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Giuseppina Mesetti dell’Università di Verona, aveva l’obiettivo di definire meglio la professione del
pedagogista. Lo studio si è basato su 8 interviste semi-strutturate a professionisti con almeno 10
anni di esperienza nella libera professione, utilizzando un questionario diviso in quattro aree
tematiche: biografia professionale, attività svolte, metodologie utilizzate e prospettive future.
L’analisi, condotta secondo la Grounded Theory, ha permesso di evidenziare le principali
competenze richieste per questa figura professionale.
Punto 3: Le prime risultanze delle interviste
La ricerca “Essere pedagogiste/i” ha messo in luce un quadro complesso e variegato della
professione del pedagogista, evidenziandone le competenze chiave. Questo professionista si
configura come un esperto nella relazione educativa, capace di combinare conoscenze teoriche e
pratiche per rispondere alle sfide dell’educazione con concretezza e creatività. Di seguito, le
principali categorie emerse dall’analisi delle interviste.
A. Una profonda conoscenza del sé: Il pedagogista deve possedere una solida conoscenza di sé
stesso. Ciò significa comprendere e affrontare i propri stati emotivi e interiori per non riversare
sugli altri, questioni irrisolte. È emerso come molti pedagogisti considerino utile intraprendere
percorsi di psicoterapia, essenziali per accrescere la propria consapevolezza. Educare, infatti,
implica sempre una relazione che porta il professionista a conoscere meglio sé stesso e l’altro.
Essere pedagogisti significa, inoltre, rappresentare un “buon esempio” per chi si affida a loro,
comprendendo a fondo le motivazioni e l’importanza di questo ruolo nella propria vita.
B. Saperi relazionali e comunicativi: La relazione è il cuore del lavoro pedagogico. Per costruire
l’altro e l’esterno, adottando un
rapporti efficaci, il pedagogista deve mantenere un equilibrio tra sé,
atteggiamento accogliente e non giudicante. La comunicazione è cruciale per instaurare fiducia,
creare alleanze e costruire relazioni solide, come indicato anche dal codice deontologico di
UNIPED. ai bambini/Conoscere il mondo dell’infanzia:
B.1. Saper relazionarsi Conoscere a fondo il
mondo dell’infanzia è indispensabile per il pedagogista, che deve comprendere i bisogni e le
sfaccettature dei bambini attraverso un contatto diretto. Questa esperienza permette di intervenire
con competenza sui problemi educativi portati da genitori e insegnanti.
Il pedagogista agisce come un “ponte”, aiutando chi si rivolge a
B.2. Essere un ponte per gli altri:
lui a vedere le proprie difficoltà da nuove prospettive. Questo ruolo delicato richiede la capacità di
semplificare situazioni complesse, alleggerendo il carico emotivo e mostrando soluzioni alternative
precedentemente inimmaginabili.
L’ascolto è una competenza fondamentale. Il pedagogista deve saper
B.3. Saper ascoltare:
l’altro in modo attivo e partecipativo, cogliendo il senso profondo delle sue parole e
accogliere
richieste. Ascoltare non significa solo “sentire”, ma partecipare con empatia e attenzione.
B.4. Formare gli altri: Essendo una professione di secondo livello, il pedagogista si occupa
principalmente di educatori e insegnanti, piuttosto che direttamente dei bambini. Formare gli altri
richiede flessibilità, capacità di adattarsi ai contesti lavorativi e di modificare strategie e strumenti a
seconda delle esigenze. Un’altra competenza chiave è la capacità di collaborare
B.5. Saper collaborare con gli educatori:
con educatori e altre figure professionali. Il pedagogista deve creare sinergie, lavorare in squadra e
mantenere un atteggiamento di umiltà, accettando la necessità di apprendere continuamente dai
colleghi.
C. Progettare: La progettazione è una competenza centrale per il pedagogista. Questo implica
ideare itinerari educativi efficaci e sostenibili, utilizzando risorse personali e professionali. La
progettazione richiede anche la capacità di cercare opportunità di finanziamento attraverso bandi
pubblici e privati, garantendo così la continuità delle attività pedagogiche.
D. Saper valutare: La valutazione è una fase essenziale e continua del lavoro pedagogico. Il
pedagogista deve analizzare la qualità del proprio operato e dei percorsi educativi proposti,
utilizzando strumenti validati e scientifici. La valutazione riguarda diversi aspetti, come
l’apprendimento, la formazione e i contesti educativi, ed è necessaria per migliorare continuamente
l’efficacia degli interventi.
E. Essere creativi: La creatività è indispensabile per individuare nuove strade e soluzioni
nell’ambito educativo. Essa si manifesta nell’organizzazione di attività formative, nella capacità di
risorse limitate in modo innovativo e nell’invenzione di percorsi originali per
utilizzare
accompagnare l’altro nel suo sviluppo.
F. Saper costruire una base teorica solida: Una preparazione teorica robusta è il fondamento della
costruisce attraverso gli studi universitari, l’approfondimento
professione del pedagogista. Essa si
continuo e lo studio dei principali contributi pedagogici e filosofici. Solo con una base teorica ben
strutturata è possibile affrontare con competenza i diversi contesti educativi.
G. Concretezza pedagogica: Il pedagogista deve saper tradurre la teoria in pratica. La concretezza
pedagogica consiste nel proporre azioni educative reali e soluzioni pratiche ai problemi quotidiani.
Questa competenza si lega alla responsabilità di orientare l’azione educativa, supportando educatori
e insegnanti nella definizione di obiettivi chiari e raggiungibili.
Punto 4: Riflessioni conclusive
La crescita delle competenze pedagogiche richiede pratica, riflessione e connessione con una solida
base teorica. È un processo scientifico fatto di sperimentazione ed errori, che si sviluppa nel tempo
e si adatta ai contesti in evoluzione. Il pedagogista, attraverso conoscenze, relazioni e riflessioni,
costruisce un dispositivo pedagogico complesso e integrato, come descritto dalla teoria
foucaultiana, dove convivono elementi diversi ma interconnessi. La professionalità si rafforza nel
tempo, andando oltre il titolo di studio, grazie alla combinazione di conoscenze, capacità relazionali
e consapevolezza di sé.
Cap 9: Traiettorie di futuro per le professioni pedagogiche (Paola Dusi)
Introduzione
Il concetto di fragilità emerge come elemento centrale per comprendere il vivere nelle società
contemporanee, dove la condizione umana, intrinsecamente fragile, è oscurata da una cultura
mediatica che promuove ideali di bellezza e performance funzionali all’ideologia consumistica
neoliberista. Queste narrative, insieme alle richieste dei contesti lavorativi, alimentano l’illusione di
un individuo autosufficiente, lasciando però le persone sole di fronte alla vulnerabilità della vita e
all'aumento delle condizioni di insicurezza.
La fragilità umana, che è parte costitutiva della nostra natura, viene amplificata collettivamente da
nuove vulnerabilità socioeconomiche e climatiche. Tali vulnerabilità mettono in evidenza
l’inadeguatezza delle risorse disponibili per prevenire e affrontare i pericoli esterni. In questo
contesto, emerge l’impossibilità di sfuggire alla fragilità, la quale, come sottolinea una citazione,
“non può che essere fragile”.
Le nuove generazioni si trovano particolarmente esposte a questa vulnerabilità esistenziale, anche
perché gli adulti di riferimento sono essi stessi più fragili. L’insicurezza delle figure adulte, infatti,
influenza negativamente il loro ruolo educativo, gravato dalla responsabilità di guidare i giovani in
un mondo complesso e frammentato.
In questa realtà frammentata e incerta, prevalgono atteggiamenti egocentrici e individualistici.
L’educazione viene spesso intesa come un processo finalizzato all’affermazione autonoma e
anarchica delle potenzialità individuali, lasciando i soggetti immersi in un’infinità di possibilità.
Tuttavia, questa libertà senza limiti genera spaesamento: le persone, soprattutto i giovani, sono
sopraffatte dalle scelte infinite e dal timore di fallire.
A livello culturale, due acronimi anglofoni aiutano a descrivere questa nuova realtà:
V.U.C.A.: Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity.
B.A.N.I.: Brittle (fragilità), Anxious (ansia), Non-linear (non linearità), Incomprehensible
(incomprensibilità).
La società B.A.N.I. porta con sé una percezione del tempo alterata. L’educazione, in questo
contesto, assume forme non lineari, caratterizzate da pieghe e interruzioni impreviste, sino a
dissolversi in un orizzonte incerto. Questa nuova percezione del tempo influenza profondamente la
nostra comprensione spazio-temporale:
Il passato viene dimenticato o svalutato.
Il futuro è percepito come incerto e carico di timori.
Il presente diventa più intenso e autentico nei legami, ma anche più fragile.
Questa situazione crea una crescente domanda di educazione, formazione e accompagnamento. Di
fronte alla frammentazione e all’incertezza, si rende necessario un ripensamento profondo dei
processi educativi, che devono rispondere alle esigenze di un tempo segnato dalla fragilità e
dall’instabilità.
Punto 1: il pedagogista_ una professione che si prende cura della fragilità umana in un tempo
di incertezze
Il testo si concentra sul tema della fragilità umana, vista non solo come un limite, ma come una
risorsa da cui partire per crescere. La parola "fragile" deriva dal latino fragilis e indica qualcosa che
può rompersi, ma anche la sensibilità e la capacità di percepire i propri limiti, gli altri e il vuoto che
sentiamo dentro. Questa fragilità, secondo la filosofa Maria Zambrano, può essere trasformata in
una possibilità: un’occasione per riflettere, per affrontare le difficoltà e dare nuovo significato alla
propria vita.
Questa idea si collega al lavoro del pedagogista, che guarda alla fragilità non come a un ostacolo,
ma come a uno spazio in cui le persone possono crescere. I momenti difficili, gli errori e i limiti
diventano opportunità per fermarsi, riflettere e trovare nuove strade per dare senso alla propria
esistenza.
In un mondo pieno di incertezze e complessità, cresce il bisogno di supporto e orientamento,
soprattutto da parte di figure professionali che si occupano della cura della persona. In questo
contesto, il pedagogista si distingue per il suo modo di lavorare: non si concentra sui problemi o
sulle mal