamo parlare di comportamenti problematici quando:
Ci sono rischi per la vita o/e il benessere della persona;
Ci sono rischi per la vita o il benessere altrui;
Esiste un ostacolo all’adattamento;
Esiste un ostacolo all’apprendimento
Vi è una un aspetto di trasversalità triangolare: comportamento-apprendimento- adattamento che
permette la comprensione della natura del comportamento problematico stesso.
Apprendimento modificazione del comportamento conseguente da una specifica interazione tra il
soggetto e l’ambiente che stabilisce nuove modalità di risposta agli stimoli esterni.
Si possono distinguere le modalità di produzione di una risposta in due categorie:
1. Risposte elicitate: direttamente collegate agli stimoli ambientali in quanto rappresentano una
reazione adattiva alle modificazioni ambientali
2. Comportamenti emessi: rappresentano il modo in cui un organismo modifica l’ambiente
In psicologia, a riguardo delle risposte comportamentali agli stimoli, si fa riferimento al concetto di
“forza” per indicare il costrutto teorico derivante da altri parametri:
L’ampiezza: è una missura quantitavìtiva che delinea l’intensità di una relazione
comportamentale;
La latenza: indica il tempo che intercorre tra la presentazione di uno stimolo e la comparssa
di una risposta;
La velocità: riguarda lo stesso studio della latenza ma in modo inverso;
La durata: indica tutto il tempo nel quale una data risposta comportamentale viene attivata;
La frequenza: riguarda il numero di volte in cui il comportamento viene attivato in certe
situazioni. Questo parametro appare centrale nella valutazione del comportamento in quanto
evidenzia con immediatezza i cambiamenti avvenuti sia nel breve che nel lungo periodo e
può essere applicato alla maggior parte dei comportamenti;
Il numero di tentativi o prove: descrive quante volte è necessario che uno stimolo venga
ripetuto in un esercizio o quanti rinforzi occorrono prima che il soggetto abbia appreso una
risposta condizionale.
A riguardo dello stesso comportamento è possibile effettuare, dunque, una valutazione
quantitativa e una qualitativa.
La valutazione quantitativa è orientata a rilevare maggiormente la frequenza di un dato
comportamento e serve in quanto:
Aiuta a comprendere la rilevanza del problema,
Aiuta a comprendere se esistono momenti, orari o situazioni maggiormente problematiche
nella giornata;
Consente di verificare la riduzione del comportamento grazie all’intervento mettendo in
relazione il “prim