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A. L’AIUTO IN UNA SITUAZIONE INFORMALE CHE COINVOLGE DUE PERSONE
Microanalisi del caso di un coniuge che chiede una tazza di tè; l’obiettivo è illustrare le
possibili trappole di una relazione del tutto informale.
La prima cosa da fare è avviare un’umile ricerca di informazioni e agire da consulente di
processo. Si deve creare uno spazio dialettico per fare emergere nuove informazioni: se non
emerge nulla di nuovo ok, le si porta il tè e finisce lì.
Se si resta in silenzio, lei si può offendere, avrebbe la dignità minacciata; si domanderebbe
perché lui ha respinto la sua richiesta.
Se ci sono motivazioni valide per non farlo, l’intervento di lui ha preso atto della richiesta di lei
e l’ha gestita rispettosamente, tenendo aperto il circuito della comunicazione e in equilibrio la
reazione.
B. L’EFFETTO DI UNA DOMANDA INNOCENTE
L’aiuto in una sessione di gruppo; l’obiettivo è illustrare l’effetto positivo di una domanda
innocente.
Un team aziendale si incontra settimanalmente per delle riunioni che risultano sempre
infruttuose, non si riesce mai a parlare di tutto. Schein ha chiesto da dove venisse quella lunga
agenda. Gli hanno risposto che la compilava la segretaria mettendo in ordine cronologico gli
argomenti segnalati per telefono dai vari executive. Da lì il gruppo ha subito modificato
l’agenda mettendo in ordine di importanza gli argomenti.
C. PASSARE ALL’INDAGINE CONFRONTATIVA
Aiutare un gruppo a riprogettare le sue riunioni attraverso la fornitura di un’expertise di
processo, pur limitando il proprio ruolo alla ricerca di informazioni.
Stesso gruppo, il problema non si risolve poiché ci sono due tipi di argomenti da affrontare:
quelli urgenti (che venivano affrontati sempre per primi) e quelli che richiedevano una
discussione più lunga (per cui non restava altro tempo). Un’executive ha proposto di affrontare
le questioni urgenti ad ogni riunione, ma ogni due venerdì di trattare un argomento più lungo.
Shein ha chiesto se il venerdì pomeriggio avessero energia per questo. sì
Shein ha proposto di tenere le riunioni strategiche lontano dall’ufficio, dove non ci sono
distrazioni.
D. AIUTARE UN COLLEGA A DIVENTARE UN HELPER EFFICACE
Il caso illustra la complessità del processo di ricerca delle informazioni.
Quando l’helper ha la sensazione che la relazione sia paritetica (non per forza i due devono
stare sullo stesso piano, ma entrambe le loro aspettative devono essere soddisfatte), la
conversazione può estendersi ad aree molto più profonde, senza rischiare atteggiamenti
difensivi perché il cliente è un discente attivo e apprezza l’input.
Il cliente e l’helper cercano di capire insieme cosa è andato storto e quali potrebbero esserne le
cause: i clienti diventano più attivi, il tono di voce cambia e il contenuto diventa più assertivo,
la tendenza a incolpare se stessi o gli altri si riduce e l’analisi obiettiva si rafforza.
Jim, nei 4 casi in cui era stato contestato, operava nel ruolo di medico, fornendo al paziente
diagnosi e prescrizioni, anziché calarsi nel ruolo da consulente di processo.
Dopo lo sfogo di Shein, Jim ha iniziato a riflettere sul perché: era pagato per fare la diagnosi e
voleva fare un buon lavoro utilizzando la sua expertise, ma allo stesso tempo ha riconosciuto
che avrebbe potuto discutere preliminarmente con qualcuno dei suoi confidenti in seno
all’organizzazione.
E. AIUTO INUTILE NELLA DIMISSIONE DI UN PAZIENTE DALL’OSPEDALE
Il caso illustra gli effetti negativi delle supposizioni.
Un infermiere ha dato per scontato che la spesa per fare le flebo a casa avrebbe condizionato il
loro processo decisionale, al punto che non si era nemmeno informato sull’opzione delle cure
domiciliari perché supponeva che non avrebbero voluto pagare un trattamento
eccessivamente costoso, quando in realtà la loro unica preoccupazione era che la moglie
ricevesse le cure a casa, per evitare di prendersi ulteriori infezioni.
F. AIUTO DISCONTINUO NELL’AMBITO DI UNA RELAZIONE CONTINUATIVA
Il caso illustra l’esigenza della flessibilità di ruolo e dell’intercambiabilità di ruolo
nell’assistenza.
Dopo aver ricevuto le cure a casa, ha preso un’altra infezione, l’hanno ricoverata e dopo 8
giorni è tornata a casa. Shein si è reso conto di quanto sia difficile mantenere una relazione
serena ed equilibrata quando una persona ha più o meno cronicamente bisogno di aiuto.
Se il cliente è in una condizione cronica di inferiorità, l’helper deve offrire spontaneamente
aiuto per minimizzare l’ulteriore perdita di autostima dovuta alla continua necessità di
chiedere favori.
L’helper ha di fatto il controllo perché è fisicamente più forte e deve usare ponderatamente
quel potere a beneficio di entrambi.
Oltre alla dipendenza fisica, il cliente sperimenta anche senso di colpa.
Possibili problemi:
Aiuto indesiderato, che spesso alimenta ulteriormente il senso di inferiorità
Rinuncia al controllo: rinuncia al ruolo di esperto-medico. La moglie, una volta
riacquisita l’autonomia, gli diceva cosa fare e come farlo durante la sua routine, ma per
non cadere nella trappola lui faceva: autoindagine finalizzata a prendere coscienza di
ciò che stava accadendo dentro di lui per non cadere in trappole distruttive; umile
ricerca di informazioni per capire meglio da sua moglie perché avesse sollevato un
certo problema e quanto fosse importante per lei.
7.IL TEAMWORK COME AIUTO RECIPROCO PERMANENTE
Teamwork ogni membro deve assolvere un ruolo rilevante per la finalità del gruppo: nulla
danneggia maggiormente un team che l’assenza improvvisa, o la mancata collaborazione, di uno dei
suoi componenti.
Non tutti i membri avranno lo stesso status, ma tutti i membri devono avere uno status commisurato
al proprio contributo.
Un team efficace è quello in cui ogni membro aiuta i colleghi a svolgere adeguatamente il proprio
ruolo, in modo che tutti abbiano un senso di equità e che la fiducia reciproca resti elevata anche
quando le pressioni sono particolarmente forti.
I team lavorano quasi sempre in modo più efficace quando la persona che ha lo status più elevato
mostra una certa umiltà attraverso l’ascolto attivo, in questo modo riconosce che gli altri sono
fondamentali per un buon risultato e lascia loro uno spazio psicologico in cui sviluppare delle identità
e dei ruoli che appaiono equi e corretti.
Teamwork reticolo di relazioni multiple di aiuto, che coinvolge tutti i membri del gruppo destinati a
lavorare insieme. Il team leader sa che ognuno deve sviluppare una relazione con tutti gli altri e con
l’autorità formale: per questa costruzione occorre tempo e risorse.
Il leader deve operare inizialmente da consulente di processo e creare le condizioni affinchè i
componenti sappiano rispondere a queste domande:
Che parte devo fare? Qual è il mio ruolo in questo gruppo? realtà sociale
E’ fonte di legittimo orgoglio l’essere considerato un contributore individuale indispensabile
anziché una risorsa fungibile, anche se si finisce per avere meno status di qualche altro collega.
Quanto controllo e quanta influenza avrò in questo gruppo? Noi esseri umani vogliamo
sempre avere una certa influenza, ma non necessariamente nella stessa misura degli altri.
I miei obiettivi e i miei bisogni verranno soddisfatti in questo gruppo? se si selezionano dei
futuri helper, è indispensabile effettuare un’adeguata ricerca di informazioni per determinare i
bisogni e gli obiettivi dei candidati.
Quale sarà il livello di intimità in questo gruppo? coinvolgimento personale ed emotivo.
Tutti noi abbiamo dei limiti di ruolo e quando entriamo a far parte di un nuovo gruppo
dobbiamo metterli alla prova per capire se il gruppo ci chiederà troppo o non abbastanza.
Nelle fasi iniziali di attività di gruppo l’accettazione reciproca diventa la moneta con cui si valutano le
identità: ognuna delle precedenti domande ha una risposta attraverso le reazioni dei colleghi; essa
inoltre è fondamentale per lo sviluppo della fiducia necessaria a sostenere nel tempo la performance
del gruppo.
I team efficaci non devono essere dominati dall’amore, ma i componenti devono conoscersi abbastanza
bene da potersi fidare gli uni degli altri per quanto riguarda la corretta esecuzione del compito.
Finchè i membri non saranno in grado di dare una risposta soddisfacente alle 4 domande, saranno
preoccupati e ansiosi e quindi non dedicheranno la massima attenzione al compito da svolgere.
ci vuole tempo! Si possono sfruttare anche esperienze di condivisione tipo cene o attività sportive.
Il team efficace non può tollerare dei membri che dubitano della propria identità, della propria
influenza, della possibile soddisfazione dei propri bisogni e temono l’eccessiva formalità o informalità
del gruppo.
I componenti conoscono il proprio ruolo e vi si sentono a proprio agio perché sanno che c’è
corrispondenza tra ciò che danno, in termini di performance e ciò che ricevono, in termini di
ricompense formali o informali.
Ognuno è cliente e ognuno è helper.
Dare e ricevere feedback è una forma di comunicazione nella relazione d’aiuto, specie in un contesto di
gruppo.
Ciò che può distruggere un team è la mancanza di chiarezza sui ruoli fin dall’inizio o la fuoriuscita di
qualcuno dal ruolo: mancato aiuto o eccesso di aiuto.
Ciò che definisce l’aiuto in una situazione di team è il compito svolto effettivamente dal team e il grado
di interdipendenza dei suoi membri.
I membri del team non devono solo conoscere il proprio compito, ma devono anche reagire alle
sorprese: diventa importante quindi riesaminare e analizzare la propria performance dopo ogni
periodo di azione.
Nell’esame critico successivo all’azione possono emergere le richieste di aiuto più sensate.
Mentre il team è all’opera, il bisogno di aiuto deve essere spesso diagnosticato immediatamente e
spontaneamente; in molti casi non c’è tempo per chiedere aiuto o per offrirlo verbalmente.
Un team di persone che si autoaiutano dipende dall’effettiva interdipendenza dei loro compiti: la
disponibilità a fornire aiuto è particolarmente critica nei casi di interdipendenza simultanea.
Il teamwork dipende spesso dalla trasmissione delle competenze e dalla disponibilità a collaborare
strettamente per vincere la partita.
Dove l’interdipend