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Educazione di genere
L'educazione di genere, a differenza della socializzazione, è un processo consapevolmente intrapreso. Distinguiamo educazione formale (data da istituzioni formali, come la scuola), non formale (data da famiglia, parrocchia, associazioni...) e informale (ad esempio, quella fornita dai mass media). La scuola dovrebbe lavorare sia sul suo curriculum esplicito (i programmi e i contenuti trasmessi), sia su quello nascosto (lo stile comunicativo tra insegnanti e alunni, il linguaggio utilizzato, i valori impliciti, la conformazione degli spazi...). Tutto dipende da cosa si vuole fare con la differenza.
Capitolo 2 - Perché serve l'educazione di genere?
È ormai chiaro che le donne non sono inferiori rispetto agli uomini, ma hanno possibilità educative inferiori. Se l'educazione di uomini e donne seguisse i medesimi metodi e principi e fosse diretta all'uso sobrio della ragione, le donne
avrebberol'opportunità di arrivare agli stessi livelli degli uomini. Il diverso peso dato alla distinzione tra base biologica e apprendimento culturale riguardo a corpo e genere hanno portato a distinguere due approcci:
- Approcci innatisti: donne e uomini si nasce. Fanno riferimento a differenze biologiche, determinate alla nascita. Essi generalmente attribuiscono atteggiamenti e comportamenti differenziati ad una differenziazione che risponde alle esigenze della specie e che, pertanto, ha validità universale;
- Approcci costruttivisti: donne e uomini si diventa. Attenzione all'apprendimento sociale, che è teatro di processi che hanno portato a naturalizzare ex-post, e dunque a legittimare, i comportamenti differenziati a seconda del genere.
In ogni caso, la socializzazione, e in generale l'ambiente esterno, intervengono in tutti i processi biologici ed è difficile isolare i singoli effetti. Gli individui sviluppano le qualità
connesse ai giochi e alle esperienze che la società, in quanto maschi o femmine, si aspettano che facciano. Se si vuole contrastare la disuguaglianza, bisogna lavorare sul modo in cui la differenza si rivela disuguaglianza e la disuguaglianza si giustifica con la differenza. Le aspettative di ruolo, dunque, sono le aspettative che una società costruisce intorno al maschile e al femminile, i quali, secondo la psicologa Sandra Bem, sono gli estremi di un continuum in cui le persone si pongono in posizioni intermedie. Ella costruì a tal proposito un test, divenuto noto come Bsri (Bem Sex Role Inventory), che mirava a far valutare a uomini e donne la desiderabilità di alcuni tratti psicologici. Ne emerse, così come dagli studi successivi, che siamo portati a ricondurre alla mascolinità qualità come l'indipendenza, la forza, la competitività, l'attitudine al comando, la predilezione per la scienza e la tecnica, una maggioretendenza alla violenza fisica, all'uso della ragione, a proteggere gli altri, a dare meno peso all'aspetto esteriore... viceversa, siamo portati ad associare alla femminilità qualità come la propensione alla cura degli altri, il bisogno di protezione, l'attitudine all'obbedienza, la paura, la sensibilità, la dolcezza, l'istinto, la vanità e, in generale, un rapporto più diretto con il corpo, con la natura e con le tradizioni. Tuttavia, è bene sottolineare che la complementarietà non è l'unico modo per pensare alla differenza, anzi concorre ad agire come disuguaglianza. Se operassimo un'inversione delle attribuzioni, infatti, ci accorgeremmo dell'asimmetria: un uomo che cura l'aspetto esteriore e che dipende dagli altri non verrebbe visto di buon grado nella società odierna; al contrario, una donna intraprendente e con ampie aspirazioni per il futuro guadagnerebbe.prestigio e ammirazione. Questa asimmetria è stata storicamente accettata grazie ad un processo di naturalizzazione, ovvero rintracciandone le ragioni entro un'origine essenziale e presociale, che viene costantemente mantenuto in maniera tacita, ma sistemica, nelle pratiche nei discorsi comuni (es: nella definizione di vanità fornita dall'Enciclopedia Treccani, gli esempi di utilizzo si applicano a soggetti femminili, come se fosse una qualità femminile - "una ragazza piena di vanità"). Stereotipi e pregiudizi di genere: Lo stereotipo è uno schema mentale che ci permette di riconoscere gli stimoli che riteniamo rilevanti secondo criteri di somiglianza o affinità, di catalogarli entro routine di riconoscimento e di rimuovere quelli che non coincidono con il sistema che abbiamo costruito. Lo stereotipo è dunque uno strumento necessario all'attività umana di conoscenza del mondo, in quanto consente disemplificarne la complessità. A tale funzione cognitiva si associa una funzione orientativa: lo stereotipo ci consente di prevedere gli eventi sulla base del sistema che abbiamo costruito, ovvero ci aspettiamo che un membro di una precisa categoria si comporti in un determinato modo, adottiamo una presunzione di corrispondenza tra la realtà e la ricostruzione che abbiamo fino a quel momento attuato.
Il pregiudizio rientra, invece, nella dimensione normativa del vivere sociale: è un giudizio di valore che emettiamo prima della (o in alternativa alla) validazione della conoscenza sulla base dei nostri stereotipi e che guida i nostri atteggiamenti verso gli altri. Un pregiudizio ci può portare (e lo mostrano molti esperimenti, es: pag. 43), ad esempio, a valutare diversamente lo stesso comportamento se adottato da membri di gruppi a cui attribuiamo capacità differenti (es: errore al computer → la capacità di utilizzo dei dispositivi informatici).
È attribuita ai maschi, quindi se lo fa un uomo può essere giustificato come una distrazione, se lo fa una donna è scarsa abilità nell'uso del pc). Per minaccia dello stereotipo intendiamo il decremento nella performance che si registra presso il membro di un gruppo quando è consapevole dello stereotipo negativo che grava su quel gruppo. Stereotipi e pregiudizi tendono a resistere alla prova dei fatti, anche perché gli studi dimostrano che tendiamo a notare e a ricordare meglio ciò che conferma il nostro stereotipo. Non è dunque possibile eliminare completamente i nostri stereotipi e agire senza pregiudizi, ma è auspicabile adottare strategie per ridurre la cristallizzazione delle nostre generalizzazioni e renderle più impermeabili all'esperienza. La categorizzazione parte da un'accentuazione percettiva che minimizza le differenze all'interno di una categoria e amplia quelle fra categorie diverse. IBambini traggono le categorie dall'ambiente esterno e già a 2 anni sono in grado di distinguere uomini e donne, quindi possiedono la capacità di categorizzare le persone secondo il genere e, dunque, uno dei più comuni stereotipi in relazione al genere. I bambini classificano gli stimoli usando le categorie che trovano disponibili nella cultura in cui vivono e associano a tutto ciò che appartiene ad una categoria, intrisa di valori e di informazioni, un comune "colore affettivo" (psicologo americano Allport, pag. 45). I canali possibili di trasmissione di significati e norme discriminanti verso alcune categorie possono essere anche impliciti (gesti, battute apparentemente banali, espresse quasi senza riflettere), talvolta dati per "scontati", perfino nei libri di testo (es: i testi dei problemi per la scuola primaria propongono attività differenziate - la mamma ha 12 piatti da lavare e ne ha lavati 8, ilpapà percorre ogni giorno 54 km per andare in fabbrica a lavorare, …). È dunque necessario, in un'ottica di educazione di genere, rinegoziare i significati che spesso diamo per acquisiti, poiché dagli stereotipi alle disuguaglianze il passo è (relativamente) breve.
Le ricerche sui valori degli italiani dimostrano un generale accordo sul fatto che si dovrebbe permettere alle persone di perseguire le proprie vocazioni indipendentemente dal loro genere. Il problema di disuguaglianze e stereotipi, dunque, sembrerebbe cosa superata. Invece, a ben guardare, l'Italia è ancora un ottimo esempio per toccare con mano il portato sociale della sedimentazione di immagini e credenze tradizionali e asimmetriche. I dati Istat, infatti, dimostrano che la normalità è ancora che sia l'uomo a provvedere alle necessità economiche della famiglia, mentre la donna è relegata al focolare e alla cura dei figli ed è, pertanto,
Sovraistruita per le mansioni che le vengono richieste. Quand’anche ella fosse invece in carriera, verrebbe comunque penalizzata nell’avanzamento della stessa o nel mantenimento dell’occupazione qualora facesse uno o più figli. E non è tutto: in Italia un padre che utilizza il congedo parentale rischia di essere considerato poco ligio al suo lavoro, e un uomo che stira o pulisce i sanitari può venire deriso dagli amici. Tutte cose che, invece, non ci si stupisce che una donna faccia, anzi, ce lo si aspetta, visto che a lei spetta farsi carico di figli e genitori anziani. Certo, il quadro è indubbiamente in evoluzione, e talvolta le disuguaglianze di genere non derivano da stereotipi, ad esempio una coppia può decidere che a rinunciare al posto di lavoro per badare ai figli sia il percettore di reddito minore, che è solitamente la moglie – anche se a ben guardare anche questi aspetti strutturali risentono dell’effetto
delle stereotipizzazioni che assegnano alle donne un ruolo complementare e subalterno e che vengono continuamente giustificate e rafforzate – , ma c’è ancora molta strada da fare ed è opportuno sottolineare che parte della resistenza al cambiamento è dovuta alle inerzie culturali. Gli elementi valoriali che attraversano istituzioni sociali, politiche di intervento e prassi organizzative, infatti, normalizzano queste condizioni di squilibrio. Spesso, ad esempio, in seno alla stessa famiglia, le richieste dei genitori si differenziano tra figli e figlie, perché è divenuta la norma che a generi diversi corrispondano attitudini diverse e, dunque, differenti mansioni. Al giorno d’oggi la frequenza alimenta l’accettabilità, quindi vedere giovani padri che si prendono cura dei figli sta, fortunatamente, diventando più accettabile.
Capitolo 3 - Come si fa educazione di genere?
È opportuno sfatare subito tre miti riguardo
all'educazione di genere, tanto diffusi nei discorsi comuni, quanto nei dibattiti mediatici e politici:- Il primo è che le pratiche educative in tema di differenza sessuale siano una novità nei contesti scolastici ed educativi italiani. Sin dagli anni Settanta, infatti, si sono attuate, per quanto sporadiche e poco continuative, molteplici esperienze didattiche nelle scuole che avevano l'obiettivo di promuovere una maggiore consapevolezza e comprensione delle diversità di genere.