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3. VOCI DI GENITORI E INSEGNANTI IN DIALOGO O "QUASI"

1. Qual'è la domanda giusta?

La comunicazione verbale tra genitori e insegnanti è la "pratica" di relazione più immediata e forse,

anche per qesto, quella più a rischio di automatismi.

Questo dialogo può essere anche ostacolato da vari fattori legati a motivazioni strutturali e

organizzative, culturali, individuali, inciampi linguistici, fraintendimenti culturali, incongruenza di

aspettative ecc..

le domande dei genitori italiani possono essere percepite come sfiducia o giudizio mentre l'assenza

di domande dei genitori stranieri possono essere percepite come mancanza di interesse.

Sembra prioritario che il "bravo genitore" si informi sulle condizione socio-emotive del bambino e

non si preoccupi della parte didattica. Spesso gli educatori non riescono a chiedersi quali sono le

motivazioni che spingono i genitori a chiedere alcune cose a discapito di altre.

Vertovec parla di "super-diversity" per descrivere l'inafferrabile complessità, in riferimento in

particolare alla vita nelle società contemporanee, caratterizzata da un intreccio tra gruppi, etnie,

convinzioni, modelli culturali, non facili da accettare.

2. Stare o non stare sulla soglia

un altro elemento che determina la qualità e la natura delle relazioni è il posizionamento, sia fisico

che sociale, nei contesti.

Incontrarsi significa incontro di corpi fisici oltre che incontro di cornici epistemiche, teorie, universi

simbolici, linguistici, culturali.

Alcune ricerche hanno evidenziato come il "stare sulla soglia" possa essere indicatore di una linea

di confine che sembra impedire l'ingresso fisico e sociale nello spazio pubblico della scuola. Spesso

i genitori immigrati tendono a non entrare, a osservare i figli da lontano, al contrario i genitori

italiani sembrano entrare con più facilità nello spazio pubblico, lasciandosi coinvolgere in attività

ludiche con i bambini e mediando la transizione.

Le insegnanti da una parte percepiscono come positiva la non invadenza dei genitori stranieri, ma

possono anche percepirla come distanza.

Non è possibile quindi generalizzare i rituali e il posizionamento possibile nello spazio pubblico dei

servizi educativi.

La messa in scena dei comportamenti educativi di genitori e insegnanti quindi rimanda sempre ad

altro, ma il problema è che questo altro non è sempre visibile ad occhio nudo.

La strada nel dialogo comincia da qui; dall'osservazione attenta e curiosa delle nosstre e altrui teorie

sull'educazione, senza pretesa di cambiarle ma iniziando a riconnoscerle.

3. Il peso delle preoccupazioni invisibili

come parlare ai bambini di temi difficili a livello esistenziale?

Tra le responsabilità educative di educatori e insegnanti che lavorano nei servizi per l'infanzia c'è

anche quella di provare a "mettere sul tavolo" e poi eventualmente "in ordine" le teorie in

costruzione di adulti e bambini sulla differenza, la pluralità, la convivenza. Senza dare risposte

assolute.

4. La fatica di tenere il ruolo tra regole implicite ed esplicite

Accade spesso che insegnanti ed educatori esplicitino un senso di difficoltà, pensantezza,

disorientamento, impotenza di fronte a quelle che sono descritte come modalità di relazione tra

genitori e insegnanti sorprendenti, fuori dalla norma, strane. A volte questo senso di diffocoltà

diventa più significativo nei casi in cui l'insegnante o l'educatrice ha la sensazione di non riuscire a

far rispettare le regole del servizio oppure di non riuscire ad intervenire. In questi casi si prova un

senso di fallimento.

I genitori vengono vissuti come sfidanti e le educatrici si sentono in ansia o non sanno come

comportarsi, in particolare in relazione alle regole (quando i genitori non stanno alle richieste di

tempi e modi delle insegnanti).

L'esperienza insegna come le regole negoziate siano quelle più rispettate, mentre le regole

"imposte" dall'alto vengano mal tollerate e siano a rischio di incomprensione e trasgressione.

5. Quando c'è una situazione di difficoltà

Relazione con i bambini "difficili". Casi che espongono i bambini e gli educatori in una situazione

di grande delicatezza e complessità. Genitori e educatori si trovano a negoziare una immagine di

bambini spesso distanti dalle attese di entrambi.

Gli educatori percepiscono le famiglie di bambini difficili come famiglie insicure, deboli e in

difficoltà. In queste situazioni emerge con ancora più importanza la creazione di spazi di pensiero e

partecipazione.

6. il dialogo interculturale è una pratica partecipativa

Uno dei problemi che emerge più frequentemente lavorando a fianco degli educatori e degli

insegnanti è il problema del tempo. Conciliare i tempi individuali, esistenziali, istituzionali, cuturali,

collettivi.

Talvolta il modo con cui parliamo con i genitori è scandito dal loro tempo (hanno tempo o non ne

hanno, si fermano troppo o troppo poco).

Sinteticamente si può dire che la comunicazione tra genitori e insegnanti è scandita dalla parola e

dal tempo, elementi che possono unire o dividere.

Le parole hanno un peso determinante, sono azioni, non sono neutre.

Talvolta le comunicazioni vengono fatte tramite formule, modi di dire, metafore e interpretazioni

standard (i bambini sono descritti come "pronti, non pronti, indietro, avanti, vivaci, timidi,

socievoli, aggressivi, svegli, acuti ecc..).

PARTE TERZA: PROSPETTIVE E PROPOSTE

4. NON E' SOLO UNA QUESTIONE DI CULTURA/E: RICONOSCERSI E DECENTRARSI

1. non è solo una questione di cultura/e

la difficoltà di comunicazione tra genitori ed educatori non è solo una questione di cultura o di

culture. Le differenze, di per sè, non sono fattori di rischio per la buona riuscita del processo

educativo.

I valori tramandati dai genitori hanno un ruolo chiave se vengono gestiti con consapevolezza in

riferimento ai contesti in cui questi stessi valori ne incontrano altri con cui dovranno interagire.

Tre parole chiave: riconoscersi, decentramento, empatia.

2. riconoscersi

il tema del riconoscimento è centrale nella riflessione sulla relazionalità educativa.

L'esperienza di riconoscimento dell'altro è essa stessa riconoscimento del sè (Hegel).

In chiave pedagogica possiamo dire che il tema del riconoscimento è cruciale in quanto l'incontro

con l'altro è reciproco; ciò significa che riconoscendo l'altro conosciamo noi stessi.

Il conflitto è l'altra faccia dell'incontro, non come antitesi al riconoscimento ma come sua parte

fondamentale.

Riconoscersi è un concetto che va oltre la diversità culturale.

Il conflitto implica cambiamento, per questo a volte viene riconosciuta come fardello.

Il confronto richiede fatica, riflessione su di sè e sul proprio modo di porsi, collaborazione per

potersi risolvere.

All'inizio c'è irrigidimento in posizione di difesa, nella seconda fase ci sono il dibattito e la

polarizzazione, in cui entrambe le parti cercano di imporsi, poi c'è lo stadio della tattica, momento

in cui i partner capiscono che la comunicazione non è funzionale e cercano l'azione. Quindi si entra

nello stadio della preoccupazione, in cui si ricercano alleati. Segue qui l'apice della lotta, intesa

come distruzione reciproca.

La relazione è educativa perché riesce ad arginare questo potenziale negativo del conflitto. La

risoluzione positiva del conflitto dipende da alcune competenze comunicative che oggi non

possiamo dare per scontate in contesti educativi in cui transitano lingue, codici parlanti diversi.

Nella prospettiva di Contini e Genovese, è auspicabile educare al conflitto, nel senso di conoscerlo

per poterlo tollerare, gestire e risolvere produttivamente.

3. andare oltre le proprie categorie

l'epistemologia pedagogica del problematicismo (Giovanni Maria Bertin), offre una prospettiva

interessante per andare oltre le visioni binarie delle relazioni tra genitori e insegnanti, introducendo

il concetto di impegno, intrecciato a quello di progettazione esistenziale.

"Chi è l'altro" si chiede Augè. Se noi utilizziamo le nostre categorie per descrivere l'altro lo

identificheremo come "straniero", immigrato, persona che parla poco italiano ecc.

Ma ogni tentativo di definizione è un fallimento. Il punto di vista da cui guardiamo l'altro è solo il

nostro ed è limitato.

Augè suggerisce di sviluppare l'arte di saper stare nell'incertezza. La conoscenza dovrebbe essere

basata sull'esperienza reale, concreta, e non su quell'insieme di conoscenze errate spesso figlie del

pregiudizio.

4. Contestualizzare il proprio punto di vista e decentrarsi: la lezione dell'antropologia

per incontrarsi occorre decentrarsi, uscire dal proprio punto di vista, uscire dalle proprie cornici.

Mettere in discussione e problematizzare le proprie premesse per provare ad accogliere il punto di

vista dell'altro.

Per comprendere questo costrutto risaliamo all'antropologia. Decentramento come capacità di

mettere in prospettiva. Implica una presa di distanza duplice, sia dall'altro che da se stessi.

"mettersi in prospettiva" è una citazione di Ugo Fabietti che ben sintetizza il concetto. Significa

essere disposti ad essere dubbiosi, accettando di essere detentori di un sapere di frontiera che rifiuta

le certezze del mondo di cui è espressione per aprirsi ad altri mondi.

Nel caso della scuola, entrando in contatto con le cornici di riferimento (educatori e insegnanti) i

genitori possono vedere il bambino con occhi diversi e apprendere altri stili educativi. Lo stesso

vale per gli educatori.

5. l'empatia come laboratorio di esperienza

empatia è in questo senso "andare verso" e generare esperienze di incontro con l'altro nella sua

unicità e differenza.

L'empatia oltrepassa la dimensione della capacità individuale e implica un attenzione allo spazio

relazionale che caratterizza l'esperienza dell'incontro con l'altro.

L'empatia non è compassione, non è identificazione, non è governata dall'etica dell solidarietà, nè è

condivisione di uno stesso sentimento.

Empatia è una postura che ha una duplice funzione di strumento critico per far fronte alla

complessità e di strategia per superare la complessità e convivere.

Empatia è "andare verso".

Ci si forma all'empatia esercitandola. Un sentire connesso all'agire.

La comunità scolastica è alle prese con un problema di carenza di empatia tra i ragazzi. Mancano

occasioni per sperimentare c

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
10 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher G.frosio3 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Bove Chiara.